Il racconto della storia di Denise è di Gianni Martinetto, un medico volontario in Africa occidentale.
Martinetto che ha fatto parte , anni addietro, di un gruppo missionario di Merano, conosce Denise per caso prestando, appunto, servizio quale sanitario nel Benin.
La vicenda(ce ne sono tante di analoghe che potrebbero essere raccontate e non si finirebbe più) è la dimostrazione semplicissima, semmai, che uno sguardo d’amore può molto.
Anzi, può tutto.
E che esso (se si vuole) può restituire un’esistenza di normalità a chi, nel proprio villaggio, è stata allontanata dalla comunità e tacciata di stregoneria solo perché, senza colpa alcuna,è nata magari, a suo tempo, con una malformazione congenita.
E ciò accade, anche oggi, e più spesso di quanto non s’immagini.
In questo il féticheur è irremovibile. Il deforme va bandito dalla comunità di villaggio, perché porta male.
E i genitori, per quanto amino il proprio figlio, sono costretti ad obbedire.
Quando il medico incontra Denise, la ragazza, la protagonista della nostra storia, ha già quattordici anni. E’ carina, è gentile nei modi e, soprattutto, è molto intelligente.
Ma il suo handicap è quello di essere nata con sei dita nei piedi.
E questo non solo non la fa sentire a proprio agio e , perciò “diversa” , ma non le ha neanche consentito di frequentare la scuola come tutti i suoi coetanei, dove compagni e compagne la deridevano.
Dopo il primo incontro tra Denise e il sanitario italiano, un incontro di routine come tanti in circostanze del genere, trascorrono poi dei mesi in cui i due ovviamente non hanno più modo di venire a contatto.
Sempre opera della casualità, un bel giorno, nel corso di uno spostamento da un villaggio ad un altro, insieme ai colleghi e sempre per ragioni di lavoro, il dottore “bianco”, inaspettatamente, reincontra, in piena brousse , Denise, in quello che si dice un “posto di ristoro”.
Alla ragazza quell’apparizione appare come un autentico miracolo e dopo, un saluto caloroso, Martinetto non tarda a rendersi conto che Denise è lì perché è stata venduta come schiava al padrone della baracca.
Con qualcosa che oggi sarebbero meno di 50 euro, mano alla tasca, il” nostro” e i colleghi ottengono di riscattare Denise che, condotta qualche giorno dopo all’ospedale di Tanguieta, con una modica cifra, raccolta dagli amici italiani, è subito operata.
E l’intervento, peraltro riuscitissimo, restituisce alla ragazza quella dignità che una sciocca superstizione, antico e assurdo retaggio culturale, le aveva sottratto, consegnandola alla sofferenza e al disprezzo della gente.
Oggi Denise è una donna adulta, sposata e madre di famiglia e, quando ricorda ciò che le è accaduto, non può fare a meno di ripetere a se stessa :”Dio è grande”.
Ma grandi ,o meglio di “cuore grande”, io aggiungo, sono anche tutti coloro, uomini e donne, disponibili a prestare la propria opera, fosse anche per un limitato lasso di tempo.
E che lo fanno disinteressatamente, soltanto per amore dell’ “altro”, del fratello o della sorella, che ha più bisogno e che, per dignità, non sempre chiede.
Riflettiamoci,specie se siamo giovani. E se siamo nelle condizioni di poterlo fare.
Volontario è bello. Quale che sia la "nostra" professionalità.
Dare "amore" equivale, comunque, a riceverne il centuplo. Non dimentichiamolo.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)