Il termine libro deriva dal latino liber per individuare la sottile pellicola posta tra il legno dell’albero e la sua corteccia, usata per le prime forme di scrittura. Oltre che sul liber, si scriveva molto sulla pietra, sull’osso, sulle tavolette di cera o sul tessuto. I Sumeri usavano le tavolette di argilla. Nel terzo millennio prima di Cristo, gli Egizi iniziarono ad usare il papiro che si diffuse anche tra gli antichi Greci e i Romani. Questo l’antico metodo egizio per la lavorazione del papiro: dopo aver tagliato il papiro in strisce, si lascia macerare in acqua per sei giorni, cambiando l’acqua tutti i giorni. Poi si forma il foglio. Si accostano le strisce di papiro, appoggiando per prima una strisca in verticale in alto a destra, e a seguire, sino all’ultima in basso a sinistra senza lasciare spazi vuoti. Terminato il foglio, si lascia in pressa per altri sei giorni. Il papiro non si riusciva a piegare. Quindi doveva essere conservato in rotoli (in latino volumen) composti da foglie incollate e arrotolate su bastoni di legno. I volumen potevano essere lunghi anche 12 metri e ogni colonna di testo di solito aveva dalle 25 alle 45 righe. Si ritiene che dal II secolo a.C. nella città di Pergamo, in Asia minore, venisse usata la pergamena ricavata da pelli di capra, pecora o vitello. A seguito di una prolungata e particolare lavorazione, la pergamena diventava più morbida del papiro e si poteva scrivere da tutti e due i lati.