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STORIA CONTEMPORANEA n.45: La musica da dentro. Achille Maccapani, “Bacchetta in levare”

Creato il 14 giugno 2010 da Retroguardia

Negli anni tra il 1896 e il 1901 (rispettivamente nel 1896, 1897, 1899 e 1901), Anatole France scrisse quattro brevi volumi narrativi (ma dal taglio saggistico e spesso erudito) che intitolò alla fine Storia contemporanea. In essi, attraverso delle scene di vita privata e pubblica del suo tempo, ricostruì in maniera straordinariamente efficace le vicende politiche, culturali, sociali, religiose e di costume del tempo suo. In particolare, i due ultimi romanzi del ciclo presentano riflessioni importanti e provocatorie su quello che si convenne, fin da subito, definire l’affaire Dreyfus. Intitolando Storia contemporanea questa mia breve serie a seguire di recensioni di romanzi contemporanei, vorrei avere l’ambizione di fare lo stesso percorso e di realizzare lo stesso obiettivo di Anatole France utilizzando, però, l’arma a me più adatta della critica letteraria e verificando la qualità della scrittura di alcuni testi narrativi che mi sembrano più significativi, alla fine, per ricomporre un quadro complessivo (anche se, per necessità di cose, mai esaustivo) del presente italiano attraverso le pagine dei suoi scrittori contemporanei. (G.P)

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di Giuseppe Panella

La musica da dentro. Achille Maccapani, Bacchetta in levare, Torino, Marco Valerio, 2010

Dopo la storia, il romanzo del presente. Questo di Maccapani è il romanzo, anzi la storia, di un concerto felice e riuscito. Un concerto che è in grado, grazie al lavoro di scavo sul testo musicale e di introspezione in se stesso effettuato dal direttore d’orchestra, di cambiare la vita che resta al suo primo esecutore. Enrico Liverani, anziano direttore d’orchestra e vedovo inconsolabile della moglie Giuliana, compagna di una vita, decide di abbandonare le scene dopo una trionfale esecuzione della Traviata di Verdi avvenuta al Festival di Salisburgo. Il direttore d’orchestra, sostenitore di una linea classica di fedeltà al libretto originale e, quindi, in rotta con la vague attualmente imperante che tende, invece, a scavalcarlo in nome della creatività artistica del regista (di solito – va detto – di provenienza cinematografica), decide di non lavorare più e di non dirigere ancora alcunché. Si rifugia tra le colline della Liguria in un luogo splendido ma remoto e piuttosto isolato (in un suo buen retiro, insomma) e trascorre le sue giornate in solitudine. Medita, scava, trascorre e analizza la partitura della Sinfonia n. 8 di Anton Bruckner nella revisione del 1890 ad opera di Leopold Nowak (ne esiste, infatti, anche un’altra curata da Robert  Haas che ne fu, in effetti, il primo curatore).

(Apparentemente) destinato a vivere isolato i suoi ultimi giorni di vita, Liverani non se ne duole. Quando, tramite il suo commercialista cui ha fatto dirottare tutta la propria posta in arrivo, gli giunge una lettera da parte di Günther Mossbach, il Direttore del Festival di Lucerna, però, qualcosa nel suo proposito monolitico di non coinvolgimento si incrina. Dopo un incontro in Liguria con Mossbach, Liverani accetta e va in Svizzera. L’incontro con i giovani e molto dotati concertisti della Gustav Mahler Jugendorchester produrrà in lui un effetto straordinario. Provando per tre giorni di seguito quasi senza interruzioni e, quindi, sfuggendo a quelle che sono le condizioni di lavoro delle orchestre ormai invalse in tutto il mondo (frutto della necessità di ottemperare ai contratti collettivi e alle indicazioni sindacali), Liverani ritrova la gioia di dirigere e di confrontarsi con un testo musicale impegnato quello di Bruckner, una sinfonia che non aveva mai diretto fino ad allora. Il romanzo racconta, quindi, ma dall’interno, il modo in cui Liverani interpreta l’opera bruckneriana e la legge come uno straordinario percorso compiuto dall’angoscia della morte e la sua deiezione fino alla riconquista della vitalità precedente al lutto sofferto. Durante l’esecuzione della sinfonia, Liverani rivive e ricostruisce la sua reazione e il suo confronto con il dolore e l’angoscia legati alla morte della moglie giungendo a elaborarne la mancanza come prospettiva di una vita futura. Il suo percorso attraverso Bruckner è il cammino compiuto da un uomo verso il recupero di una vitalità che egli considerava ormai perduta e avviene attraverso una lunghissima quanto incalzante e affascinante lettura della partitura dell’opera. Dopo l’esecuzione coronata dal trionfo di pubblica e di critica, Liverani riprenderà a dirigere e inizierà un percorso di insegnamento in Italia, presso la scuola di musica fortemente voluta da un suo amico, il maestro Pietro Farulli.

La figura del direttore d’orchestra, carismatica e umanissima, stritolata dal dolore ma capace di liberarsene per riprendere un rapporto di intelligenza e di relazione con i giovani dell’orchestra da lui diretta è esemplata su quella di Carlo Maria Giulini. E’ lo stesso autore del romanzo a rivelarlo quando ammette, nelle note poste in appendice al suo libro, che la lettera scritta da Mossbach a Liverani ripercorre in gran parte una sua propria inviata a Giulini nel 1997 cui il grande direttore d’orchestra rispose con una telefonata che colpì immensamente chi la ricevette. Alcune caratteristiche biografiche e intellettuali di Giulini (l’essere stato assistente di Victor De Sabata, l’aver abbandonato le regie operistiche privilegiando la direzione di opere sinfoniche, la tendenza a dilatare i tempi delle esecuzioni in contrapposizione all’ipervelocità postmoderna di interpreti come Boulez o talvolta von Karajan) appartengono immediatamente al ritratto professionale e culturale di Giulini. Inoltre, la sua analisi e ricostruzione dall’interno dell’opera di Bruckner rimandano a un modello di interpretazione della musica che la vede come uno strumento privilegiato di ricostruzione di un percorso che dalla caducità della natura umana rimanda a una dimensione ontologica di eternità non transeunte che rende questa espressione artistica come luogo privilegiato di manifestazione della spiritualità degli uomini.

Il rapporto instaurato da Liverani con i suoi giovani esecutori acquista, di conseguenza, una natura di relazione pedagogico-etica che va molto al di là della funzione professionale esercitata.

«Perdonatemi la citazione extramusicale, allora. Tanti anni fa, era il 1982, ho visto un film di fantascienza. A me sinceramente non piace la fantascienza. Molti mi hanno invece consigliato di non perdere quel film. Era Blade Runner. C’è una scena che precede la conclusione: lo scontro finale tra il cacciatore di replicanti Rick Deckard e Roy Batty. Sono lì, tutti e due, a darsele a botte su un tetto. Piove a dirotto, rischiano di cadere nel vuoto. Poi, il precipizio. E il colpo di scena che conosciamo tutti. Proprio al termine di questa scena cruciale, la voce fuori campo declama una delle frasi più belle e più toccanti che mi sia capitato di sentire.

Io non so perché mi salvò la vita. Forse in quegli ultimi momenti amava la vita più di quanto l’avesse mai amata. Non solo la sua vita: la vita di chiunque, la mia vita. Tutto ciò che volevamo erano le stesse risposte che noi tutti vogliamo: da dove vengo, dove vado, quanto mi resta ancora. Non ho potuto far altro che restar lì e guardarlo morire.

Avete capito? Le stesse risposte che noi tutti vogliamo. Anche voi, dunque! Se avete cuore, anima, spirito, e non siete dei replicanti, ma c’è dentro di voi qualcosa di profondo, di vero, che sconvolge la vita, che esprimeva Leopardi nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, che un film di fantascienza ce lo evidenzia con una potenza spaventosa, vi rendete conto di quanto Bruckner volesse comunicarci queste tensioni, queste paure? Questa ricerca di risposte? Con questo stato d’animo, con questa apertura mentale e soprattutto di cuore, dobbiamo affrontare queste pagine. Insieme. Voi e io. Io e voi. Dialogare insieme. Suonare insieme. Trovare una strada comune. Ci costerà fatica » (pp. 129-130).

E’ il discorso di un Maestro piuttosto che quello di un professionista.

La mia cultura musicale, approssimativa e fatta di predilezioni che io stesso talvolta considero inesplicabili (perché amo Rossini e Mozart e Beethoven più di Brahms e di Schumann e di Bruckner? Neanch’io lo so…) mi impedisce di comprendere appieno e di spiegare la finissima grana della ricostruzione di Maccapani, il suo percorso all’interno della Sinfonia del grande musicista di Ansfelden, in Austria. Ma posso capire che non si tratta soltanto dell’analisi compiuta e magistrale di un testo musicale. E’ un percorso all’interno di un uomo, forse dell’Uomo. La ricerca inesausta di un perché che solo qualcosa d’Altro al di fuori dell’Uomo potrà dare o almeno promettere.

Maccapani si è accollato questo compito – ed è un compito duro, un harte Arbeit: quello dello spirito. Trovare dentro l’arte il segreto delle vite di tutti o, almeno, volerci provare mettendo in gioco la propria esistenza. Da questo proposito numinoso e terribile, nasce la proposta di questo romanzo che proporrei di chiamare storia naturale di un’anima grande che si salva e, salvandosi, salva poi anche una parte di noi stessi.


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