Stoner, di John E. Williams
Traduzione: S. Tummolini
Edito: Fazi (collana Le strade)Pagine: 332
ISBN: 978-8864112367
Prezzo di copertina: 17,50 €
Ebook: disponibile al prezzo di 8,99 €
Chi è William Stoner? Mi verrebbe da dire che è "uno qualunque", un'unità del totale. E lo è davvero, e questo libro è come uno zoom sulla normalità che da idea generica e aggregante, diventa individualità.Le radici di William Stoner affondano nella terra, quella degli appezzamenti del padre in un piccolo paese della contea di Boone, luogo da cui parte, a piedi e con un vestito di panno, attraverso l'appiccicosa e ineludibile terra rossa del Missouri, per raggiungere la facoltà di Agraria di Columbia.William è lavoratore indefesso alla fattoria che lo ospita e studente modello all'Università, ma ad un certo punto cambia qualcosa... Durante una lezione su Shakespeare scocca una scintilla e la letteratura inglese diventa la sua ragione di vita, un'ossessione a cui dedicarsi anima e corpo.Laureatosi a pieni voti, diventerà professore di letteratura inglese della stessa università che l'ha istruito, presso la quale resterà fino alla morte.Inviato all'università dal padre, investito insegnante dal suo mentore, fatto padre da una moglie dispettosa e infelice, sembrerebbe che il protagonista si lasci trasportare dalla vita come un giunco dalla corrente, ma si tratta piuttosto di un uomo in grado di accettare di buon grado quello che gli capita intorno, che più che a un giunco rassomiglia a un ponte, fermo e stabile, mentre è attraversato dalla corrente, ma la cui accettazione non è passiva ma in qualche modo attiva e cosciente.La sua vita è fatta di incontri piacevoli e scontri, le sue battaglie sono con i nemici tra le mura di casa e sul luogo di lavoro. Battaglie normali, come quelle che ognuno di noi si trova ad affrontare nella vita, che non sono da annali di storia ma che sono pur sempre le nostre e che in quel momento ci sembrano epiche. E in questo l'autore è bravissimo, riuscendo a rendere i personaggi abbastanza cattivi da suscitare antipatia o odio nel lettore, pur non snaturandoli mai e senza renderli poco realistici o caricaturali.Lo stile del romanzo si modella perfettamente sulla storia, è asciutto, quasi monocorde, e non ti lascia mai un attimo per annoiarti. Ti fa entrare nell'animo di questo protagonista normale e un po' speciale, che sfoglia i libri di letteratura con quelle mani che portano ancora i segni del sole e della terra, e che fa del suo lavoro la sua vera ragione di vita, senza lasciarsi distrarre da quello che accade fuori.Ho trovato molto interessanti le riflessioni che William fa nell'ultima parte del libro, la prima quando diventa consapevole della coerenza che ha permeato la sua esistenza, permettendogli di passare indenne un mezzo secolo difficile, in cui si sono avvicendate due guerre mondiali, che hanno sovvertito la società e l'economia. "E vide che alcuni, un tempo fieri della loro identità, ora lo guardavano con odio e invidia per quel minimo di sicurezza che si era conquistato col suo impiego fisso presso un'istituzione che, in un modo o nell'altro, non sarebbe mai potuta fallire. Non dava mai voce a questa consapevolezza, ma la coscienza di quella miseria lo toccava profondamente, trasformandolo in un modo che era invisibile agli estranei; e una muta tristezza per quella condizione comune lo accompagnava in ogni istante della sua vita."Altra riflessione interessante è quella su Archer Sloane, che alla fine dei conti, finalmente, Stoner sente di riuscire a comprendere, gli sembra di riuscire ad afferrare quel senso di tristezza e di estraneità a cui il suo "mentore" si era abbandonato, pur senza condividerlo completamente. In questo caso sembra che l'autore voglia mostrarci come alla fine tendiamo ad assomigliare ai nostri maestri, pur restando comunque diversi, e come alla fine ci riconosciamo in loro in un modo che non avremmo mai creduto possibile.Questo libro è stato pubblicato la prima volta nel 1965 portando su di sé un'ambientazione, se non contemporanea, molto vicina. Ma letto oggi, in un'epoca lontana dalle guerre mondiali, in cui i figli sono già affrancati dal lavoro umile dei padri da diverse generazioni, credo diventi quasi universale.