Sguardi, colori, atmosfera colpiscono e fanno compagnia al visitatore per molto tempo anche dopo il suo ritorno a casa.
La mostra è caratterizzata da due sezioni ben distinte; fin da subito si entra nel contesto grazie ad alcune stanze buie dove solamente le fotografie, di grande o grandissimo formato, sono illuminate.
E’ questa la maniera ideale per fare risaltare quei colori così accesi che distinguono le fotografie di McCurry.
Ed è questo il cuore della sezione Women dove le protagoniste sono appunto le donne.
Giovani e meno giovani, famose o sconosciute, quasi tutte le donne di McCurry ti guardano dritto negli occhi trasmettendo fierezza o distacco e comunque attirando il visitatore con qualcosa di ipnotico che costringe a fermarsi.
Le ambientazioni sono le più diverse e una comoda audioguida consente di venire a conoscenza dei piccoli retroscena che hanno portato a molti degli scatti esposti.
Giungendo verso la metà della mostra, si incontra una stanza che fa da spartiacque.
E’ lì che al centro, appese ad una tenda circolare, si trovano almeno una trentina di altre immagini fantastiche, questa volta di piccole dimensioni.
Ed e lì che una volta entrati non si sa bene dove guardare, tanti sono i colori, le diverse situazioni e, in certi momenti, anche le persone che ci si ritrova attorno.
Nessun prob
Vale la pena soffermarsi per qualche minuto in più in questo luogo anche perchè nell’angolo della stanza è possibile vedere un filmato dove l’autore spiega alcune delle regole che segue lavorando.
Questo breve video, assieme alle informazioni che si ascoltano con l’audioguida, forniscono un quadro del personaggio che lo fa sentire molto vicino.
Mai arrogante o pieno di sé neppure quando spiega i vari scatti più famosi, è lui infatti a parlare in prima persona nell’audioguida, il verbo che forse utilizza di più è piacere:
– ho fatto questo scatto perchè mi piaceva quella luce, ho fatto quell’altro perchè mi piaceva quel contesto; questo cavallo mi ha dato il movimento che cercavo e quella foto mi piace molto, ecc. ecc.
Mai parla di esistenzialismo o di simbolismo e mai si pone al di sopra di chi sta guardando mettendosi a filosofare sul significato intrinseco di un’immagine, come spesso invece accade a molti quando si parla di arte o di letteratura.
No, Steve McCurry appare e si racconta come uno di noi, con le sue passioni e le sue regole; sostanzialmente dice di fare ciò che piace, ma cercare di farlo molto molto bene.
Poi si prosegue la visita e si entra in un lungo corridoio che dà inizio alla sezione Icons.
Questa parte è più simbolica e meno ritrattistica.
Si va dalle donne
Si termina con alcune immagini dell’11 settembre e del terremoto del Giappone e si viene salutati, si fa per dire, dall’occhio rosso di un cormorano immerso nel petrolio ai tempi della prima guerra del Golfo.
Immagini alternate di speranza e desolazione.
Si salgono alcuni gradini e si entra in un altro mondo ancora, dove le immagini spaziano tra i ritratti fissi appesi nel perimetro e le situazioni in movimento disposte in sequenza nella parte centrale della sala.
I monaci tibetani
Un’altra sequenza delle foto più famose di McCurry.
La mostra termina con l’arrivo nella stanza finale dove sono esposte le fotografie di Sharbat Gula del 1984 e quella scattata dopo il suo ritrovamento ben 17 anni dopo.
Un documentario di poco meno di mezz’ora racconta infine la storia della ricerca e del ritrovamento della ragazza con gli occhi verdi che ha reso Steve McCurry uno dei fotografi più conoscouti nel mondo.
Tutto molto interessante.
La visita richiede un biglietto di ingresso del costo di 11€ e necessita di almeno 3 ore per essere gustata con calma.
Le foto sono concesse a patto che non si faccia uso del flash.