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Storia di firenze: il trecento, la politica e la società

Creato il 19 aprile 2013 da Postpopuli @PostPopuli

 

        

di Luca Moreno

Siamo alla tredicesima puntata della serie di articoli di Luca Moreno sulla storia di Firenze. Le immagini sono numerate in continuità con quelle del dodicesimo articolo.

Vediamo ora la prima parte degli eventi politici del Trecento. Precedentemente abbiamo parlato della riforma degli Ordinamenti di Giano della Bella. Un solo partito si trovava ora al potere in Firenze: quello dei guelfi, che però ben presto si suddivide in guelfi bianchi e guelfi neri. Nei primi si ritrovano coloro che stanno gestendo la politica cittadina, ereditata dalla situazione maturata nel XIII secolo; dietro ai secondi, invece, si riparano coloro che sono o si sentono danneggiati dalla riforma degli Ordinamenti – quindi, prevalentemente, nobili – e che, nonostante siano stati riammessi alle cariche pubbliche dalla revisione successiva all’approvazione degli Ordinamenti (bastava essere iscritti ad un Arte), non accettano di non essere al centro della vita politica fiorentina.

Anzi, grazie all’appoggio di uno dei Pontefici più battaglieri (e faziosi) della storia della Chiesa,Bonifacio VIII, passano al contrattacco. È facile far brillare in città la scintilla che metta i Cerchi, capeggiati da Vieri (guelfi bianchi) contro i Donati, guidati da Corso (guelfi neri). Bonifacio VIII coglie l’occasione per intervenire nella contesa – nonostante essa fosse nata per i soliti motivi risibili, analoghi per importanza a quelli che abbiamo conosciuto in occasione dell’uccisione di Buondelmonte de’ Buondelmonti – schierandosi dalla parte dei Donati, quindi dei neri, con minacce di scomunica e confische per tutti i fiorentini che avessero osato opporsi. Dante in quel momento era Priore. Il Papa, per dar corso alle sue minacce, fingendo di voler agire come uomo di buona volontà, manda un cosiddetto ambasciatore di pace, il Cardinale d’Acquasparta.

firenze trecento 3

Figura 34 (da Wikipedia)

Siamo nel giugno del 1300: i partigiani dei Donati sono ovviamente in festa e avevano predisposto tutto per un’accoglienza trionfale, ma una freccia scoccata non si sa da chi sfiora il Cardinale, e la cerimonia si conclude con scontri e proteste. I neri s’indignano e costringono la Signoria a intervenire. Il governo, con un provvedimento che scontenta tutti, opta per una decisione salomonica ed esilia sia Corso Donati che Guido Cavalcanti, che in quel momento appariva come il rappresentante dei bianchi. Il Cardinale d’Acquasparta viene richiamato dal Papa, ma il primo ottiene dal secondo di procedere comunque all’interdetto (misura analoga alla scomunica) nei confronti di Firenze, con tutti i danni economici che tale provvedimento comporta. Dopo breve tempo, sia Cavalcanti che Donati rientrano in città; solo che, mentre il primo morirà a causa di una malattia contratta a Sarzana, suo luogo d’esilio, il secondo si riorganizza rapidamente ed insiste presso il Papa affinché accetti i servigi di Carlo di Valois (figura 34, particolare della statua mortuaria) – fratello del Re di Francia – e lo invii a mettere le cose a posto in quel di Firenze. La Signoria tenta in tutti i modi di impedire l’arrivo di Carlo; fra gli ambasciatori vi è lo stesso Dante, ora non più Priore, che cerca di convincere Bonifacio VIII ad abbandonare l’idea; ma non vi è nulla da fare, e Carlo di Valois, nel novembre del 1301, entra in Firenze, aprendo la strada ai neri, che assumono le redini del governo fiorentino.

Inevitabili e prevedibili le conseguenze: confische, allontanamenti e punizioni, di cui fa le spese lo stesso Dante Alighieri che, esiliato nel 1302, non tornerà mai più a Firenze. È importante però ricordare che i neri al potere non osano abolire gli Ordinamenti di Giustizia; questo per capire quanto l’impalcatura giuridica creata con il guelfismo fosse ormai codificata anche nell’immaginario collettivo degli avversari (che comunque non abolirono gli Ordinamenti, anche per timore di ribellioni). Per amor di completezza, vi segnalo che i neri si separano tra coloro che rimangono fedeli ai Donati e coloro che diventano seguaci dei Tosinghi, dal nome di Rosso della Tosa, che non sopportando la predominanza (e la prepotenza) di Corso Donati, diventa suo nemico; questa divisione sarà fonte di altre contese.

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Figura 35: Incoronazione di Arrigo VII (da sienafreepuntoit)

Il fatto è però che adesso i pericoli dall’esterno si fanno sempre più gravi e frequenti; a Carlo di Valois, infatti, si sostituisce non un principe qualsiasi, bensì l’Imperatore in persona: Arrigo VII di Lussemburgo (figura 35), il quale, convinto di essere l’erede degli antichi imperatori romani, scende in Italia con grandi programmi di restaurazione, corredati dalla pretesa di farsi incoronare in San Pietro. È l’inizio di una penosa serie, caratterizzata dal predominio di figure “estere” che preannunciano il destino dell’Italia, terra di conquista straniera. Dopo Arrigo VII, sarà la volta di Roberto D’Angiò, quindi di suo figlio Carlo, Duca di Calabria, fino ad arrivare a Gualtieri di Brienne, Duca di Atene, cacciato nel 1343 (nella figura 36targa con stemma del Duca d’Atene e lapide che ricorda la “mala ambizione” di un cittadino che lo sostenne, Firenze, Via de’ Calzaiuoli; didascalia e foto da Wikipedia).

Ma è il quadro generale italiano ed europeo che sta cambiando: l’Italia del nord, infatti, vede già lanascita delle prime Signorie (questo termine, in questo contesto, significa la formazione di stati regionali sotto la guida di un Principe; in altri contesti è sinonimo di “governo”), come quella dei Visconti (ai quali succederanno gli Sforza), mentre al sud vi è il Regno di Napoli e nel centro, oltre allo Stato della Chiesa, la Toscana e Firenze, e comunque altre realtà istituzionali che tendono a raggrumarsi intorno a centri di potere ormai travalicanti l’idea di singola città, ma, proprio per questo, soggetti giuridici che si dimostreranno un ostacolo formidabile al processo unitario nazionale.

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Figura 36 (da Wikipedia)

Subito dopo la cacciata di Gualtieri, nell’autunno del 1344, si verificano dei tumulti, subito soffocati senza sopire però il malcontento; pochi mesi dopo, nel mese di maggio del 1345, entra in scena il cardatore Ciuto (o Cinto) Brandini, che organizza uno sciopero e delle adunanze per le vie della città. Ma il tentativo di associare i propri compagni di lavoro in una “fratellanza” che raccolga le adesioni di operai e artigiani fallisce; arrestato con i figli il 24 maggio, viene giudicato dal Podestà e in pochi giorni mandato a morte per decapitazione. Ormai i benestanti e le famiglie aristocratiche sono alleati nello sfruttare la situazione e nell’accentrare definitivamente il potere nelle proprie mani. […] Nel 1348, lo abbiamo visto, arriva la terribile peste nera, a cui seguiranno annate di carestia e, come in altre città dell’Italia centrale, a Firenze la gravità della situazione avrà come conseguenza una serie di agitazioni dei ceti sottoposti, ridotti alla miseria. Sono anni in cui Firenze vive una condizione depressiva che sfocia in una crisi internazionale che la oppone in modo violento alla Chiesa di Roma, e di cui parleremo nella prossima puntata, dedicata non solo a questo evento, ma anche al celeberrimo Tumulto dei Ciompi.

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