Storia di Aylan

Creato il 03 settembre 2015 da Nenecherie
Stamattina mi sono svegliata, ho cambiato il pannolino a Bebé Cherie, gli ho preparato un biberon tiepido e gli ho dato un biscotto. Poi ho messo a fare il caffè e nell'attesa ho dato uno sguardo a FB e l'ho vista! L'immagine di un bambino poco più grande del mio, capelli scuri, una tshirt rossa bagnata, un calzoncino scuro, gambe sottili e scarpette scure. Era su una spiaggia ma non stava giocando. No, lui su quella spiaggia ci era arrivato da solo, trascinato dai flutti lontano dalla sua mamma. Morto di una morte orribile dopo secondi o forse minuti di terrore, seguiti ad una vita sotto le bombe.
Quel bambino si chiamava Aylan, aveva 3 anni e veniva da Kobane in Siria, una città tristemente nota per le stragi della guerra civile e dell'Isis. Nel corso della sua breve esistenza Ayal aveva conosciuto solo la guerra, le bombe e le privazioni che ne conseguono. Ma probabilmente era un bambino che sorrideva, amava giocare e voleva stare con la sua mamma a fare le coccole perché è questo che fanno i bambini piccoli. Sì anche i bambini nati e cresciuti in mezzo alle macerie e alla disperazione. 
I suoi genitori invece sapevano che lì dove vivevano non c'era alcuna speranza per Aylan. Nessuna speranza di crescere come un bambino sano e felice, nessun futuro. E allora erano scappati in Turchia dove avevano vissuto come profughi e poi avevano chiesto un visto per andare in Canada dove avrebbero potuto assicurare ai loro 2 figli la possibilità di crescere nella sicurezza che meritavano. Ma il visto gli era stato rifiutato. Cosa fare? Continuare a vivere come profughi nella sporcizia e nelle malattie? Tornare in Siria per farsi ammazzare? Impossibile. I genitori di Aylan hanno racimolato 4.000 euro (1.000 a testa) per attraversare su un barcone i pochi km che separano la Turchia dall'isola di Kos.La Grecia, l'Europa, la salvezza! Ma purtroppo in Grecia non ci sono mai arrivati e Aylan è tornato in Turchia da solo con la faccia riversa sulla sabbia di Bodrum. Della sua famiglia oggi rimane solo il padre e forse per lui sarebbe stato meglio morire anche fisicamente insieme agli altri.
Ho provato a scrivere la storia di Aylan perché non ne posso più di vedere foto di bambini annegati sulle spiagge. Non si tratta solo della sofferenza che mi provocano quelle immagini ma soprattutto del fatto che quelle foto mi sembrano privare quei bambini della loro storia, del loro vissuto, riducendoli a simboli della moda social del momento. Perché così facendo l'immagine di Ayal morto si mischia alle foto di un cocktail al tramonto e agli inviti ad un apericena in spiaggia. E io questo non riesco ad accettarlo. Già è terribile essere vissuti e morti così! Aylan merita un po' di rispetto e pace almeno adesso che non può più vivere, sorridere, mangiare e crescere.
Ho scritto questa storia anche perché, sebbene sia contraria alla pubblicazione di quelle foto, non penso che si possa stare con le mani nelle mani. Eppure pare proprio che molta gente avesse bisogno di vedere Ayal con la faccia riversa sulla sabbia e i vestiti bagnati per capire che quando sentiamo dire al telegiornale che "è affondata un'imbarcazione con 30 migranti a bordo nel Mediterraneo" significa effettivamente che molti se non tutti i passeggeri di quella barca sono morti affogati e il loro corpo è stato mangiato dai pesci. Come se aver visto Titanic 10 volte non avesse insegnato loro nulla! Come se quelle parole fossero vuote di senso e rappresentassero solo un necessario e noioso preludio al film in prima serata. Ebbene, miei cari analfabeti funzionali, d'ora in avanti quando sentirete notizie simili ricordatevi che il senso di quelle parole è il seguente "30 esseri umani come noi, di cui almeno la metà erano bambini, sono morti affogati". Semplice no?
Mi sono chiesta perché sentivo l'esigenza di scrivere queste parole e mi sono data qualche risposta. Innanzitutto perché ogni mio post viene letto da circa 500 persone e quindi avevo l'opportunità di far passare un messaggio a qualcuno. In secondo luogo perché non credo che sia sufficiente spargere dolore condividendo immagini strazianti ma che sia necessario riflettere sui motivi che inducono migliaia di persone ogni anno a rischiare la propria vita per raggiungere le coste dell'Europa. Ma anche questo non basta. Occorrerebbe fare qualcosa affinché Aylan sia l'ultimo bambino a morire attraversando il Mediterraneo.
Personalmente credo che almeno ai rifugiati (che sono una categoria diversa dal generico "migrante", il quale pure a parer mio avrebbe diritto a cercare un futuro migliore un po' dove  gli pare... ma non voglio allargare troppo il discorso) andrebbe garantito il diritto di raggiungere la salvezza attraverso rotte sicure e di ricevere asilo in paesi amici. E se ve lo state chiedendo questa non è l'opinione di Nené Cherie, tuttologa di quart'ordine. No questo è quello che sta scritto nella Costituzione della Repubblica Italiana (art. 10 comma 3).
Permettetemi una piccola polemica politica (poi giuro che riprenderò a parlare di scarpe): chi rifiuta di dare asilo a un rifugiato sta calpestando le norme che regolano la nostra società e la rendono umana e civile. Capisco che ci sia la crisi, le tasse e la sanità a cui pensare ma garantire il diritto di asilo è più di una battaglia politica. È una battaglia di umanità. E purtroppo la stiamo perdendo. Che fare? Disgraziatamente non ho la bacchetta magica ma sarebbe bello far capire a chi ha voce in capitolo su queste cose (l'Unione Europea in primis e i singoli governi) che se vogliono conservare le loro poltrone faranno bene a preoccuparsi dell'argomento perché d'ora in avanti sarà un tema che ci sta a cuore. Per quello che vale, d'ora in avanti il mio voto se lo possono scordare se non intendono fare qualcosa per tutti gli Aylan che ancora aspettano sulla sponda sud del Mediterraneo il loro turno alla roulette russa.

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