Storia di Efrem: un pelo in crisi d'identità.

Da Valentediffidente
L'altro giorno, dopo aver preso una bulaccata d'acqua, sono rientrato a casa infreddolito. Per evitare di prendermi una bronchite, mi sono buttato sotto la doccia calda. Sotto la doccia, mentre mi insapono, la curiosa scoperta. Sulla schiena, nella parte destra, all'altezza del gomito incontro Efrem (l'ho chiamato così). E' stato un incontro tanto sorprendente quanto fortuito. All'inizio sembrava un capello, scivolato dalla testa e destinato ai tubi di scarico. Dopo essermi sciacquato, invece, è ancora lì. Ripassandoci la mano lo sento ancora. Lo prendo tra pollice e indice della mano sinistra e, tirando, capisco che non è un capello. Ogni tanto mi capita di dover risolvere la questione con un pelo nero e setoloso che mi spunta sul naso. Lui però è fedele a se stesso e ciclicamente si ripronone. Io, senza scrupoli o remore, prendo la pinzetta e lo estirpo. Normalmente salta fuori nei momenti meno opportuni. Quando sono al cinema, per esempio, bello concentrato sulla trama che mi ha coinvolto e, passandomi le dita sul naso, lo incontro. Inizia una lunga battaglia, che si risolverà solo davanti allo specchio del bagno, a casa, con il risultato che quel film non riesco a più a guardarlo con attenzione.
Con Efrem però è un'altra storia. Cacchio è un pelo, lunghissimo, da guinnes dei primati. E' proprio un pelo in crisi di identità. E' un pelo che aspira ad essere un capello, senza averne le qualità; un po' come i frequentatori delle trasmissioni tv, che aspirano ad essere famosi senza averne i mezzi. Non so che fare, ora. Io ho sofferto di crisi d'identità. Uscivo di casa e la seconda personalità non si ricordava dove la prima avesse posteggiato la macchina. Lui è lì, diafano e morbido che non da fastidio a nessuno. Se lo strappo, pongo fine alle ambizioni di Efrem il pelo. Se lo lascio lì, vivrà nella frustrazione di non realizzare il suo sogno. Quasi quasi, domani vado in un centro tricologico e lo dono. Oddio! Potrebbe finire in qualche triste toupè e passare il resto dei suoi giorni come un pelo da riporto. Pensate, però, che bello saperlo su una testa, in pieno vento che fa il ganzo ballando questo pezzo:

Non so che fare. E' proprio una brutta gatta da pelare.http://feeds2.feedburner.com/PiccoleVitalitDiUnaMorteQuotidiana

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