Pubblicato da giuseppepanella su aprile 30, 2012
______________________________
di Giuseppe Panella*
Habent sua fata libelli – l’amore e la vita trionfano anche nel corso delle peggiori lotte fratricide e vanno molto al di là della morte. E’ quello che, in fondo, accade in questo romanzo dolceamaro e teneramente stretto nella morsa sempre esistente e sempre lancinante tra storia e cronaca, tra angoscia del ricordo e speranza nel futuro. E’ possibile mettere al primo posto l’amore quando regna la morte, quando il dolore e la sofferenza regnano incontrastati in un periodo storico in cui dei sentimenti dei molti non importava affatto ai pochi che, imponendo la loro tirannica volontà di potenza, li trasformano in armi di distruzione del sentire umano? Certamente sì – se si deve dare ragione a Bert d’Arragon e il suo romanzo di “persone” situato all’interno della dimensione storica, politica e morale di quel grande processo di trasformazione della società italiana che fu la Resistenza contro i tedeschi e i loro alleati fascisti. L’amore di cui si parla nel lungo romanzo di d’Arragon, tuttavia, è un amore diverso tra “diversi”, una passione omosessuale che non solo risulta condizionato dai pregiudizi e dalle convinzioni virilistiche dell’epoca mussoliana ma risulta difficile da accettare anche dalle coscienze di chi lo vive. Uno dei protagonisti del romanzo, infatti, Pietro Zorzelli, approderà alla fine a una relazione eterosessuale, al matrimonio e a una paternità tanto difficile quanto incompiuta nel suo compimento (del figlio e della sua vita non saprà praticamente nulla e il figlio non conoscerà altrettanto nulla del proprio padre tanto che finirà per odiarlo); l’altro, Giovanni Balzoni, musicista affermatosi poi come pianista a livello internazionale, passerà ad altri amori anche se non rinnegherà il suo primo legame affettivo e rimarrà deluso dagli altri. Il loro amore, tuttavia, durante il fascismo, costituisce di per sé un crimine contro la razza e la nazione:
«Non dicevamo mai a nessuno che tipo di legame c’era tra noi, bisognava stare molto attenti, soprattutto con estranei: il nostro amore di fatto era un reato! Se non si dava a vedere nulla, nessuno se ne curava, anzi, avevamo conosciuto molti uomini che facevano sesso con dei ragazzi. Sembrava una cosa quasi normale se rimaneva l’apparenza di essere maschio e non effeminato. Pareva fosse sempre quell’altro a fare la parte della donna e così la morale rimaneva intatta e nessuno creava delle difficoltà. Solo che noi due eravamo diversi: eravamo una coppia fatta da due maschi e questo non era solo contro la legge, ma andava proprio contro la falsa morale della gente. Noi eravamo svergognati, anormali e contro natura, mentre gli altri facevano giochi da ragazzi che fanno tutti prima di sposarsi! Per il regime gli omosessuali in Italia non esistevano e lasciando intatta questa bugia, si poteva fare quel che si voleva. Ma chi smascherava la bugia, come facevamo noi con la nostra sola esistenza, veniva schiacciato. Per questo ci nascondevamo» (pp. 80-81).
L’amore omosessuale di Pietro e Giovanni (ben diversi, tuttavia, dai due fratelli protagonisti del celebre romanzo di Guy Maupassant) è la cartina di tornasole intorno alla quale ruotano tutte le altre vicende raccontate nel romanzo. Tutti i personaggi del romanzo, tuttavia, si muovono e vivono le loro esistenze difficili e spesso terrorizzate spinte da un frenetico istinto che li spinge a cercare la loro realizzazione amorosa. Anche i peggiori di essi, i fascisti e le loro spie come Edmundo Ristacchio, agente dell’OVRA al servizio del temuto Guido Leto, uno degli uomini-chiave del sistema poliziesco fascista ideato da Arturo Bocchini e la sua amante di origine sarda Maristella Sanges, infiltrata nelle fila della nobiltà italiana tramite un matrimonio di convenienza con l’imbelle Leonardo Di Bellini, cercano, in fondo, l’amore (ne è testimonianza l’impossibile quanto disperata liaison tra Ristacchio e la ex-prostituta divenuta una pseudo-nobildonna e poi un’infiltrata nei circoli antifascisti dei fuoriusciti dall’”Italia del consenso”come i fratelli Carlo e Nello Rosselli o Silvio Trentin costretti a una vita difficile e spesso assai grama in Francia).
L’amore è ciò che dovrebbe tenere legati uomini e donne al loro destino ma non sempre l’operazione riesce e la morte è sempre dietro l’angolo, come una trappola pronta a scattare nel momento propizio. Entrambi gli eroi epigoni della vicenda scompariranno poi in modi diversi (chi, come Pietro, ucciso in carcere dai suoi aguzzini fascisti e chi, invece, come Giovanni, in combattimento contro i tedeschi) e una possibile catastrofe avrebbe probabilmente atteso tutti i protagonisti del romanzo se non fossero riusciti in parte a sfuggirvi sia per propria abilità e fortuna (è il caso di Maristella che, tuttavia, resterà sola senza l’amato Ristacchio) o per una scelta di vita capace di condurli alla salvezza (come nel caso di Antonella Zorzelli, la moglie di Pietro, che, nonostante la sua morte improvvisa per effetto dei bombardamenti alleati, riuscirà a lasciare una traccia importante di sé in una lettera postuma al figlio Emanuele).
Il romanzo di d’Arragon è, quindi, coerentemente centrato su una linea di scorrimento strutturale che rende tutti gli sparsi e divergenti rivoli della narrazione rientrare e ritornare nell’alveo della narrazione primaria: i due protagonisti e Montepulciano, il luogo dal quale inizia tutto. Il nipote di Pietro, Sergio Zorzelli, infatti, innesca il meccanismo narrativo con la sua richiesta di saperne di più riguardo ai propri nonni, una richiesta da sempre respinta e considerata negativamente come una sorta di provocazione dal padre Emanuele. Sarà grazie a Rosalia, la “regina dei pici” di Montepulciano che Sergio conoscerà il professor Calani, studioso della Resistenza e autore di una tesi di laurea proprio intorno al nonno del ragazzo. Nell’ambito delle sue ricerche d’archivio, lo storico contemporaneo ha ritrovato un manoscritto attribuibile alla penna di Zorzelli. L’”autobiografia romanzata del 1928” sarà il punto di partenza intorno al quale si svilupperà successivamente la ricerca delle radici di Sergio e, di conseguenza, della storia della sua famiglia. Si tratta di un espediente classico nella tradizione italiana – e non solo – quello del “manoscritto ritrovato” a partire dal Manzoni dei Promessi Sposi in poi che permette, però, di svariare nelle modulazioni linguistiche della scrittura impedendo che si manifesti eccessivamente quella piattezza dei toni che inevitabilmente scaturirebbe nei momenti del racconto che vorrebbero essere diversi per attribuzione culturale e di genere ma rischiano di rifluire nel corso unitario della narrazione.
Dalla lettura del manoscritto del nonno, Sergio Zorzelli trarrà lo spunto e la forza di andare contro la volontà paterna e di continuare a investigare, in compagnia di Calani, sugli eventi di tanti anni prima. Scoprirà la verità sul nonno omosessuale ma innamorato della nonna Antonella anch’essa destinata a una morte precoce e ricostruirà (forse) un possibile rapporto di comprensione con il padre. Tutti gli altri personaggi del romanzo, a partire da Margherita Lacroix e da sua figlia Anne Marie, il suo successivo marito Adolfo (un personaggio collegato a Pietro e Giovanni fin dalla prima fase del loro rapporto in cui erano sopravvissutie grazie all’aiuto di Fortunata, una donna che gestiva un bordello e che li aveva accolti proteggendo il loro rapporto) e altre figure di contorno come quella di Giorgio, una singolare figura di militante antifascista che costituisce la colonna portante della Libellula, l’organizzazione vicina a Giustizia e Libertà fondata dal loro piccolo gruppo di intellettuali per continuare l’opera di Charles, il defunto marito di Margherita. Nonostante le difficoltà della lotta clandestina e l’azione distruttiva da parte degli sbirri dell’OVRA, Giorgio esorterà a continuare a combattere fino alla fine:
«”Non perdere la speranza, Marie!” disse Giorgio per consolarla, dimostrando per la prima volta un’emozione. “L’Antifascismo della prima è distrutto, è vero. Vedo però che ci sono sempre più ragazzi giovani che hanno fatto tutta la trafila dai Balilla in poi e che non ne possono più. Cominciano a pensare e a leggere. Ci sono tanti libri che sono intrisi di antifascismo e che circolano. Il vecchio Benedetto Croce, Jack London! Un sacco di gente si è svegliata dopo i massacri in Abissinia, se solo Mussolini mandasse truppe in Spagna altri si sveglierebbero. E’ lì che vedo la strada per continuare. Occorre ricominciare con l’educazione dei giovani e sostenerli nella costruzione di ideali di dignità civile. Il duce è al suo apice. Chi vive vedrà la sua caduta» (p. 243).
Così avvenne e non molti anni dopo queste dichiarazioni di Giorgio, all’epoca non profetiche ma utopistiche e sognatrici. Lo spirito mai domo di quella sezione minoritaria (rispetto alla resistenza comunista certamente meglio organizzata e più forte quantitativamente) dell’antifascismo militante impronta di sé la rilettura del periodo operata nel libro di d’Arragon. La liberazione dal giogo nazifascista ne costituisce l’esaltazione e l’inveramento. Ma proprio quei sentimenti di lotta e di ricerca spasmodica della libertà che alimentarono i sogni di una generazione altrimenti perduta e sconfitta ad opera della dittatura totalitaria sono stati il lascito più fecondo per coloro che sarebbero venuti dopo di loro per cercare di completare proficuamente la loro opera realizzandola del tutto.
_____________________________
* Negli anni tra il 1896 e il 1901 (rispettivamente nel 1896, 1897, 1899 e 1901), Anatole France scrisse quattro brevi volumi narrativi (ma dal taglio saggistico e spesso erudito) che intitolò alla fine Storia contemporanea. In essi, attraverso delle scene di vita privata e pubblica del suo tempo, ricostruì in maniera straordinariamente efficace le vicende politiche, culturali, sociali, religiose e di costume del tempo suo. In particolare, i due ultimi romanzi del ciclo presentano riflessioni importanti e provocatorie su quello che si convenne, fin da subito, definire l’affaireDreyfus. Intitolando Storia contemporanea questa mia breve serie a seguire di recensioni di romanzi contemporanei, vorrei avere l’ambizione di fare lo stesso percorso e di realizzare lo stesso obiettivo di Anatole France utilizzando, però, l’arma a me più adatta della critica letteraria e verificando la qualità della scrittura di alcuni testi narrativi che mi sembrano più significativi, alla fine, per ricomporre un quadro complessivo (anche se, per necessità di cose, mai esaustivo) del presente italiano attraverso le pagine dei suoi scrittori contemporanei. (G.P)