non mi piace chiamare le persone per cognome e odio quando lo fanno con me, per questo i prof che usavano il mio nome (anche perché è sempre stato unico in ogni classe che ho avuto) partivano già con una marcia in più rispetto agli altri. Mi è sembrato molto triste che per gran parte del libro tu sia sempre stato, soltanto, Stoner. All'inizio per la tua famiglia eri William, poi sei diventato Willy per tua moglie Edith (che per come si comportava con te avrebbe fatto meglio a evitare vezzeggiativi dolci), e Bill tra le braccia della tua Kathrine. Per gli altri, per tutti gli altri, compreso il narratore esterno del romanzo, tu sei sempre stato, soltanto, Stoner. Già questo, dal mio punto di vista, rende bene l'idea della desolazione della tua vita, in cui ero consapevole, già prima della nostra conoscenza diretta, che non avrei trovato fuochi d'artificio e momenti eccezionali. Lo sapevo perché in molti mi avevano già paralato di te, di quanto sarebbe stato incredibilmente eccezionale leggere della tua vita, in realtà piuttosto piatta e comune.
Quando ti ho avuto tra le mani e fantasticavo su noi due, mi sono venute in mente alcune parole di una canzone* che amo a non finire e mi sono chiesta se anche a me, come al resto del mondo che conosco, la tua storia normale sarebbe sembrata speciale.
Caro Stoner, anzi caro William,
devo dirti che è stato proprio così.
William, hai avuto una vita semplice, certo, ma se la guardi soltanto da un punto di vista lavorativo non mi sembra affatto banale e insignificante. Eri figlio di contadini e sei diventato professore universitario di letteratura. Il salto è notevole ed è evidente che un po' di buona volontà, almeno in questo, tu ce l'abbia messa. O anche la tua cattedra è stata il risultato di azioni altrui a cui non ti sei mai opposto? L'università era stata un'idea di tuo padre, è vero, ma a decidere di passare dalla facoltà di Agraria a quella di Lettere sei stato tu, nell'attimo in cui sei rimasto incantato dai versi di Shakespeare. Sei stato tu, sì, e forse è l'unica vera scelta che tu abbia mai fatto nei tuoi sessantacinque anni di vita. Hai anche scelto una moglie, ma l'hai presa proprio a scatola chiusa, senza nemmeno preoccuparti di che cosa ci fosse oltre quegli occhi grandi e incantatori. Hai sbagliato donna, ti sei sposato una vera stronza, che ti ha trattato come un tappetino di nessun valore. Erano altri tempi, certo, ti fossi imbattuto in una del genere oggi sicuramente avresti avuto sia un matrimonio che un divorzio. Con lei sei stato fin troppo clemente, davvero non so dove tu abbia trovato tanta pazienza.
Povero William, mi dispiace tanto. Speravo che almeno con tua figlia Grace le cose andassero meglio, invece anche il vostro rapporto è naufragato. Hai spesso insinuato che la colpa fosse ancora di tua moglie, ma in questo caso non posso darti proprio del tutto ragione. Anzi, per niente, William. Con tua figlia hai sbagliato tutto, hai lasciato che anche lei avesse un'esistenza indegna come la tua, solo perché tu non hai avuto abbastanza coraggio per lottare per quello che sapevi sarebbe stato giusto. Eppure lei l'amavi davvero, l'amavi come amavi Kathrine e le hai lasciate andare, entrambe, condannandole a una vita di rimpianti, ricordi e solitudine.
Ti avrei insultato mille volte, per tutti gli alibi che ti sei costruito, per tutte le aspettative che non hai mai avuto, per come hai lasciato che le cose ti piovessero addosso, chissà come e perché.
Non sarai certo un esempio di vita, William, ma, nonostante tutto, ti ho voluto bene, e ho pianto quando te ne sei andato, come si piange per qualcuno con cui si avrebbe voluto avere ancora un po' di tempo da vivere insieme. Solo un po'.
[* Farewell // Francesco Guccini]