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Storia del ragù napoletano, il piatto domenicale per eccellenza

Creato il 08 novembre 2014 da Vesuviolive

Ragù

La preparazione del ragù napoletano è un vero e proprio rito che ogni famiglia napoletana doc segue a dovere tutte le domeniche. La lunga e lenta cottura della carne nel sugo di pomodoro sprigiona un profumo inebriante, da far venire l’acquolina in bocca.

Il segreto di questo piatto sta proprio nella lentezza della cottura, che conferisce quel sapore e quella consistenza che lo rendono unico. Si dice infatti che deve “pippiare” (cuocere lentamente).

Il ragù ha origini antichissime: deriva da dal “Daube de boeuf”, un piatto della cucina popolare medioevale provenzale del XII-XIV secolo. Si trattava di uno stufato di carne di bue e verdure, cotti in un recipiente di creta per ore ed ore.
Successivamente il “Daube de boeuf” si tramutò in “ragout”, piatto francese sempre a base di carne e verdure. I napoletani iniziarono a preparare questo piatto nel XVIII secolo per le corti dei nobili, utilizzando carne molto pregiata, come quella di vitello e manzo, senza pomodoro.
Anticamente era un piatto unico domenicale: il sugo veniva utilizzato per condire la pasta e la carne servita come seconda portata.
Carlo Dalbono, storico, romanziere e critico d’arte italiano, in “Usi costumi di Napoli” del 1857 così descrisse il ragù servito nelle taverne
Talvolta poi dopo il formaggio si tingono di color purpureo o paonazzo, quando cioè il tavernaio del sugo di pomodoro o del ragù (specie di stufato) copre, quasi rugiada di fiori, la polvere del formaggio”.

ragù napoletano

Il termine ragù, dunque, non è altro che una trasposizione dialettale del termine francese “ragout”; stessa cosa accade per sartù, gatò e purè, termini entrati a far parte del dialetto napoletano durante il regno di Ferdinando IV di Borbone.
Negli anni del fascismo il termine fu cambiato in “ragutto”, perché non era considerato un sostantivo proprio della lingua italiana.

Una leggenda antica giunta sino a noi, aleggia intorno alla storia ed alla nascita del ragù.

Nell’antica Napoli del 1300 esisteva la “Compagnia dei Bianchi di giustizia”, che invocava “misericordia e pace” per le strade della città.

Un giorno arrivò a via Tribunali presso il palazzo di un signore odiato da tutti, molto crudele e scortese, il quale non accettò l’invito da parte della Compagnia di far pare con i suoi nemici. Neanche il gesto del figlio di tre mesi, che incrociò le mani dicendo per tre volte consecutive “misericordia e pace”, lo scosse. Era irremovibile.
La moglie, un giorno, nel tentativo di addolcirlo, gli preparò un piatto di pasta.

Accade una cosa molto spiacevole ma che allo stesso tempo giovò a tutti: la provvidenza cosparse il piatto di maccheroni con una salsa al sangue, fu così che il crudele signore a far pace con tutti i suoi nemici, indossando il saio bianco della Compagnia. La moglie continuò a preparare i maccheroni e stavolta si riempirono di una gustosa salsa rossa. Il signore chiamò il piatto “rau” come suo figlio.

Nella commedia “Sabato, Domenica e Lunedì” del grande Eduardo de Filippo il ragù è protagonista del pranzo domenicale. Il mitico attore ha anche scritto una poesia intitolata “ ‘O rraù”:

‘O rraù ca me piace a me
m’ ‘o ffaceva sulo mammà.
A che m’aggio spusato a te,
ne parlammo pè ne parlà.
Io nun sogno difficultuso;
ma luvàmell”a miezo st’uso.
Sì, va buono: cumme vuò tu.
Mò ce avèssem’ appiccecà?
Tu che dice? Chest’è rraù?
E io m’a ‘o mmagno pè m’ ‘o mangià…
M’ ‘a faje dicere na parola?
Chesta è carne c’ ‘a pummarola.


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