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Storia di Paolo Bosusco, “l’uomo che ama la giungla” rapito dai maoisti indiani

Creato il 01 aprile 2012 da Milleorienti

Cari lettori, ecco l’articolo che ho pubblicato sul sito del settimanale L’Espresso con il titolo “Chi è veramente Paolo Bosusco”. Buona lettura.
Dei due italiani rapiti in India il 14 marzo scorso, Paolo Bosusco è quello rimasto lì, prigioniero dei guerriglieri maoisti dell’Orissa. Il suo compagno Claudio Colangelo, liberato il 24 marzo, ha rivelato che «è stato proprio Paolo a proporre la mia liberazione, dicendo che lui è più abituato a quel tipo di ambiente».
Ma chi è dunque Paolo Bosusco? «Alcuni media l’hanno dipinto come un turista sprovveduto che è stato rapito per inesperienza in una regione tormentata come l’Orissa. Niente di più falso. Bosusco è un profondo conoscitore di quel territorio coperto da fitte foreste e abitato da aborigeni. Parla la lingua locale – l’orya – ha buoni rapporti con la popolazione ed è abituato a spostarsi nella giungla fra tigri, elefanti e serpenti. E’ un uomo capace di vivere in quell’ambiente affascinante ma difficile». Chi parla è Giorgio Cerquetti, autore di vari libri sull’India, Presidente della Onlus “Libera condivisione” con la quale ha fondato scuole e dispensari medici in Orissa, ma soprattutto amico di vecchia data di Bosusco.

Storia di Paolo Bosusco, “l’uomo che ama la giungla” rapito dai maoisti indiani

Paolo Bosusco in Orissa prima della cattura da parte dei maoisti

«Paolo arrivò in Orissa 21 anni fa e si innamorò di quella terra verdissima, della sua natura quasi incontaminata, dei suoi popoli tribali, decidendo di farne il centro della propria vita: creò un piccolo tour operator, l’Orissa Adventurous Trekking che propone trekking ecologici nel pieno rispetto delle foreste e del loro abitanti aborigeni. Con il tempo, Paolo è diventato quasi un’istituzione: uno dei pochissimi occidentali che parla la lingua, che conosce usi costumi e tradizioni, e che è noto per il suo rispetto assoluto dell’ambiente, cosa che non si può certo dire di tutti i tour operator. Chi viaggia con lui va a piedi, dorme in tenda e lascia la foresta intatta come l’ha trovata».
Ma allora perché rapire proprio un uomo come lui? «Perché è uno straniero ma soprattutto perché era facile rapirlo, perché va da un villaggio all’altro, non sta negli hotel, sta nella foresta. E’ un uomo coraggioso, generoso e semplice, che è sempre stato rispettato da tutti. Il rapimento non è un’azione contro di lui, è un atto politico dei guerriglieri maoisti volto a suscitare l’attenzione dei media internazionali sulla situazione difficilissima dell’Orissa, uno degli Stati più poveri dell’India, dove gli effetti del boom economico indiano non si vedono, ma in compenso sono diffuse la corruzione, le violenze della polizia, le persecuzioni religiose (hindu contro cristiani), i villaggi tribali sono spesso senza acqua potabile e i diritti degli aborigeni vengono calpestati da chi ambisce ad appropriarsi dei loro terreni, ricchi di risorse minerarie» continua Cerquetti. «Se i guerriglieri rapiscono dei poliziotti indiani non ne parla nessuno, se rapiscono un occidentale invece arrivano le televisioni. Senza contare che Paolo è italiano, cioè cittadino di un Paese che è già sotto l’occhio dei media indiani per la vicenda dei due marò arrestati in Kerala. Non c’è relazione diretta fra i due avvenimenti, ma rapire un italiano in questo momento ‘fa notizia’, anche perché Sonia Gandhi, la leader del Congresso, è di origine italiana».

Piemontese, già guida alpina in Val di Susa, Bosusco scoprì da giovane la passione per le foreste e gli aborigeni durante una lunga esplorazione dell’Amazzonia; poi il viaggio in India e il ‘colpo di fulmine’ per l’Orissa, con la decisione di restare e fondare un’agenzia di trekking. «Questa regione aveva tutto per affascinarlo: una natura straordinaria, un’antica tradizione spirituale e un gran numero di etnie tribali» aggiunge Cerquetti. «Pochi sanno che l’India è il Paese con il maggior numero di aborigeni al mondo, circa 80 milioni di persone chiamate Adivasi, cioè “abitanti originari”, e quasi dieci milioni di questi vivono in Orissa. Perciò Paolo ama tanto quella terra, e fino ad oggi il suo amore era stato ricambiato dalle popolazioni locali». 

Il rapimento di Bosusco si inquadra nell’aspro scontro fra le autorità indiane e i guerriglieri naxaliti, i maoisti indiani così chiamati perché il loro movimento nacque alla fine degli anni Sessanta nel distretto di Naxalbari. L’Orissa fa parte di un “corridoio rosso” che comprende vari Stati dell’India orientale in cui operano da decenni le fazioni armate naxalite, che pochi giorni fa hanno messo a segno altri due colpi: il massacro di 16 agenti delle forze paramilitari nello Stato del Maharashtra, e il rapimento del parlamentare aborigeno Jhina Hikaka, membro dello stesso partito del ‘chief minister’ dell’Orissa Naveen Patnaik.
La fazione naxalita che ha rapito Bosusco, comandata da Sabyasachi Panda, cerca dunque riconoscimento politico e avanza varie richieste fra cui la liberazione di cinque suoi membri da tempo in carcere, tra i quali la moglie dello stesso Panda. I naxaliti accusano inoltre quei tour operator senza scrupoli che – dicono – «portano i turisti a fotografare gli aborigeni come fossero animali di uno zoo». 

Bosusco, che ha ben altri costumi, rischia di rimanere schiacciato da questa terra che ama tanto. Eppure Cerquetti non perde le speranze: «Paolo è un grande giocatore di scacchi, sa muoversi con intelligenza anche nelle situazioni più difficili: non si perderà d’animo. Inoltre le trattative fra Italia, governo dell’Orissa e maoisti sono in corso, anche attraverso vari canali informali, e non conviene nemmeno ai guerriglieri che questa vicenda finisca in tragedia».
In ogni caso Bosusco ha dichiarato in un messaggio reso noto dai guerriglieri: «Con questo rapimento mi è stata fatta una grave ingiustizia, mi sono sempre comportato correttamente nei confronti degli aborigeni e posso provarlo. Nonostante tutto, il mio amore per l’Orissa è intatto. Quando tutto sarà risolto voglio ancora vivere qui e spero che il governo italiano non vorrà rimpatriarmi a forza». L’uomo che ama la giungla non ha intenzione di arrendersi.


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