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Storia di una Ladra di Libri: Quando la Parola Diventa Consolazione

Creato il 16 maggio 2014 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Michela Tetto 16 maggio 2014 cinema, vedere Nessun commento

Di libri e film sulla Seconda guerra mondiale e sull’Olocausto ce ne sono a bizzeffe. Stavolta però Storia di una ladra di libri ce li racconta da una prospettiva insolita, ovvero attraverso gli occhi dei bambini. La pellicola, che ha incassato in Italia circa 3,5 milioni di euro, è tratta dal romanzo La bambina che salvava i libri (Frassinelli) di Markus Zusak e firmata da Michael Petroni (già sceneggiatore de Le cronache di Narnia – Il viaggio del veliero). La regia, affidata a Brian Percival, noto per aver diretto alcuni episodi di Downton Abbey, ha suscitato qualche perplessità ed è stata da molti definita un po’ piatta se non addirittura noiosa. Probabilmente il problema maggiore stava proprio nell’argomento un po’ troppo inflazionato, ma è sicuramente da riconoscere l’originalità nello scegliere come narratore la vera protagonista di quegli anni, ossia la Morte, e nel dare spazio, più che alla tematica bellica, all’importanza della parola come forma di conforto in un momento così drammatico. Il titolo del film mi aveva fatto pensare alla storia di una ragazza che rubasse libri per metterli in salvo, magari libri proibiti durante il regime nazista. Invece, ad essere salvato dal regime è soltanto un volume (L’uomo invisibile di H. G. Wells), sottratto dalla protagonista, Liesel Meminger (Sophie Nélisse), al termine di una di quelle manifestazioni di propaganda dove finivano al rogo tutti quei testi che avevano “inquinato” la Germania. All’inizio del lungometraggio, Liesel, abbandonata dalla madre che è costretta a fuggire dalla Germania perché comunista, viene adottata da Hans (Geoffrey Rush) e Rosa Hubermann (Emily Watson). La ragazzina fatica ad adattarsi sia a casa che a scuola, dove viene derisa dai compagni di classe perché non sa leggere. Tuttavia, con grande determinazione è decisa a cambiare la situazione e trova un valido alleato nel suo papà adottivo che, nel corso di lunghe notti insonni, le insegna a leggere il suo primo libro, Il manuale del becchino, rubato al funerale del fratellino.

Storia di una Ladra di Libri: Quando la Parola Diventa Consolazione

Ho adorato Geoffrey Rush, per me uno dei migliori attori degli ultimi tempi. Premio Oscar per Shine (1996) e già interprete di successi clamorosi come La maledizione della prima luna (2003), Rush aveva attirato la mia attenzione ne Il discorso del re (2010), per poi affascinarmi incredibilmente ne La migliore offerta (2013) di Tornatore. Adesso non potevo che trovare conferma della mia ammirazione in questa sua ultima performance. In Storia di una ladra di libri interpreta il ruolo di un uomo che sembra essere una fonte inesauribile di bontà: estremamente ottimista, nonostante le difficoltà dell’epoca, estremamente paziente con la moglie brontolona, ed estremamente leale ad un compagno morto durante la Prima guerra mondiale, a cui aveva promesso di non tirarsi mai indietro se la sua famiglia gli avesse chiesto aiuto; decide, infatti, di nascondere in casa propria Max (Ben Schnetzer), il figlio dell’amico defunto, aiutandolo così a fuggire dalle persecuzioni naziste. È proprio Max, la cui “colpa” è quella di essere ebreo, ad alimentare la passione di Liesel per i libri e a farle scoprire la bellezza della parola. Da ricordare è la definizione che lui stesso ne dà: «Nella mia religione ci insegnano che ogni essere vivente, ogni foglia, ogni uccello, sono vivi solo perché contengono la parola segreta per la vita. È l’unica differenza tra noi e un grumo di argilla. La parola». Nel film, la parola diventa una forma di conforto per Max, che, ammalatosi gravemente, viene accudito da Liesel che gli legge i libri “presi in prestito” dalla biblioteca privata del sindaco; ma anche uno strumento che restituisce il senso della speranza e dei sogni oscurati dalla morte agli abitanti di via del Paradiso, i quali vengono consolati da Liesel quando racconta loro una storia mentre si trovano nel rifugio antiaereo.

Storia di una Ladra di Libri: Quando la Parola Diventa Consolazione

Storia di una ladra di libri mi ha commosso per la semplicità dei suoi personaggi e per il punto di vista dal quale la guerra ci è stata raccontata. In realtà, la storia della “ladra” (che poi, in fondo, ladra non è) è solo un pretesto, e forse troppo poco approfondito, per raccontarci di come le conseguenze della guerra si siano abbattute sul quartiere di via del Paradiso, che, ironia della sorte, diventa per i suoi abitanti un vero inferno. E così veniamo colpiti dall’innocenza di Rudy (Nico Liersch), il ragazzino dai capelli color limone, come lo definisce Liesel, che si tinge la pelle di nero perché vorrebbe essere come il suo atleta preferito e che viene per questo bollato come “antinazista”; da una madre che ha perso il figlio nella Prima guerra mondiale e che cerca di prendersi cura di una vittima indiretta della Seconda, per provare a lenire il dolore che l’affligge; e anche dai ragazzini talmente immersi nel fango del nazismo, da minacciarsi a vicenda di denunciarsi alla polizia. Mi spiace per la trama poco sviluppata e per la mancanza di veri colpi di scena; rimane persino insoddisfatta la speranza in una possibile storia d’amore tra Liesel e uno dei due protagonisti maschili. Forse quest’ultimo aspetto è stato voluto per lasciare tutta la vicenda adagiata su un livello di estrema purezza ed innocenza; quella stessa innocenza che spinge Rudy e Liesel a urlare “io odio Hitler” senza remore, e che non può non strappare al pubblico un, seppur amaro, sorriso.

Storia di una Ladra di Libri: Quando la Parola Diventa Consolazione


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