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Stewart Brand: eco-pragmatismo o eco-opportunismo?

Creato il 15 novembre 2010 da Gifh
Stewart Brand: eco-pragmatismo o eco-opportunismo?

Stewart Brand. Imagecredit: Wikimedia Commons

Mister Stewart Brand è uno scrittore statunitense che verso la fine degli anni ’60 ebbe l’idea meravigliosa di catalogare i migliori attrezzi e libri che si potevano trovare al mondo in quel periodo, corredando il tutto con immagini, analisi ed utilizzi, prezzi e fornitori, producendo così una delle prime guide commerciali più complete allora disponibili, The Whole Earth Catalog, il quale è stato addirittura definito come il progenitore del World Wide Web da Steve Jobs, tanto fu il successo riscosso dalla sue reiterata pubblicazione. Il suo lavoro fu utile per rendere gli utenti consapevoli delle nuove tecnologie, dell’esistenza di uno sviluppo sostenibile, creando così in loro la fiducia necessaria per migliorare l’economia tramite le loro risorse.

L’influenza del Whole Earth Catalog sul movimento culturale del ritorno alla terra proprio degli anni ’70 ed i movimenti comunitari propri di molte città fu vasto e sentito negli Stati Uniti, in Canada ed oltre. Un’edizione del 1972 fu venduta in 1.5 milioni di copie e vinse negli Stati Uniti il National Book Award. Proprio grazie al catalogo, molte persone conobbero le energie alternative (solare, eolica, idrica su piccola scala, geotermica), prendendo coscienza dell’incredibile opportunità che potevano offrire.

Seguono numerosi aneddoti e varie vicende, nonché il clamoroso voltafaccia di questi ultimi tempi. Infatti andando contro ogni bene predicato in passato, il suo manifesto pragmatista rinnega ogni cosa, forte della popolarità acquisita negli anni è diventato un perfetto uomo-simbolo paralobbista che propaganda eresie supportate solo da un contorno di aria fritta, una pratica che anche in Italia trova terreno fertile con i suoi attuali paladini del nucleare come Umberto Veronesi o Margherita Hack.

Stewart Brand: eco-pragmatismo o eco-opportunismo?
La sua ultima fatica the Whole Earth Discipline: an Ecopragmatist Manifesto (Viking), verte appunto sullo stimolo che vorrebbe infondere agli ambientalisti, ovvero che è necessario modificare il proprio punto di vista sui quattro punti fondamentali che secondo lui urgono: la popolazione, l’energia nucleare, gli organismi geneticamente modificati, e l’urbanizzazione, proponendo le sue soluzioni, largamente contestate e prive di qualsiasi fondamento logico e scientifico.

Amory Lovins,  un Fisico suo amico, Presidente e Scienziato capo del Rocky Mountain Institute, con l’esperienza di quattro decenni nel campo delle politiche energetiche, in un suo articolo critica duramente le affermazioni di Brand su tutte le opzioni non-nucleari, reputandole insostenibili.

Infatti, secondo Stewart Brand, le energie rinnovabili risentono delle seguenti fallacità:

  • Potenza minima: l’eolico e il fotovoltaico non possono sostenere la domanda perché non sono sfruttabili 24 ore su 24.
  • Impatto: il fotovoltaico ha bisogno di circa 150-175 volte lo spazio necessario a un impianto nucleare, e le centrali eoliche da 600 fino a quasi 900 volte.
  • Investimenti: abbiamo bisogno di ogni strumento per la lotta contro il cambiamento climatico, nucleare compreso.
  • Politiche: l’imperativo climatico ha la meglio sull’economia, così i governi in tutto il mondo dovranno fare, e faranno, quello che ha fatto la Francia, assicurando che le centrali nucleari vengano costruite, a prescindere dal dissenso e dalle dinamiche economiche.
Stewart Brand: eco-pragmatismo o eco-opportunismo?

Amory Lovins. Imagecredit: Wikimedia Commons

Anziché considerare l’energia nucleare nell’ambito di un reale scenario per questo mondo ultra-competitivo, Stewart semplicemente mantiene a una distanza di sicurezza i suoi concorrenti. Egli loda l’uso efficiente dell’energia elettrica, ma allo stesso tempo lo rifiuta perché dice che da solo non può sostituire il carbone e fornire energia sufficiente per lo sviluppo globale. Egli respinge anche l’energia eolica e quella solare, omettendo candidamente di trattare l’idroelettrico, la geotermia, la combustione di biomasse, e tutte le altre fonti rinnovabili e di cogenerazione. Leggermente polarizzato, non vi pare?

Ma ecco, ancora punto per punto, le repliche di Amory Lovins, tutte supportate da questo lungo commentario dedicato al libro di Brand.

  • Potenza minima: il sistema elettrico non si basa sulla capacità del singolo impianto di funzionare in continuo, al contrario, tutti gli impianti insieme alimentano la rete, e la rete assolve a tutti i carichi. Questo è necessario perché nessun tipo di impianto può funzionare per tutto il tempo, come vorrebbe invece Stewart, garante di una fantomatica soddisfazione dei carichi costanti. La variabilità delle celle solari e dell’energia eolica, in funzione delle ore di luce o del tempo, non sono diverse dall’intermittenza delle centrali a carbone o nucleari, eccetto che viene implicata una minore capacità per ogni evento, più brevemente, e in maniera molto più prevedibile, e probabilmente il tutto risulta più semplice ed economico da gestire. In breve, la capacità di fornire un carico costante è un attributo statistico di tutti gli impianti della rete, non un requisito operativo per un solo impianto. La variabilità (interruzione prevedibile) e l’intermittenza (interruzione imprevedibile) devono essere gestite in modo da diversificare nel tipo e nell’ubicazione, curando la pianificazione e l’integrazione con le altre risorse. Molte aziende lo fanno ogni giorno, bilanciando le diverse risorse per soddisfare la domanda fluttuante con i deficit locali. Anche con una rete alimentata per la maggior parte, o addirittura completamente, con energie rinnovabili, questo non è un problema significativo o di costo, né in teoria, né in pratica – come dimostrano numerosi esempi attraverso il globo.
  • Impatto: Stewart sottovaluta l’uso del suolo da parte di un impianto nucleare di circa 43 volte, omettendo tutti i terreni utilizzati da zone di esclusione e dal sistema di produzione e stoccaggio del combustibile nucleare e delle scorie. Al contrario, egli include tutto lo spazio in cui sono istallate le fattorie eoliche o solari e le relative apparecchiature, che solitamente sono deserti o terreni inutilizzati,  oppure comunemente usati per l’agricoltura, il pascolo, spesso frequentati da fauna selvatica, senza contare l’aspetto ricreativo e didattico di eventuali cittadine della scienza che potrebbero sorgere, stimolate dal clima virtuoso che si verrebbe a creare. Questo è come dire che due lampioni occupano lo spazio di un parcheggio, anche se il 99% del terreno è utilizzato effettivamente per il parcheggio. Se adeguatamente misurato, si scopre che lo spazio occupato dal fotovoltaico di terra, è pari a quello dell’energia nucleare, a volte anche meno, ed è pari a zero nel caso dei pannelli montati sui tetti degli edifici, i quali se fossero tutti provvisti di questo sistema, potrebbero agevolmente fornire l’energia sufficiente a diversi pianeti come il nostro, per un tempo indefinito. Lo spazio per kWh effettivamente utilizzato  è fino a mille volte più ridotto per l’energia eolica che per l’energia nucleare. Se il criterio più importante per la scelta del tipo di energia quindi fosse l’uso del territorio, le tesi di Stewart sarebbero ovviamente in contraddizione con le conclusioni riguardo l’impatto ambientale prodotto dalle energie rinnovabili. Naturalmente anche i criteri sono di tutt’altra natura. Diciamo che questa è una “oculata distrazione”.
  • Investimenti (o Portfolio): l’unico documento che Stewart cita come prova del fatto che abbiamo bisogno di tutte le opzioni energetiche (Pacala & Socolow “Stabilization Wedges“), in realtà dice l’esatto opposto. Non esiste una base analitica per le sue conclusioni, ma esistono solidi fondamenti scientifici che supportano il contrario. Non possiamo permetterci di riempire il nostro portafoglio energetico indiscriminatamente con un po’ di tutto, alcune opzioni sono meno propizie ed efficaci rispetto ad altre. Più è grande la paura per il cambiamento climatico, più giudiziosamente si dovrebbe investire per ottenere una soluzione sostenibile e a lungo termine. Chiaramente il nucleare non risolve nessuna delle due condizioni, sia perché a differenza di quanto sostenuto dagli entusiasti, le sue emissioni in CO2 non sono del tutto irrilevanti, sia per scrollarci di dosso tutta una serie di assurde dipendenze che ci imprigionano nelle fluttuanti logiche del mercato dell’energia.
  • Politiche: se l’energia nucleare non fosse implementata, i cambiamenti climatici peggiorerebbero (dato che mancherebbero le soluzioni più efficaci) così come la sicurezza energetica, e i paesi non potrebbero competere nel mercato, nonostante qualsiasi sovvenzione. Tutti risultati basati su prove non esaminate dai capitoli di Stewart, e che non hanno altro esito che ridurre l’attendibilità del suo pragmatismo, rendendo ridicolo un ritorno al nucleare su queste basi. Naturalmente, alcuni paesi con sistemi energetici basati su una pianificazione centralizzata, per lo più finanziati da costi sociali, stanno costruendo reattori: oltre due terzi di tutti gli impianti nucleari sono in costruzione in Cina, Russia, India o Corea del sud. Ma questo accade perché le loro burocrazie nuclearistiche dominano la politica energetica nazionale, e possono affrontare con successo la concorrenza scarsa o addirittura inesistente del settore delle tecnologie, dei modelli di business e delle idee legate alle rinnovabili. L’energia nucleare richiede proprio un tale sistema. La concorrenza in grado di battere l’energia nucleare prospera nelle democrazie e nel libero mercato.

La reputazione di Stewart e il suo prezioso contributo sostenuto in passato su un chiaro pensiero rivolto a un mondo migliore, potrebbero far guadagnare al suo punto di vista eretico e nuclearista alcune ingenue attenzioni. Eppure, se giudicato per i suoi meriti, e non per la sua storia, le affermazioni contenute in questo suo capitolo nucleare non possono fare altro che peggiorare i rischi del clima e mettere a repentaglio la sicurezza per l’inosservanza dei più fondamentali principi di precauzione. Di fatto la vera antitesi del pragmatismo, da lui tanto acclamato …

Concludo, per chi vuole approfondire, con un video (con sottotitoli in italiano) che mette a confronto lo scrittore americano con Mark Z. Jacobson, professore di ingegneria civile e ambientale alla Stanford University, dove discernono sul pro e contro, in un dibattito che può far riflettere, ed eventualmente cambiare idea sul nucleare. Non è mai troppo tardi per questo.

Ecco infine un ultimo documento che fa ulteriore chiarezza  sui palesi errori di Stewart Brand, curato da Harvey Wasserman, un giornalista statunitense, autore, attivista per la democrazia e per il sostegno delle energie rinnovabili. Sul sito inequivocabile di Free Press, il 25 luglio 2010 Harvey scriveva: Why Stewart Brand is wrong on nukes—and is losing (Perché Steward Brand sbaglia sul nucleare — ed è un perdente).

Fonti: Grist, Four Nuclear Myths, Wikipedia


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