Storia di firenze: le corporazioni di arti e mestieri

Creato il 16 novembre 2012 da Postpopuli @PostPopuli

Siamo all’ottava puntata della serie di articoli di Luca Moreno sulla storia di Firenze. Le immagini sono numerate in continuità con quelle del settimo articolo.

Le corporazioni delle Arti e dei Mestieri

di Luca Moreno

Nel mio lavoro “Storia della Città di Firenze” dedico parecchio spazio a descrivere le Corporazioni delle Arti e dei Mestieri; per ovvi motivi non mi è possibile qui riportare il testo nella sua interezza, pertanto mi limiterò a descrivere le caratteristiche fondamentali di queste istituzioni e soprattutto il significato che esse hanno avuto nell’economia della politica fiorentina nel XIII e XIV secolo. […] Le Corporazioni a Firenze si costituiscono tra il XII ed il XIII secolo. La più antica è quella di Calimala (esistente pare dal 1150, anche se le prime notizie consistenti sono del 1182) ma intorno al 1193 vi erano già sette corporazioni, strutturate in modo pressoché identico. Questa la loro organizzazione: i membri eleggevano un Consiglio composto da un certo numero di Consoli, tra cui veniva eletto un Capo che ne curava tutti gli interessi.

L’ingresso nelle Corporazioni era regolato da precise condizioni: essere figli legittimi di un membro della stessa Arte, dare prova della propria abilità artigiana e pagare una tassa. I membri erano generalmente divisi in Maestri (che possedevano le materie prime e gli attrezzi, e vendevano le merci prodotte nella propria bottega), Apprendisti e Garzoni. Ciascuna Arte aveva il proprio Statuto con pieno valore di legge, e poteva emettere sentenze nelle controversie tra i membri o tra questi e i loro sottoposti. Le Arti proteggevano i propri membri dalla concorrenza di altre città o di persone non appartenenti alla Corporazione, e garantivano la qualità del lavoro con un’attenta opera di supervisione sulle diverse botteghe; si occupavano inoltre di organizzare l’orario di lavoro, stabilendo i giorni festivi e alcuni servizi pubblici; alcune disponevano di tribunali e corpi di guardia.

L’artigiano medioevale era tenuto a seguire regole molto precise; tuttavia non si trattava di costrizioni che gli impedivano di esprimere le sue capacità, ma di norme che gli permettevano di avere un ruolo attivo all’interno della società urbana. […] Se poi ci soffermiamo sui documenti del tempo, scopriamo come esistessero varie tipologie contrattuali, sintomo di una civiltà giuridica davvero evoluta. Per esempio, i Contratti di apprendistato, che stabilivano in che tempi e in che modi un giovane potesse entrare in bottega presso un maestro; i Contratti di committenza, in base ai quali era obbligatorio registrare ogni rapporto venutosi a creare tra un artefice e un committente, sia per i grandi sia per i piccoli lavori; e ciò a tutela di entrambe le parti; il Contratto di affitto della bottega, nell’ambito del quale quest’ultima era valutata in base a due elementi, il sito (con un affitto maggiore nel caso fosse un edificio ad angolo) e l’“entratura” (cioè la fama che un luogo si era conquistato nel corso del tempo) che corrisponde al nostro moderno “avviamento”. […] Esisteva anche il Contratto d’affitto degli arnesi: molto spesso gli artefici non potevano permettersi il possesso degli strumenti del mestiere e per questo li affittavano. Ciò riguardava soprattutto quelli più costosi come telai e torni, ma esistono anche documenti relativi all’affitto di oggetti più semplici.

I Contratti con i sottoposti regolavano i rapporti tra il maestro e il fattore, ovvero l’uomo di fiducia, i salariati o lavoranti (da non confondere con i lavoratori che erano i contadini), specializzati in alcune operazioni e retribuiti per i loro servizi. La categoria più bassa era quella dei garzoni, che svolgeva i compiti più umili. Nella loro struttura codificata, così come appaiono alla fine del secolo, si contano ventuno Corporazioni, alle quali però vanno aggiunte le tre Arti dette “del Popolo di Dio” - nate dalla sollevazione popolare del 1378 (Tumulto dei Ciompi): l’Arte dei Ciompi (salariati dei lavoratori della lana), l’Arte dei Tintori (tessuti), l’Arte dei Farsettai (sarti) - che furono un tentativo fallito di dar voce anche al popolo minuto, escluso sistematicamente dalle Arti ufficiali. Queste ultime, fin dall’inizio, non ebbero tutte pari dignità; esse erano infatti divise in Sette Arti Maggiori e Quattordici Arti Minori (delle quali alcune divennero successivamente Arti Medie). Questi i nomi e le descrizioni delle Arti Maggiori. In figura 21 le insegne delle sette Arti Maggiori (gli stemmi sono in ordine, dall’alto e da sinistra):

Figura 21: Le insegne delle sette Arti Maggiori

1)  Arte dei Giudici e Notai: era la più importante; fra i suoi membri veniva designato il “Proconsolo”, la massima autorità riconosciuta da tutte le Arti; Giudici e Notai svolgevano un’attività analoga a quella odierna;

2)  Arte dei Mercatanti o di Calimala: era detta anche Arte di Calimala, poiché nell’omonima strada erano concentrate le sue botteghe: molto ricca e potente, importava dall’estero i panni grezzi e li riesportava dopo le operazioni di rifinitura;

3) Arte del Cambio: i Cambiatori, oltre a prestare denaro ricavandone interessi, effettuavano il cambio di monete straniere e trasferivano valute fra i vari Stati europei; chi commerciava con l’estero aveva bisogno di ricorrere ai loro servizi;

4)    Arte della Lana: fu la più importante numericamente ed economicamente; a differenza dell’Arte di Calimala, effettuava la lavorazione completa dei panni di lana; dalla raccolta della materia prima alla vendita del prodotto finito;

5)  Arte della Seta o di Por Santa Maria: i suoi prodotti più rinomati furono i broccati, tessuti con oro e argento; ebbe il suo massimo sviluppo nel Quattrocento e fu detta anche Arte di Por Santa Maria per la vicinanza delle sue sedi all’omonima Porta cittadina;

6)  Arte dei Medici e Speziali: ad essa appartenevano coloro che esercitavano la Medicina e coloro che commerciavano erbe medicinali, “droghe” e spezie (gli antesignani degli odierni farmacisti); a questa Arte appartenne anche Dante Alighieri;

7)  Arte dei Vaiai e Pellicciai: dalle pelli grezze, in gran parte importate dall’Europa settentrionale e dall’Oriente, i Vaiai e Pellicciai ricavavano, attraverso la concia e le successive fasi di lavorazione, raffinati capi di abbigliamento.

Gli appartenenti alle Arti Maggiori erano dunque imprenditori, importatori di materie prime, esportatori di prodotti finiti, banchieri, commercianti e professionisti. Ci furono però anche dei mestieri che non raggiunsero mai la condizione di arte indipendente, ma dovettero associarsi a quelle già esistenti, come accadde nel caso dei pittori che normalmente si iscrivevano all’Arte dei Medici e Speziali.

Figura 22: Le insegne delle Quattordici Arti Minori

Vediamo ora le quattordici Arti Minori (figura 22, gli stemmi sono in ordine, dall’alto e da sinistra) nell’ambito delle quali si distinguevano le Arti Medie: Arte dei Fornai, Arte degli Albergatori, Arte dei Legnaioli, Arte dei Linaioli e Rigattieri, Arte dei Maestri di Pietra e Legname, Arte dei Beccai (macellai e pesciaioli), Arte dei Calzolai, Arte dei Correggiai (cuoio), Arte degli Oliandoli e dei Pizzicagnoli (salumi e formaggi), Arte dei Cuoiai e Galigai (cuoio), Arte dei Vinattieri, Arte dei Corazzai e Spadai, Arte dei Chiavaioli e Arte dei Fabbri.

Queste Arti cominciarono a costituirsi separatamente e ciascuna con un proprio statuto solo dopo la metà del Duecento (1266); inizialmente, infatti, erano tutte riunite e confederate in un’unica associazione, con una rappresentanza in comune. Gli iscritti erano molto numerosi, e in certi casi radunavano anche gli appartenenti ad altre categorie professionali affini per mestiere, ma soprattutto quando queste ultime riguardavano attività prive di un riconoscimento ufficiale. Trattandosi però di corporazioni dal carattere prettamente artigiano, le cui attività venivano esercitate praticamente solo a livello locale, il loro coinvolgimento nella vita politica cittadina fu generalmente più limitato rispetto a quello delle Arti Maggiori, e pur contribuendo in modo significativo all’affermazione del guelfismo, rimasero sempre relegate in questa condizione di “minorità”. È per questo che, nonostante l’operosità e il pregio dei manufatti prodotti da alcune di queste Arti, rinomati anche fuori Firenze, i nomi dei loro soci appaiono in modo solo sporadico e occasionale tra gli eletti alle magistrature cittadine.

Prescindendo dalla distinzione di ruolo delle varie Arti, è importante capire il rapporto bidirezionale che esisteva tra queste e le istituzioni comunali fiorentine propriamente dette, perché se è vero che le Corporazioni sono da intendersi come entità giuridiche distinte dagli organi e dalle strutture di cui si compone l’istituto Comune, tuttavia quest’ultimo, almeno nella sua forma medioevale, non sarebbe potuto esistere senza l’apporto umano e materiale rappresentato dalle Corporazioni; si tratta cioè di due parti di uno stesso organismo; indipendenti tra loro, ma l’una necessaria all’altra, e questo perché la filosofia politica tipicamente mercantile del comune fiorentino duecentesco trova la propria giustificazione e il proprio supporto nella rigorosa e per certi aspetti implacabile organizzazione corporativa, al punto che il Comune, per quanto dotato di un’autorità propria, appare (dopo la metà del XIII secolo), come un’emanazione delle Arti. Viceversa queste ultime trovano nell’organizzazione comunale la sponda o, se preferite, la promessa di un sistema istituzionale capace di proteggerle e di riconoscerle come essenziali al buon funzionamento della vita cittadina; un sistema, quello comunale, che garantisce quell’ordine pubblico (anche se nei fatti ciò non sempre accade) necessario come l’aria, perché le attività commerciali si possano esprimere e sviluppare.

È importante però distinguere cronologicamente il momento in cui le Arti trionfarono sul piano economico-finanziario rispetto a quello in cui conquistarono il governo fiorentino: il primo cioè precede il secondo. Per essere più chiari: nel primo Duecento, quando cioè le Arti sono organismi già economicamente potenti, è ancora in corso la lotta tra coloro che stanno dalla parte delle Corporazioni (che sono per lo più guelfi) e le antiche consorterie di origine aristocratico-feudale (formate per lo più da ghibellini) che resistono per non perdere il potere; sotto questo aspetto, l’appoggio al partito guelfo da parte delle Corporazioni (l’essere guelfo era considerato uno dei requisiti “morali” indispensabili ai fini stessi dell’immatricolazione) si rivelò fondamentale per la definitiva sconfitta dei ghibellini e per il trionfo del guelfismo che a Firenze si compie, in prima battuta, con il Governo del Primo Popolo (1250) poi con l’avvento del Priorato (1282) ed infine, nel 1293, con l’approvazione degli Ordinamenti di Giustizia di Giano della Bella, che codificano il sistema delle Corporazioni.

È quindi a partire almeno dal 1260 – nonostante la parentesi breve anche se dolorosa, rappresentata dalla sconfitta di Montaperti - che la borghesia può dire di avere vinto la partita. L’apice del guelfismo, la definitiva conquista del potere da parte del ceto borghese (nelle sue varie sfumature sociali) e la vittoria delle Corporazioni delle Arti e Mestieri (che diventano la pietra angolare su cui si costruisce l’architettura politico-istituzionale della Repubblica fiorentina) sono dunque realtà per certi aspetti analoghe, che caratterizzano la Firenze del secondo Duecento.

Le Corporazioni si trovarono quindi sia ad amministrare grandi interessi commerciali e finanziari in molte parti del mondo, sia a guidare la Repubblica, alla cui grandezza e splendore contribuirono significativamente, dando il via a tutta quella serie di lavori pubblici che ancor oggi restano a testimoniare la ricchezza e la potenza della città. A partire dal Quattrocento però – durante la signoria, ancora ufficiosa, della famiglia Medici - il peso politico delle Arti è assai ridimensionato, e dopo la scoperta dell’America le nuove rotte commerciali misero in crisi il sistema corporativom che si avviò verso un lento declino. Nel 1534 il Duca Alessandro I dei Medici decise di riformare gli Statuti delle Arti, riducendole a semplici associazioni di mestiere, senza più alcuna rilevanza sul piano politico. Nel 1770 il Granduca di Toscana Pietro Leopoldo soppresse tutte le Arti ad eccezione di quella dei Giudici e Notai, che scomparve nel 1777.

Nel prossimo capitolo lo straordinario sviluppo urbanistico – civile e religioso – della città: vedremo così disegnarsi gran parte della Firenze che ancora oggi ammiriamo.


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