La cucina a Napoli è un vanto, un motivo d’orgoglio che rende fieri delle proprie origini. Tante volte si associa la “napoletanità” all’arte del saper cucinare, ma purtroppo non sempre le due cose vanno in armonia. Quello che però può essere un dato certo è la passione e la tradizione culinaria che Napoli porta avanti con successo.
Molto spesso abbiamo sottolineato come la bontà dei piatti partenopei sia caratterizzata dalla semplicità e dalla genuinità delle proprie ricette, piatti semplici, moto spesso ritenuti “poveri” per le loro origini, ma ricchi di sapori e storia da far venir fame anche alla regina. Uno degli alimenti maggiormente consumati a Napoli è la trippa, ‘o pere e ‘o musso, servita nei modi più svariati, dal classico “cuppetiello” condita fresca, al sugo o con le patate secondo la ricetta siciliana, ma uno dei piatti più famosi è sicuramente ‘a zuppa ‘e carnacotta.
Quando si fa riferimento a questa pietanza tipicamente napoletana, si parla ancora una volta di un piatto povero, molto amato dal basso ceto sociale, che non possedendo particolari beni per potersi permettere pasti speciali, preferiva non buttare via nulla del maiale, facendo così degli scarti, ritenuti non adatti ai palati nobili, il loro alimento per sopravvivere alla fame. Fin dal lontano 1600, infatti anche a Napoli nella famiglia reale, le interiora e frattaglie varie degli animali erano considerati scarti non adatti ai palati reali, ma utili a poter sfamare la povera gente con un apparente gesto di magnanimità. Proprio per questo motivo, fuori le cucine del Palazzo Reale, venivano gettati alle povere genti questi resti animali che a palazzo non venivano consumati, ma che per il basso ceto erano un vero e proprio pasto sostanzioso per la propria quotidianità. All’atto di gettare via le frattaglie di scarto da parte dei cuochi che cucinavano prelibatezze succulente per il Re e la Regina, accorrevano molte donne dai quartieri, che pur di accaparrarsi quantità sostanziose di avanzi, iniziavano a sbraitare ed agitarsi animatamente, fino a darsele di santa ragione, pur di ottenere il cibo conteso. E’ proprio a loro che va l’appellativo di “zandraglie”, cioè quindi le donne del popolino che accorrevano per contendersi gli scarti gettati via dalle cucine del Palazzo Reale. Ancora oggi il termine “zandraglia” ricorre in quello che è il nostro parlare comune, e fa solitamente riferimento a donne, che si agitano e urlano in modi poco appropriati al gentil sesso.
Oltre al termine “zandraglia”, un altro nome ancora oggi diffuso è ‘o carnacuttaro, che non va confuso col venditore ambulante di ‘o pere e ‘ o musso, perché al contrario ‘o carnacuttaro prepara i piatti nella sua cucina e li serve al tavolo per fare in modo che i suoi clienti possano gustare la sua specialità bollente e appena fatta.
‘A zuppa ‘e carnacotta può essere preparata anche comodamente a casa, ma la cosa fondamentale da ricordare, è che va consumata quando ancora è ben calda. Questi gli ingredienti e il procedimento consigliato dal portale violamelanzana.blogspot.it.
-Ingredienti:
- 2,5 kg di trippa e frattaglie di bue (centopelli, intestino collarino, ventre ed altre prelibatezze)
- pomodorini
- sedano
- carote
- mezza cipolla
-Procedimento:
Far bollire in un tegame per circa 10-15 minuti, le carote, i pomodorini, il sedano e la cipolla. Una volta fatta insaporire l’acqua e ammorbidito i primi ingredienti messi a cuocere, aggiungere la trippa e lasciar cuocere per altre 3 ore.
Avere cura di rimuovere la schiuma bianca che si formerà durante la cottura della trippa e non aggiungere alcun tipo di condimento. Una volta cotta la trippa, tagliarla a striscioline, adagiarla in un tegame accompagnata da fette di pane raffermo, e dal brodo bollente che verrà successivamente versato sopra.
Per chi volesse, aggiungere pepe e una manciata di parmigiano. A’ zuppa è pronta. Buon appetito!