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di Giuseppe Panella*
«Marsiglia non è soltanto una mescolanza di razze. Ma di sentimenti. I ragazzi seduti ai caffè a leggere vecchi libri acquistati nelle piccole botteghe dell’usato, un clochard che ti fa ascoltare la sua musica a Notre Dame du Mont, il piatto di minestra se hai avuto un lutto, o il tizio che vuole rifilarti un oggetto tombé du camion, caduto dal camion. Marsiglia è il mare al mattino, le spiagge della Corniche, dove chi passa si stende sull’erba per godersi un raggio di sole. Marsiglia è negli occhi della gente. Perché solo nella gente si può leggere una città dove, a volte, il tempo sembra fermarsi anche quando c’è un ingorgo a Castellane o sulla Canebière. Inizio così la grande avventura della trilogia che farà di Jean-Claude Izzo uno tra i più grandi autori di noir» (pp. 130-131).
Marsiglia è la grande protagonista della ricerca biografica e umana condotta da Stefania Nardini in questo suo avvincente reportage. Questo libro parla, infatti, con grande competenza, pathos sentimentale e lampi di poesia, della vita e delle opere di Jean-Claude Izzo, uno scrittore francese noto in Italia soprattutto per una trilogia di romanzi noir e scomparso assai prematuramente (ma ancora vivo nel ricordo dei suoi lettori).
Ma, oltre che dell’autore che ne è l’oggetto, questo testo di Stefania Nardini tenuto e intessuto tra il narrativo e il saggistico dice anche tanto della sua autrice e delle città che ancora ama e che ha amato in passato: Marsiglia e Napoli, due poli marittimi urbani dinamici e messi in relazione da una comunanza del sentire che non è puramente geografica ma è fortemente segnata da una simbolicità materiale e da una coerenza spirituale notevole. Izzo era legato al Sud dell’Italia, infatti, tramite la figura del padre Gennaro, nato a Torello di Castel San Giorgio, in provincia di Salerno, da cui si è spinto, giovanissimo, alla ricerca di fortuna in terra di Francia; con il Meridione italiano, inoltre, vigevano consolidate consuetudini linguistiche, culturali e soprattutto alimentari (lo scrittore di Marsiglia era solito cucinare agli amici una lasagna mediterranea composta di ingredienti misti che venivano da tutto il bacino del Mediterraneo). Come è accaduto, allora, allo stesso Izzo, Stefania Nardini, nata a Roma, ha avuto forti legami con Napoli dove ha lavorato a lungo e con Marsiglia in cui ha vissuto per quattro anni. Come lei stessa scrive nella Nota finale del volume:
«Quando si guarda Marsiglia dalla collina di Notre Dame anche la solitudine riesce a diventare una compagnia. Non ho mai conosciuto Jean-Claude Izzo. Eppure è stato lui che mi ha portata a Marsiglia quando, anni fa, completata la lettura dei suoi libri, lo sognai. Lo sognai nel suo letto di morte. Avrei voluto chiedergli qualcosa. Eravamo in silenzio. E lui mi mostrò una finestra: “La città ti parlerà di me”, disse. Quel sogno mi turbò. Andai a Marsiglia. Dovevo restarci due settimane. Ci sono rimasta quattro anni. Con Sébastien [il figlio di Izzo], Jo, Jacques, Marie-Hélène [l’ex-moglie di Izzo] e tanti altri amici, nel 2003 ho salutato la mamma di Jean-Claude, la povera Babette che ci aveva lasciati. Nelle sale cinematografiche proiettavano Le Marins perdus, un piccolo capolavoro passato sotto silenzio con la regia di Claire Devers. “Marseille est la plus belle ville du monde”, dicono i Massilia Sound System. E non gli do torto. Perché di Marsiglia si porta dentro una cittadinanza caratteriale. E non esiste la parola addio per chi l’ha vissuta nella sua intimità. “Marsiglia non è una città per turisti. Non c’è niente da vedere. La sua bellezza non si fotografa. Si condivide. Qui bisogna schierarsi. Appassionarsi. Essere a favore o essere contro. Essere violentemente. Solo allora, ciò che c’è da vedere si lascia vedere…”. Questo disse Jean-Claude Izzo. Ed ecco perché marsigliesi si diventa…» (p. 171).
L’amore per Marsiglia traspare in ognuna delle pagine che compone il libro della Nardini. Le descrizioni del suo cuore antico e oggi devastato in tutti i modi possibili si ritrovano ogni qualvolta i due nomi – quello di Izzo e quello della città mediterranea – vengono accostati. Non solo – ma questa città un tempo luogo di traffici e di scambi culturali ferventi e fecondi diventa un po’ il simbolo di ciò che il grande mare interno d’Europa ha cessato di essere in nome del profitto e della ragion d’essere del capitalismo finanziario aggressivo e rapace del presente. Izzo, allora, come una sorta di nume tutelare della città e la Città come il Luogo per diritto e per antonomasia della possibilità di raccontare il presente attraverso l’intersezione tra passato e futuro. Izzo ha compiuto questa sorta di piccolo miracolo letterario componendo una Trilogia narrativa che è, nello stesso tempo, un noir avvincente, un’elegia per la giovinezza trascorsa, un epicedio per le generazioni che verranno e una sorta di grande canto muto per raccontare dei luoghi, dei personaggi, dei destini, dei sogni che non è possibile dimenticare. Nasce così un meccanismo che, nello stesso tempo, esalta e tritura, distrugge ed esalta i suoi personaggi. Saranno Total Khéops (nell’edizione italiana Casino totale), Chourmo, Solea: tre tappe nel cammino della vita dell’ex-poliziotto Fabio Montale (chiamato così in omaggio a Eugenio, poeta grandemente amato da Izzo).
«Lo slogan è di Philippe Fragione, noto al pubblico col nome d’arte di Akhenaton, di origini napoletane convertito all’Islam. Ex del gruppo Iam, sigla che ha più significati, non ultimo la parola d’ordine “I am” usata all’epoca della lotta per i diritti civili negli Usa. Anche se Akhenaton spiega: “E’ contro la parola “integrazione” che abbiamo scelto di chiamarci Iam. Non sono un bourrin che vuole tutti somiglianti a tutti. Preferisco l’immagine del mosaico”. Nell’album Sad Hill forgerà l’espressione Total Khéops, che significa essersi cacciati in una situazione particolarmente complessa. Ecco spiegata la scelta del titolo per il primo volume della trilogia (in italiano Casino totale), che solo nel 2002 subirà una variazione quando l’opera verrà trasformata nella serie televisiva Delitti sotto il sole, interpretata da Alain Delon ed Elena Sofia Ricci, e il primo episodio si chiamerà semplicemente Fabio Montale» (pp. 135-136).
Un attore contro la parte in questo caso (un uomo di destra per interpretare un ex-poliziotto di sinistra) – una scelta che fece gridare allo scandalo i devoti di Izzo ma che non scontentò lui, però, che ne capì le possibili implicazioni positive anche per l’audience televisiva, notoriamente poco attenta alle questioni ideologico-culturali. Il successo arriverà in questo modo anche per il figlio dei proletari marsigliesi (padre campano, madre marsigliese, nonno materno di origine spagnola) fino ad allora autore di smilze plaquette di versi e di testi teatrali d’avanguardia (come quello su Angela Davis del 1971 ispirato alle vicende dell’incarcerazione della militante nera di Eugene sulla base di accuse false e costruite dalla polizia). I tre volumi della Trilogia di Marsiglia saranno intervallati da romanzi mainstream come lo splendido Marinai perduti del 1997, la raccolta di racconti Vivere stanca del 1998, e lo straziante Il sole dei morenti del 1999, forse l’opera in prosa più poetica di Izzo, ritratto di un uomo costretto dalla sorte e dalla malafede a percorrere l’inferno della vita del clochard fino a morire al sole nelle vesti di uno di loro.
Fu felice la breve vita di Jean-Claude Izzo (1945-2000)? Io credo di sì, nonostante i problemi, i tormenti, le raffiche di disperazione e l’archiviazione dei sogni della giovinezza. Come l’eroe eponimo del racconto di Hemingway citato nel titolo di questa recensione, Izzo seppe vivere fino in fondo ciò che considerava importante: i suoi amori, le sue rabbie, il suo desiderio di scrittura letteraria e di poesia (fu poeta intenso e suggestivo e anche autore di testi teatrali provocatori e semplici come pure di qualche sceneggiatura cinematografica di cui una mai realizzata, su Lou Andreas-Salomè, ninfa Egeria di Nietzsche, di Rainer Maria Rilke e poi di Sigmund Freud).
Il resto – come dice il Bardo – lasciamolo al silenzio e agli spazi inesplorati del futuro remoto…
In una delle poesie che intercalano il testo e che sono state tradotte con piglio sicuro da Luigi Bernardi si può leggere:
«Scrivere è il mio mestiere / Solitario con te morte solitaria nell’ignoto delle parole // Fratello in solitudine / lavoratore forse / che vive di sogni azzurri di sole nel secolo delle macchine // Cittadino / oberato di domande di problemi di inquietudini / di speranza cittadino come me di una società dove sono piantate / le radici del futuro // Fratello nello sfruttamento / e fratello nella liberazione» (p. 93)
– un sogno non ancora avverato ma che forse un giorno diventerà realtà anche per i marinai perduti nel porto d’attracco in attesa di una chiamata che è sempre più impossibile e remota ogni giorno che passa.
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* Negli anni tra il 1896 e il 1901 (rispettivamente nel 1896, 1897, 1899 e 1901), Anatole France scrisse quattro brevi volumi narrativi (ma dal taglio saggistico e spesso erudito) che intitolò alla fine Storia contemporanea. In essi, attraverso delle scene di vita privata e pubblica del suo tempo, ricostruì in maniera straordinariamente efficace le vicende politiche, culturali, sociali, religiose e di costume del tempo suo. In particolare, i due ultimi romanzi del ciclo presentano riflessioni importanti e provocatorie su quello che si convenne, fin da subito, definire l’affaireDreyfus. Intitolando Storia contemporanea questa mia breve serie a seguire di recensioni di romanzi contemporanei, vorrei avere l’ambizione di fare lo stesso percorso e di realizzare lo stesso obiettivo di Anatole France utilizzando, però, l’arma a me più adatta della critica letteraria e verificando la qualità della scrittura di alcuni testi narrativi che mi sembrano più significativi, alla fine, per ricomporre un quadro complessivo (anche se, per necessità di cose, mai esaustivo) del presente italiano attraverso le pagine dei suoi scrittori contemporanei. (G.P)