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Storia dell’arte della cartapesta – la tecnica universale (Arduino Sacco Editore, 2011) di Ezio Flammia

Da Paolo Spalluto @SpallutoPaolo

Storia dell’arte della cartapesta – la tecnica universale (Arduino Sacco Editore, 2011) di Ezio Flammia
Storia dell’arte della cartapesta – la tecnica universale (Arduino Sacco Editore, 2011) di Ezio Flammia è il primo libro interamente dedicato allo studio dell’arte della cartapesta, un’espressione artistica che si può definire un’eccellenza della cultura italiana, frutto dello sperimentalismo rinascimentale.
Storia dell’arte della cartapesta – la tecnica universale (Arduino Sacco Editore, 2011) di Ezio Flammia
Dalle Note introduttive di Valeria Cottini Petrucci e Ennio Bispuri:
“L’importanza e la ricchezza di questo libro sono dovute all’impegno dell’autore a trattare un argomento quanto mai interessante, ma forse non conosciuto abbastanza anche se è nota la rilevanza della cartapesta nell’ambito della storia dell’arte e delle arti applicate. Ritengo che esso sia il primo trattato che approfondisce l’argomento in modo capillare facendone la storia dalle sue più antiche origini; i dati, i riferimenti riportati sono frutto di una ricerca puntuale che l’autore ha fatto e continua a fare su un tema che lo ha attratto e appassionato dall’inizio della sua carriera e che continua a costituire la centralità del suo lavoro e dei suoi interessi.”
Valeria Cottini Petrucci (ex direttore del Museo Naz. delle Arti e Tradizioni popolari di Roma)
“In questa stupenda monografia, Storia dell’arte della cartapesta – La tecnica universale, densa anche di risvolti solo apparentemente marginali e di dettagli tecnici che possono sembrare talora superflui, nei quali invece si caratterizza la peculiarità espressiva di ciascun autore, impressiona la capacità analitica, la mole di conoscenze specifiche e il rigore filologico con cui Flammia dipana il suo filo di storico e di critico, addentrandosi in campi apparentemente differenti quali l’estetica, l’antropologia, la storia, la religione, l’economia, il gusto, la moda e persino la chimica, collegati tuttavia tra loro da una interconnessione profonda.”
Ennio Bispuri (scrittore e storico del cinema)
MOTIVAZIONI
Perché un libro di storia dell’arte sulla cartapesta?
Il libro è il primo interamente dedicato allo studio dell’arte della cartapesta, un’espressione artistica che si può definire un’eccellenza della cultura italiana. La tecnica della cartapesta in Occidente è frutto dello sperimentalismo rinascimentale.
Lo studio ha inizio dall’esposizione delle prime produzioni di cartapesta nelle botteghe toscane e termina con l’analisi di quest’arte nella nostra contemporaneità. Lungo il percorso storico, analizzo i motivi che hanno determinano l’espansione della tecnica in alcune regioni dell’Italia, in altre nazioni europee e negli Stati Uniti.
La cartapesta degli esordi, evolvendosi dallo stucco, raggiunge la sua singolarità materica attraverso le sperimentazioni di grandissimi artisti, il primo è Jacopo della Quercia che collauda, alla fine del Trecento, un amalgama composto di diversi ingredienti, ma soprattutto di filamenti di stoffa (cimadura), simili alle fibrille contenute nelle carte antiche. Le carte erano ricavate dalla frantumazione e macerazione degli stracci di canapa, di lino e di cotone.
Pochi sanno che, dalle botteghe di Donatello, di Antonio Rossellino, di Benedetto da Maiano e di altri scultori del Quattrocento fiorentino, uscivano copie di cartapesta ricavate da calchi di gesso o di terracotta. I prototipi da cui si ricavavano i calchi, erano già predisposti per una produzione seriale adatta a soddisfare le esigenze di culto e le necessità di una clientela di modeste condizioni economiche. Purtroppo moltissime di queste opere sono andate distrutte.
Si conoscono ancora oggi opere di cartapesta di Donatello?
Una bellissima Madonna col Bambino di Donatello si conserva al Louvre in una sala interamente dedicata all’arte italiana del Quattrocento toscano. Le opere esposte sono realizzate con materiali considerati poveri quali lo stucco, la terracotta e la cartapesta. Le materie nobili della scultura, come si sa, erano il marmo e il bronzo, mentre la pietra e il legno erano classificati poco nobili, la ceramica, la terracotta e lo stucco erano inseriti tra le arti povere.
La cartapesta era valutata una ‘materia vile’ poiché era generata da umili stracci. Per questo, in passato, la cartapesta non è stata studiata e, nel migliore dei casi, era considerata una delle espressioni dell’arte popolare.
Nonostante questi pregiudizi, la duttilità materica della cartapesta ha affascinato eminenti personalità dell’arte e, per l’economicità della produzione, è stata utilizzata per la realizzazione di oggetti dell’artigianato, dell’industria e del design.
Quando nasce il termine cartapesta?
Artisti senesi e fiorentini per eseguire le opere di cartapesta utilizzarono sia fogli di carta incollati uno sull’altro, sia un pesto di carta che Vasari definì carta pesta nella “Vita” di Domenico Beccafumi. L’artista senese realizzò un enorme carro semovente in onore di Carlo V in visita a Siena, anticipando di molti secoli i carri allegorici del Carnevale viareggino. Qualche anno prima, Jacopo Sansovino a Firenze, in occasione della visita di Papa Leone X, costruì un enorme “cavallo di tondo rilievo, tutto di terra e cimatura (scarti della lavorazione di stoffe), sopra un basamento murario, in atto di saltare, con una figura sotto di braccia nove”. Il gruppo, “cavallo con figura sotto”, può essere calcolato in altezza, compresa la base, tra i 5 o 6 metri.
Quando s’incomincia a studiare l’arte della cartapesta?
Solo nella seconda metà del XIX secolo alcuni storici dell’arte iniziarono a interessarsi con serietà all’arte della cartapesta, soprattutto ai rilievi della Vergine col Bambino degli artisti toscani del XV secolo. Questo interesse era collegato alla costituzione di alcune grandi collezioni come quelle presso il Kaiser Friedrich Museum di Berlino (oggi Bode Museum), presso il South Kensington Museum di Londra (oggi Victoria and Albert Museum) e presso il Louvre di Parigi.
Protagonisti di questa stagione di rinnovamento culturale furono Wilhelm Bode conservatore poi direttore del museo di Berlino e Louis Courajod, conservatore delle sculture del Louvre. I due storici dell’arte per primi intuirono il valore e la grandezza delle opere d’arte in cartapesta, anche perché alcune erano attribuite a grandi artisti. I due studiosi, nei loro frequenti viaggi in Toscana, acquistarono numerose opere di qualità eccezionale, favoriti anche dalle occasioni offerte da un mercato incontaminato. I due avevano contatti con mercanti esperti e di grande cultura come Stefano Bardini che possedeva le opere migliori del Quattrocento toscano e di altri periodi soprattutto di quel genere appartenente alle cosiddette arti minori. Il mercante toscano, dai trascorsi artistici come pittore e frequentatore del caffè Michelangelo, amico dei macchiaioli, “dopo anni d’intensa attività commerciale, decise di trasformare la propria collezione in museo e di donarla al Comune di Firenze”.
Si conoscono altre opere di cartapesta che non siano bassorilievi devozionali di questo periodo?
Sempre a Siena si producevano meravigliose cornici tonde di cartapesta dorata sia per contenere dipinti di artisti famosi e sia per specchiere. Opere di questo tipo erano destinate all’aristocrazia, per cui la cartapesta, che era nata per riprodurre copie da prototipi di scultori famosi da destinare ad un mercato secondario, si affermò anche in ambienti colti e raffinati. Queste opere erano commissionate dalla ricca borghesia mercantile unitamente alle opere incorniciate.
Nel periodo rinascimentale, per quali altri impieghi la cartapesta è stata destinata?
Conosciamo alcuni manichini che erano delle vere statue da vestire utilizzati per particolari celebrazioni religiose e i mappamondi (sfere o globi celesti e terrestri). Uno dei primi ad adoprare la carta nell’impasto per costruire i mappamondi fu il frate domenicano Egnazio Danti. Il domenicano, verso la metà del ‘500, costruì un mappamondo per Cosimo I dei Medici che si trova ancora oggi nella Sala delle carte geografiche in Palazzo Vecchio a Firenze. Sull’esempio di Egnazio Danti, un altro frate (dei frati minori), Vincenzo Coronelli, realizzò verso la fine del ‘600 una serie di globi terrestri e celesti di cartapesta, di questi i più singolari furono quelli eseguiti per il Luigi XIV, destinati alla reggia di Versailles, ora conservati presso la Biblioteca nazionale di Francia. I due globi misurano m. 3,8 di diametro e sono i più grandi che siano stati costruiti.
Quale ruolo ha avuto la cartapesta nel periodo barocco che solitamente è considerato eclettico e tendente alla meraviglia?
Non solo il grande regista del barocco Bernini, ma anche Algardi, Padre Pozzo ed altri, utilizzarono la cartapesta per diverse finalità: per realizzare carri allegorici, per gli apparati effimeri, per esempi di prova e per le scenografie di opere teatrali, come le famose ridicolose in voga negli ambienti colti romani del Sei e Settecento. Bernini, oltre ad essere l’autore di alcune ridicolose, era il regista e lo scenografo dell’allestimento e partecipava anche come attore alle rappresentazioni. I suoi esempi di prova erano delle cartapeste realizzate per saggiare la perfetta risoluzione estetica di un’opera prima della fusione in bronzo. Un esempio è la cartapesta prodotta per il monumento funebre della beata Maria Raggi nella Chiesa di S. Maria sopra Minerva a Roma. Bernini eseguì, (o fece eseguire dai suoi allievi), una bellissima cartapesta dorata, copia fedele del bassorilievo rappresentante il volto della beata che doveva essere tradotto in bronzo. L’esempio di prova di fusione era necessario per collaudare sul monumento della beata, già in fase avanzata di costruzione, la posizione precisa, l’inclinazione e il volume del bassorilievo in rapporto con gli angeli e con i marmi di diversi colori, in un’insolita soluzione estetica.
Il monumento, costruito su un pilastro della chiesa, rappresenta un drappeggio funebre che, impigliato in un braccio della croce, è trascinato in alto da due puttini-angeli unitamente ad un ovale che contiene il volto della beata Maria Raggi. Il volto, centro d’interesse del monumento, è visto dal basso verso l’alto in una zona della chiesa poco illuminata. Perciò occorreva un esemplare di prova per esaminare la giusta posizione del volto, l’effetto visivo del volume e la tonalità della doratura prima di dare inizio alla fusione di bronzo. L’esempio di cartapesta, nonostante la fragilità della materia cartacea e l’inclemenza del tempo, è ancora d’ineffabile bellezza, lo si può ammirare in una vetrina del museo di Palazzo Venezia a Roma.
Ha parlato del teatro di Bernini, quale altro sviluppo ha avuto la cartapesta?
La cartapesta, oltre all’impiego nella scenotecnica e nell’allestimento teatrale, fu utilizzata per tutti gli apparati effimeri delle feste barocche, come quelli della cuccagna durante i carnevali, ma anche per gli apparati religiosi. Furono in parte realizzati in cartapesta gli allestimenti del Corpus Domini, le macchine processionali, le Quarantore e persino i catafalchi degli apparati funebri.
Un aspetto singolare erano le macchine pirotecniche come quelle della Chinea che era allestita in Piazza S.S. Apostoli a Roma nel periodo barocco. La Chinea era celebrata nei giorni 28 e 29 giugno di ogni anno, risaliva ai Normanni ai quali il Papa concesse il feudo di Napoli e del Mezzogiorno. In cambio era offerta al Papa una somma di denaro in un vaso d’argento, fissato al basto di una mula bianca, detta la chinea che ogni anno lo trasportava, accompagnata da un sontuoso corteo, alla sede papale. La macchina si faceva esplodere al termine dei festeggiamenti, secondo il rituale effimero di tutte le feste.
La cartapesta oltre agli allestimenti effimeri è stata utilizzata per fini pratici?
Questo è un argomento poco noto ed è il più intrigante del mio studio. La cartapesta ha avuto un ruolo importante per insonorizzare alcuni ambienti di teatro come quello del Palazzo reale di Napoli, una sala adattata a teatro da Ferdinando Fuga e perciò con poca acustica, insufficiente per le rappresentazioni di prosa e soprattutto di musica.
II grande baldacchino e le dodici statue furono eseguiti in cartapesta da Angelo Viva per il progettista Ferdinando Fuga nel 1768, avevano una funzione estetica di abbellimento della sala, ma anche di insonorizzare il teatro considerato che la cartapesta, all’epoca, era l’unica materia fonoassorbente. Per lo stesso principio tutte le decorazioni di stucco dei teatri, dal Settecento in poi, furono eseguite in finto stucco o stucco leggero di cartapesta, un composto di gesso e di una consistente quantità di carta pestata. Il finto stucco oltretutto era più appropriato alla doratura.
La cartapesta per i minori costi e per i tempi di produzione fu utilizzata per i soffitti delle chiese per nascondere le capriate e nei palazzi per abbassare i soffitti o controsoffitti e rendere più confortevoli gli ambienti.
Nel museo delle Arti Orientali di Roma, nelle sale III e IX, si possono ammirare due controsoffitti di ottima fattura anche se esteticamente diversi. Il primo più austero, rispecchia l’estetica del palazzo che rimarca uno stile rinascimentale, pensato nel Novecento, il secondo è di un romanticismo medievale alquanto demodé, ma che ricalca la tendenza del momento. Dalla metà dell’Ottocento sino ai primi anni del Novecento i manufatti di cartapesta sono di moda, questo spiega la presenza dei due soffitti in ambienti aristocratici.
Il suo libro “Storia dell’arte della cartapesta“ ha un sottotitolo: “La tecnica universale”. Che vuole indicare?
Alla fine del Settecento sino ai primissimi anni del Novecento la cartapesta fu impiegata per costruire mobili e suppellettili di ogni tipo, famosi sono i mobili eseguiti in Inghilterra nel periodo vittoriano. Erano mobili pregiati, impreziositi con decorazioni in madreperla e laccati. Gli artigiani inglesi, per aumentare la solidità e la durata dei mobili di cartapesta, laccavano le superfici esterne con particolari prodotti resistenti, durevoli e impermeabili. Qualche fonte parla di mobili trattati con lacche ignifughe, ma non fornisce notizie sulla composizione dei prodotti e sulle qualità impregnanti. Questi mobili erano molto ricercati non solo dalla ricca borghesia inglese, ma anche da benestanti di altri paesi. Uno dei costruttori In Inghilterra, tra il 1825 e il 1875, Joshua Bettridge di Birmingham, produttore e creatore di mobili, costruì in cartapesta vari elementi del mobilio. Fu il mobiliere e l’arredatore più ricercato, vendette ed espose i suoi prodotti dappertutto, arredò le migliori case inglesi e fu il fornitore preferito della regina Vittoria.
I mobilieri inglesi eseguirono gli ornamenti, sui loro prodotti di cartapesta, con pitture o con decalcomanie a vari colori su fondo nero o marrone. Le decorazioni erano di stile orientale, in particolare erano d’ispirazione cinese (chinoiseries o china chippendale), in voga a quei tempi. I manufatti di cartapesta, facevano la concorrenza alle cineserie (le mercanzie provenienti dalla Cina), per questo la cartapesta fu utilizzata per qualsiasi prodotto dell’artigianato e, ai primi del Novecento, fu introdotta nella produzione industriale d’Europa e degli Stati Uniti. Da qui la cartapesta fu definita la “tecnica universale”.
Quali altri oggetti furono eseguiti in cartapesta?
L’elenco dei prodotti eseguiti in cartapesta è vastissimo, come si è notato per le cineserie. La cartapesta, per economicità e rapidità esecutiva, fu utilizzata per produrre qualsiasi manufatto, dalle scodelle alle suppellettili, dai cofanetti alle tabacchiere, dai bottoni alle tazzine da caffè, dai separé alle costruzioni di ville e persino per edificare una chiesa in Danimarca. In questo elenco non sono inclusi i giocattoli che meriterebbero una trattazione separata.
I giocattoli di cartapesta ebbero una diffusione vastissima in tutta l’Europa, nelle colonie dell’Africa settentrionale e nelle Americhe. Per soddisfare la richiesta nacquero le prime industrie specializzate nel settore dei giocattoli di cartapesta e delle bambole, in particolare quella di Sonnenberg in Turingia e quella fondata da Luigi Furga Gornini nel 1880 a Canneto sull’Oglio in provincia di Mantova.
Anche questi manufatti, come gran parte della produzione artistica di cartapesta, hanno subito l’ostracismo retaggio di un vecchio pregiudizio basato sulla povertà della materia. Perciò molti giocattoli sono andati distrutti per incuria e sostituiti quando la plastica soppianta la produzione industriale della cartapesta.
Quando ha inizio il vero declino dell’arte della cartapesta?
Il declino della cartapesta nella produzione d’arte ha inizio verso la fine dell’Ottocento e si accentua, come si diceva prima, agli inizi del Novecento, quando un’enorme produzione di manufatti artigianali e industriali, per diversi usi, invade il mercato. Il trapasso della cartapesta dalla sfera dell’arte a quella dell’artigianato e in seguito a quella dell’industria, è inteso dalla critica e dal pubblico, quasi unanimemente, come un declassamento della materia.
La cartapesta, lentamente, è emarginata dalle attività d’arte e di conseguenza è valutata irriverente e indecorosa ad esprimere il sacro e inadatta a rappresentare le espressioni d'arte.
È ancora perdurante il convincimento che la povertà della materia produca un’aridità artistica, sebbene le esperienze contemporanee elevino qualsiasi materiale a forme d’arte: uno dei movimenti recenti si denomina proprio Arte Povera e ancor prima, gli artisti informali, a cominciare da Burri, si esprimono soltanto con la materia che diviene il punto d'appoggio delle loro attività creative. Questo pregiudizio, invalso nell’opinione pubblica, profondamente radicato nella coscienza critica di ognuno, scoraggia l’avvio al collezionismo di oggetti di cartapesta e demoralizza persino giovani studiosi ad intraprendere ricerche sistematiche sulla storia e sulle metodiche di questa tecnica.
Il suo studio tende a sfatare i pregiudizi sulla cartapesta?
Nonostante i convincimenti che tendono ad impedire l’affermazione della cartapesta come medium artistico, i manufatti che, miracolosamente, hanno avuto la fortuna di salvarsi, testimoniano come l’arte della cartapesta, in passato, abbia avuto pari dignità d’altre materie, in diversi settori dalla creatività. Prima che un patrimonio demo antropologico notevole che dovrebbe essere considerato un vanto ed un’eccellenza dell’arte italiana vada ulteriormente disperso (mi riferisco soprattutto alle opere nelle case dei privati e nelle chiese di provincia), sarebbe opportuno catalogare tutto il patrimonio di cartapesta esistente.
Lo studio nell’analizzare il materiale artistico di cartapesta che si conosce ufficialmente nelle chiese e nei musei ed in parte quello da me evidenziato, vuole essere un richiamo non solo alle istituzioni, ma anche agli studiosi, ai possessori di opere di cartapesta, di non sottovalutare questa straordinaria forma d’arte legata alla scoperta della carta in Cina e che in Italia, attraverso Donatello, Antonio Rossellino, Benedetto da Maiano, Desiderio da Settignano, Jacopo Sansovino, Pietro e Ferdinando Tacca, Beccafumi, Bernini, Algardi, Angelo Gabriello Piò, Sanmartino e tanti altri, ha trovato la sua altissima trasformazione in valori d’arte.
La cartapesta oggi potrebbe essere un’opportunità di scelta professionale per chiunque voglia intraprendere il percorso di quest’arte, ispirato dalle esperienze del passato.
Le tecniche, analizzate e utilizzate dagli artisti di varie epoche, potrebbero stimolare una nuova produzione della cartapesta, adeguata ai gusti e alle esigenze della società contemporanea. I campi d’applicazione potrebbero essere quelli topici dell’arte, ma anche dell’artigianato e del design (per la progettazione “artistica applicata agli oggetti di produzione industriale”).
E’ probabile che una mutata politica culturale acceleri le opportunità per gli artisti e motivi nuovi interessi per la cartapesta.
Sono invece sicuro che la tutela di un patrimonio così variegato, che ha interessato ambiti diversi e tutte le classi sociali del nostro paese, possa dare avvio a nuove ricerche e contribuire alla conoscenza di un fenomeno artistico e demo antropologico straordinario, vanto per la nostra cultura. © Ezio Flammia

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