Storia di una foto: un gol per Gigi Meroni

Creato il 26 novembre 2013 da Masedomani @ma_se_domani

Quando ero piccolo (tutti mi scherzavano, penseranno quelli che amano Elio e le Storie Tese).

No, dicevo, quando ero piccolo ero fortemente sospettato di simpatie juventine. Il punto è che sono stato infantil-calcisticamente innamorato di Platini prima, di Roberto Baggio dopo e persino – confessione bruciante – di Zavarov, uno che arrivava da oltre Cortina di Ferro e aveva un talento infinito totalmente inespresso alle nostre latitudini.

Quello che spiazzava tutti era che, subito dopo i bianconeri, il primo risultato che andavo a guardare nelle classifiche di A – ahimè non contemplanti gli amatissimi rossoalabardati dal lontano ‘58 – era invariabilmente quello del Torino. Per chi abbia un minimo di amore per le storie fatte di sport e passione, ai limiti del letterario, i granata offrono un vastissimo repertorio, e la retorica (reale) del “Cuore Toro” ben rappresentava la ferocità che avrei voluto (e ancora vorrei) buttassero sul campo i miei beniamini.

La fotografia di oggi lo è per modo di dire: si tratta di un “frame”, un istante catturato da un filmato, e vale davvero la pena saperne di più: la trovate alla fine del post.

E’ il 22 ottobre del 1967: la città di Torino tutta (inclusi i “gobbi”) e l’Italia intera non hanno ancora finito di piangere l’assurda scomparsa di Gigi Meroni, calciatore simbolo del Toro e di una società che stava cambiando: uno con capelli lunghi e basettoni altrettanto, uno in grado di giocare con le parole così come con il pallone, uno che per prendere in giro l’immagine di “personaggio eccentrico” che gli avevano cucito addosso i giornalisti decise di prendere una gallina e portarsela in giro al guinzaglio. Meroni, dicevamo era appena rimasto ucciso ed il menù domenicale proponeva il derby, la partita più sentita da parte di tutti i tifosi granata.

I compagni di squadra di Meroni misero in campo rabbia, cuore, la ferocia di felini affamati: dove non arrivava la tecnica volava la volontà, ed al 67° minuto il risultato era già 3-0. Il Torino stava dominando la Juventus senza appello.

Fu allora che accadde.

Si era in quell’epoca magica in cui i titolari avevano sulle spalle i numeri dall’1 all’11. Meroni giocava all’ala destra, con il 7. E pochi giorni dopo la sua morte, toccó ad Alberto Carelli indossarla nel derby.

Naturalmente, e dico naturalmente perché la storia dello sport è ricca di episodi scritti dall’Alto, Carelli segnó il gol del 4-0. E raccolta la palla in fondo al sacco, la elevò con le mani verso il cielo.

Una maglia granata con il numero 7, un pallone indicato al cielo verso un amico scomparso. Non sarà una bella foto, ma è una storia meravigliosa.


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