Detto questo, al docente spetta il ruolo di indirizzare e di facilitare in ogni modo il processo dell'apprendimento, attraverso la propria esperienza e il proprio costante aggiornamento (indispensabile ancor più per la storia, disciplina che si tende a "dimenticare"). Il professore seleziona gli argomenti da affrontare e ne fa uno specifico momento didattico. Alla base di questa selezione possono contribuire ragioni contingenti (per esempio gli anniversari) e ragioni ideologiche.
Se frutto di onestà intellettuale e di impegno, la scelta dei contenuti è sempre e comunque un'operazione intelligente, anche quando i ragazzi arrivano a stento ad affrontare la seconda guerra mondiale e hanno le idee molto confuse per tutto ciò che riguarda gli ultimissimi argomenti affrontati. Dobbiamo farcene una ragione, i ragazzi non possono studiare e ricordare ogni cosa, già nel giro di qualche giorno i più faticano a etichettare gli argomenti che hanno ripetuto (anche con disinvoltura).
Veniamo dunque al punto. Alcuni ragazzi intervistati non sanno chi fosse Aldo Moro e questo è grave. Ma è anche vero che per comprendere l'importanza di Aldo Moro molti avvenimenti e partire direttamente con una lezione sulla Democrazia Cristiana degli anni Sessanta e Settanta, le BR e tutto il resto rischia di relegare una fase così essenziale - e relativamente attuale - della nostra storia in uno dei tanti cassetti "a perdere" della nostra scuola, senza la necessaria profondità.
Non si tratta, naturalmente, di forzata dietrologia: non occorre arrivare ad Adamo ed Eva per parlare del terrorismo e della vita italiana del secondo Novecento, ma un evento ha bisogno di quel minimo di respiro che gli dia aria e ragion d'essere. Non solo in chiave diacronica (lo scorrere del tempo), ma anche e soprattutto in chiave sincronica (cosa avveniva contemporaneamente in altre parti d'Europa? In altri settori della vita italiana? ecc.).
La linea del tempo, quel segmento su cui si "appendono" in ordine cronologico degli eventi in modo da chiarire il prima e il dopo, è un alleato meraviglioso, se non altro perché consente di sintetizzare l'esistenza di fatti diversi all'interno di un unico racconto. Ma come accade per l'evoluzione di homo sapiens, la linea del tempo unica è una semplificazione inaccettabile e oggi sarebbe meglio progettare un cespuglio di binari che si incontrano e divergono, da cui selezionare di volta in volta il segmento utile a fini didattici.
La lezione deve essere semplice, ma la semplicità non comporta e non può comportare una rinuncia alla complessità. Se la semplicità è un sentiero tracciato nel nulla, che non viene da nessun luogo e non va da nessuna parte, quella è nient'altro che una strada inutilizzabile, un orpello come un altro e meno accattivante di qualsiasi piercing. Così, allungare o accorciare questo sentiero tracciato nel nulla perde valore agli occhi dei nostri studenti e diventa occasione di animosità inutile da parte di chi non fa scuola. È la complessità a dare luce alla storia.
A me il problema di fondo di quest'ignoranza sembra non meno generazionale di altri. Io sono nato nel 1975, di Aldo Moro ho saputo molti anni dopo e un quadro definitivo me l'ha dato il famoso libro di Leonardo Sciascia: a due anni e mezzo non avevo nessun interesse per gli affari della vita pubblica e certo non ho studiato quel periodo a scuola. Di contro, avevo attorno una generazione di adulti scottati dagli eventi. L'importanza di certi fatti, a volte, è in parte dovuta anche a un'eredità d'affetti e di memorie: il contagio emotivo esiste.
Io sono sensibile come mai prima al problema dell'analfabetismo del presente e, via via che passano gli anni, mi faccio portatire dell'esigenza scottante di farsi carico di umanità. Per questo non sopporto le selezioni esclusive, a netto discapito di altri sguardi. Raccontare - soprattutto a degli adolescenti - significa educare la memoria ed educare la memoria significa lasciare che nella memoria possa avere sempre e comunque accesso l'alterità, una visione che si integri, completi, arricchisca uno stereotipo.
Non sono (né pretendo di essere) originale, quando dico che il torto maggiore che si può fare agli studenti è dire che "la storia è quella", il resto è narrazione più o meno fantasiosa. La storia è l'apertura verso altri racconti, è l'insorgere dell'interesse (anche estemporaneo, se occorre, sono bellissimi questi fuochi improvvisi e spesso effimeri), la storia è uno schiaffo al pensiero unico, agli acritici memoriali a scadenza fissa, degli irrazionali pamphlet fuori corso perché anacronistici.
Smettiamola di abusare di criteri economicistici fuori luogo e di chiederci che senso abbia ricordare oggi una cosa piuttosto che un'altra. Apriamoci alle cose e cerchiamo di portarci con noi quanta più vita riusciamo, nel rispetto delle nostre ricerche personali. Delle interviste ai ragazzi che non sanno di piazza Tienanmen o di Matteotti non mi spaventa l'ignoranza, bensì la mancanza di curiosità. Il bene più grande a cui deve ambire una cultura - anche attraverso la scuola - è proprio questa curiosità. Per imparare cose nuove c'è sempre tempo.