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di Giuseppe Panella
La fantascienza italiana e la politica come oggetto d’affezione. Aa. Vv. Ambigue utopie. 19 racconti di fantascienza, a cura di Gianfilippo Pizzo e Walter Catalano, Milano, Bietti, 2010
Periodicamente viene annunciata la “morte della fantascienza” (colpevole di tale delitto sarebbe la realtà presente e la storia contemporanea in quanto avrebbero “realizzato” le meraviglie o gli orrori, più spesso questi ultimi però, preconizzati e descritti nei romanzi di anticipazione). Altrettanto periodicamente viene descritta la “morte” (o il “tramonto”) delle ideologie insieme alla necessità di accantonate le nozioni ormai sociologicamente e politologicamente vecchie di destra e di sinistra dal punto di vista delle posizioni da assumere sia in Parlamento che nella lotta politica.
In realtà, né l’una né le altre sembrano destinate a una morte così poco gloriosa e sicuramente ingenerosa, dato il loro passato. Questa antologia di Ambigue utopie, a cura di Gianfilippo Pizzo e Walter Catalano, è una chiara smentite alle sirene di morte per la letteratura di genere e la sua lettura in chiave utopica (o distopica) e ideologica.
Scrive Pizzo nell’Introduzione (Fantascienza come alternativa) al volume:
«E questo è uno dei motivi che ci ha spinto a pubblicare la presente antologia: se la SF tradizionale è ormai incapace di trarre stimoli dalla scienza e dalla speculazione filosofica, la SF di più chiara derivazione dall’utopia (positiva o negativa) dovrebbe trovare nei cambiamenti sociali sotto gli occhi di tutti ampi motivi di riflessione. Indubbiamente sarebbe una produzione marginale, ma non per questo meno valida, o meno necessaria. Un secondo motivo è talmente banale che non varrebbe la pena di esplicitarlo. Perché la fantascienza non dovrebbe essere sottoposta alle stesse considerazioni che hanno riguardato le altre arti e il loro significato nei confronti della società? E se il dibattito sul valore sociale della letteratura sembra ormai seppellito, secondo noi vale ancora la pena di tenerlo vivo – e comunque col parlarne nei confronti della SF non facciamo altro che colmare un vuoto. Più importante un terzo motivo, squisitamente politico. Lungi dal pensare che con la caduta del muro di Berlino le ‘vecchie’ categorie di destra e sinistra siano ormai superate (così ci ha scritto un amico, avuto notizia della selezione che stavamo compiendo), troviamo invece che di fronte a uno spostamento a destra anche di partiti tradizionalmente rivoluzionari occorra reagire rivendicando sia pure per mezzo della narrativa le istanze e i desideri di quella parte della società civile ancora rimasta ai margini della società del benessere» (pp. 9-10).
Purtroppo dell’ affluent society come la definì Herbert Marcuse in anni ormai lontani (e dimenticati anche da chi lo aveva usato come un vessillo di battaglia) e a proposito del sogno americano proiettato anche tra le masse in Europa non è rimasto granché (né welfare né diritti civili sembrano avere cittadinanza nella dimensione politica dell’oggi). Ma proprio per quelle categorie ormai dichiarate obsolete dai politologi à la page forse è il caso di insistere e perseverare in un disegno ‘perverso’ di ri-attualizzare nel futuro. La seconda ragione, a mio avviso tutt’altro che banale, rilancia un tema (ampiamente presente in questa antologia) niente affatto trascurabile: qual è il “valore sociale” di un genere letterario (direbbe il comune amico Carlo Bordoni) destinato da sempre a essere considerato un momento di evasione dalla tristezza e dall’angoscia di tempi difficili e pieni di paura per il futuro, una sorta di esorcismo contro il pessimismo pur in una visione nera e cupa della situazione presente, un antidoto per l’Apocalisse prossima ventura?
E’, in realtà, proprio questo: mostrare la catastrofe a venire, vederla in atto, individuarne cause e significati per poterla rimandare ad altro momento o addirittura rovesciarne le basi strutturali e profonde in nome di un avvenire migliore. E’ per questo motivo che forse la fantascienza incarna ancora oggi, nonostante il suo scivolare verso forme sempre più estreme di distopia, l’ultimo orizzonte non esclusivamente grigio-nero di una possibile utopia a venire.
Walter Catalano, l’altro curatore dell’antologia, rimarca questo punto di vista e si preoccupa di dichiarare che lo stato di ambiguità della fantascienza è sempre stato un fatto perenne. Di fronte a scrittori famosi (Robert Heinlein, Jack Williamson, Jack Vance, Fredric Brown) che si dichiararono a favore del proseguimento della Guerra in Vietnam in un celebre annuncio apparso sulle riviste Galaxy e If all’epoca molto lette e famose, autori altrettanto famosi (Isaac Asimov, Ray Bradbury, Philip K. Dick non ancora completamente paranoico, Samuel Delany e Ursula Le Guin) si dissero, invece, contrari alla prosecuzione del conflitto (ci fu anche chi, come Roger Zelazny, Theodor Sturgeon, Alfred E. Van Vogt e Clifford Simak, rifiutò di firmare una dichiarazione pro o contro ritenendola insensata):
«Se il noir, dunque, ha i suoi Manchette e i suoi Daeninckx, se l’equilibrio sconvolto non torna mai, come nel poliziesco tradizionale, all’ordine borghese, ma smaschera la dimensione assiologica del crimine nel contesto della società capitalistica, così anche la fantascienza ha i suoi Ballard e i suoi Dick: il robot – l’operaio – si rivolta comunque, a onta delle rassicuranti leggi asimoviane, e verità e menzogna, naturale e artificiale, spazio esterno e interno, si confondono e si invertono irrimediabilmente denunciando la natura caotica e abissale della realtà; per dirla nel modo febbrile e sovrabbondante di H. P. Lovecraft, mostrandoci sullo sfondo il non-volto del ‘dio cieco e idiota che sbava e gorgoglia nel centro dell’infinito’. Utopie, distopie, ucronie: la fantascienza, affabulando derive cosmologiche e mitologiche, scompiglia le leggi dello spazio e del tempo, decostruisce discipline come la storia, la sociologia e la psicologia, e mette in discussione i principi della logica aristotelica, della geometria euclidea e della fisica newtoniana. Anche il caos non è che un’altra forma di ordine come il cosmo non è che un’altra enunciazione del caos. E’ proprio questo l’insegnamento più fertile della migliore fantascienza, la sua essenza perturbante si tramuta in ultimo in un’estrema rassicurazione: l’ordine è sempre revocabile; esiste sempre la possibilità di un ordine alternativo. Non c’è niente di più rivoluzionario» (p. 14).
Un’antologia, però, è fatta soprattutto (e per fortuna!) dei testi in essa antologizzate. Diciannove racconti, alcuni anche piuttosto lunghi, sono parecchi. Non tutti sono all’altezza della fama consacrata dei loro autori. Valerio Evangelisti, ad esempio, avrebbe forse fatto meglio a non ripubblicare una seconda volta un tentativo di satira un po’ fiacca dal titolo Marte distruggerà la Terra già apparso sul suo blog Carmilla ondine e poi in Acque oscure (Milano, Mondadori (Epix 2), 2009). Così come Umberto Rossi, noto traduttore e studioso di Philip K. Dick, avrebbe fatto meglio a cercare una maggiore originalità nel suo Terra avvelenata piuttosto che puntare su una qual certa dimensione paranoica ad effetto cara ai suoi idoli letterari cui non bastano le parolacce italiane a dare un rinnovamento spontaneo di scrittura (d’altronde, per uno scrittore alle prime prove non è forse lecito aggrapparsi a quello che conosce e che ama). Ma, al di là di questi due esempi non grandemente riusciti e significativi, la raccolta presenta una serie di racconti notevolmente buoni e interessanti. Addirittura tre sorprese a mio avviso inaspettate. Un bel racconto, Il potere logora, di Gianfilippo Pizzo – un testo breve ma assai intenso e con una prospettiva di tipo laicistico ormai inconsueta in questo Paese da sempre propenso ad accettare senza resistenze la realtà di un Potere basato su fondamenti non visibili. Si tratta, inoltre, di un testo che si cimenta con alcune questioni forti del presente con una qual certa leggerezza e disinvoltura stilistica che lasciano bene sperare per il futuro. Un altro racconto significativo, Nekropol, di Walter Catalano è di notevole forza espressiva. In esso, la critica vigorosa al “socialismo reale” dell’URSS si mescola a una dimensione visionaria in cui l’oggetto dell’Orrore si fa metafora non consueta della follia umana. La ricostruzione della cultura russa, poi, di un passato recente non ancora accantonato o radicalmente negato passa attraverso personaggi assolutamente non banali. Lo stesso si può dire per il racconto di uno dei più significativi veterani della SF italiana, Vittorio Catani, il cui L’Area 52 fonde una dimensione di controllo totale della vita e dei suoi mezzi di sopravvivenza (alla The Truman Show) con una costruzione di tipo allucinatorio che una volta si sarebbe detta alla Dick e oggi, invece, è più giusto chiamare alla Matrix secondo i Wachowski Brothers. E’notevole anche il contributo di un’altra vecchia volpe dell’italica fantascienza, Vittorio Curtoni, traduttore tra i più noti e direttore di una rivista, Robot, che nel suo primo ciclo negli anni Settanta fece tendenza e scalpore (il suo secondo ciclo, invece, ormai riguarda soltanto un pubblico di nicchia sempre più esangue). Il suo racconto, La vita considerata come un’interferenza tra nascita e morte, apparve nel 1972 nell’antologia Fant’Italia (a cura di Gianni Montanari e dello stesso Curtoni) della benemerita rivista Galassia e fu ragione di un dibattito (e di un forte discrimine successivo) con la “variante di destra” della scrittura fantascientifica rappresentata perlopiù, allora e sempre, da Sebastiano Fusco e Gianfranco De Turris (ma non solo da loro). In esso, la Resistenza maoista all’occupazione americana in Italia si conclude, sartrianamente, con il muro delle fucilazioni sommarie. Anche Pierfrancesco Prosperi, nel suo Una domenica diversa, si distingue per una narrazione serrata e progressivamente protesa al finale catastrofico della storia dis-topica che racconta. E lo stesso si potrebbe ben dire di Come noi li rimettiamo ai nostri debitori di Milena Debenedetti, storia terribile (forse presto per noi quotidiana) di “ordinaria” televisione e di relativa schiavitù sociale o di Storia di un commissario di Franco Ricciardiello dove “memoria e desiderio” si mescolano in una ucronia selvaggia e potente per il pathos che riesce a creare nel lettore. E ancora Domenico Grasso, Roberto Sturm e il racconto alla Michel Gondry (o è forse l’ormai dimenticato Alec Effinger a ispirarlo?) di Enzo Verrengia come pure il debordante e magnifico Zona rossa, trame nere di Claudio Asciuti…
Quello che conta, però, in questa antologia è la sua capacità di mostrare, in modi tematici e con effetti distorsivi diversi, che la fantascienza non è solo scrittura di genere destinata ad appassionati che vivono ormai nel culto dei ricordi delle loro letture giovanili ma è Letteratura viva e vitale e capace ancora di destare entusiasmo, rabbia e desiderio di lotta.
Come scrive Antonio Caronia nel suo testo posto alla fine del volume, essa permette ancora di:
«Ricercare ostinatamente le tracce dell’ideologico nei testi anche apparentemente più neutrali, impegnarsi a tracciare il percorso (accidentato, tortuoso e quasi sempre sotterraneo) che lega le opzioni e le sottoscrizioni inconfessate del ‘senso comune’ dominante a tanti bei romanzi e a tante storie affascinanti, disinnescare le lusinghe del falso universalismo, quello che traveste da valori universali i tratti specifici (e spesso più odiosi) di una cultura per farne strumento di dominio. E dichiarare, anche oggi, anche nell’era della globalizzazione sfrenata, degli OGM e del dilagare mondiale del liberismo, da che parte si sta» (p.391).
Il che è poi quello che conta da sempre.
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