Mi ero tenuto volontariamente fuori da ogni lettura riguardante la genesi di Stoker a tal punto che fino a quando è uscito il film credevo che narrasse la storia dell'autore di Dracula.
E invece no: Chan-wook Park vola negli Stati Uniti ed è chiamato a lavorare su un progetto non suo, una sceneggiatura scritta da tale Wentworth Miller, una carriera spesa nelle retrovie dei cast televisivi e in qualche film fino a trovare la consacrazione definitiva nella serie culto Prison Break.
Già questo suona strano perchè il regista coreano è sempre stato coinvolto nel processo di scrittura dei suoi film. E purtroppo questa "stranezza" , termine stavolta da non prendere nell'accezione totalmente positiva trova subito riscontro in quello che vediamo nel film.
Stoker è la storia di un famiglia molto particolare, un coacervo di psicopatici in cui la "normalità" sembra essere chimera irraggiungibile.Se è vero che Charlie mostra ben presto la sua vera natura , restando ben poco in quel limbo di ambiguità che avrebbe giovato parecchio al personaggio, il disegno degli altri due protagonisti rasenta in maniera preoccupante lo stereotipo: Evelyn è la classica casalinga disperata ma non per la morte del marito quanto per una vita vuota e impolverata come la sua enorme casa, Mia è la nerd diciottenne, solitaria, praticamente isolata anche nella comunità scolastica che trova un bell'humus fertile in questo zio giovane e bello che le mostra il lato oscuro della vita.
E lei ne rimane affascinata, soggiogata.
Stoker non brilla certo per scrittura o per disegno dei personaggi: fatta la tara ai tributi hitchcockiani della trama ( che ricorda L'ombra del dubbio , forse il film più amato dal maestro inglese tra tutti quelli che realizzò) di sostanza ne rimane ben poca.
La forma invece è di altissimo livello: a questo proposito si ha come l'impressione che Chan-wook Park, non essendo stato coinvolto nel processo di scrittura , abbia volutamente tralasciato la sostanza di uno script fondamentalmente mediocre per concentrarsi esclusivamente sulla forma.
Coadiuvato dal suo fedele direttore delle luci Chung -hoon Chung, al lavoro con lui dalla trilogia della vendetta in avanti, il regista coreano lavora sulle forme di questo thriller, smussandole maniacalmente e tingendole di horror.
Il risultato è di qualcosa che appaga l'occhio ma che alla lunga dà l'impressione di uno stucchevole manierismo formale in cui raramente viene fuori la carica eversiva del cinema dell'oldboy coreano. Giusto un paio di sprazzi: la sequenza in cui India è da sola a tavola durante il funerale del padre e rotea l'uovo sodo in una sorta di rituale pagano, oppure anche la sequenza della doccia in cui viene fuori finalmente la vera natura della ragazza.
Ci troviamo di fronte a un bellissimo intarsio, una bellissima scatola con poco o nulla dentro.
Stoker è un film in cui la cornice vale nettamente di più del quadro in essa contenuto.
C'è l'attenuante del progetto su commissione ma si resta con la sensazione che Hollywood sia riuscita ad asfaltare anche il talento di una delle perle più luminose della cinematografia coreana.
Non dal punto di vista stilistico , però, perchè visivamente Stoker da solo vale più di un intero catalogo di thriller hollywoodiani e in questo senso Park ha molto da insegnare.
Nel cast risalta Mia Wasikovska con il suo corpo acerbo e i suoi occhi spiritati ma solo per mancanza di concorrenza: la Kidman è ormai immobilizzata dall'eccesso di botox in un'espressione tra l'attonito e lo stupefatto, mentre Goode nella parte dello zio Charlie non riesce a donare al suo personaggio l'ambiguità necessaria per renderlo memorabile.
Altra cosa da notare è l'ambientazione che sembra al di fuori del tempo: pur ambientato ai giorni nostri, Stoker ha un'aria vintage da melodramma vittoriano sottolineata dagli arredi della grande casa degli Stoker e da molti altri particolari retrò ( abbigliamento, accessori, automobili...ecc ).
( VOTO : 5 / 10 )