La ritualità sacra è ben strutturata nell’Homo Sapiens ed era presumibilmente presente già dal Neanderthal, se non ancora prima. Nell’Homo Sapiens si ha già una pratica diversificata, con tipologie rituali diverse, come le pitture parietali con valenza di ex-voto o i giochi simbolici di abilità, propedeutici e propiziatori per la caccia. Data l’economia prettamente venatoria, emerge la figura di un Signore degli animali che guida, grazie al suo potere sciamanico, gli uomini nella caccia. Accanto ad esso, probabilmente nei luoghi dove la raccolta di vegetali commestibili spontanei è più abbondante, si inserisce la figura della Dea Madre, associata alla fertilità della terra e destinata ad avere un ruolo di primissimo piano dopo la rivoluzione agricola e per tutta la durata del neolitico (10.000-3.000 a.C.). Con la sedentarizzazione della vita delle prime comunità agricole si assiste alla divisione specialistica del lavoro e, con essa, si delineano anche le figure preposte al culto: il sentimento del sacro, condiviso dalle tribù di cacciatori del paleolitico, nelle più ampie e complesse comunità agricole assume le forme di un vero e proprio fenomeno religioso, vale a dire un legame stretto tra i membri della comunità avente per oggetto il sacro. Il prestigio goduto dagli individui investiti della guida spirituale porta a commistioni sempre maggiori tra la sfera del sacro e il potere politico. Nelle civiltà monumentali si arriva, in questo modo, all’identificazione dei due poteri o alla creazione di caste sacerdotali tanto potenti da poter condizionare pesantemente la politica. In età classica, il predominio della sfera civica porta ad una certa laicizzazione della religione che tende ad annacquare le motivazioni spirituali più profonde, privilegiando gli aspetti esteriori del culto e la loro funzionalità sociale. La frammentazione eccessiva del politeismo e la subalternità del sacro alla virtù civica portano all’affermazione prima dei culti misterici e salvifici e successivamente dei monoteismi e delle religioni rivelate, con le classi sacerdotali che riprendono il loro predominio sulla vita civile, grazie al seguito delle masse popolari e all’abilità speculativa dei sacerdoti.
Il termine religione deriva dalla parola latina religio. I primi ad offrire una spiegazione etimologica del termine furono Cicerone e Lucrezio. L’oratore arpinate lo volle derivato da relegere (rileggere, ripercorrere) con riferimento al coinvolgimento e alla cura che i fedeli manifestavano verso tutto ciò che riguardava il culto. Lucrezio propose una derivazione da religare (legare assieme), sottolineando i legami tra la divinità e i fedeli e sottintendendo criticamente l’oppressione e la manipolazione esercitata dalle classi sacerdotali. Questa etimologia, sebbene considerata molto meno affidabile di quella ciceroniana dai filologi, venne ripresa con successo da Lattanzio e adottata dalla chiesa, mentre venne fatta cadere quella ciceroniana, nonostante fosse stata riproposta da Agostino. Dunque, nell’accezione cristiana, oltre al vincolo dei fedeli con l’unico vero Dio, la religione presuppone una liturgia decisa e imposta dalla classe sacerdotale; di conseguenza, un culto, per potersi definire religione a tutti gli effetti, oltre alla condivisione in una comunità di fedeli, deve avere anche un’organizzazione gerarchica che stabilisca l’ortodossia liturgica. In questo senso, la religione appare come uno strumento del potere per organizzare e guidare lo spontaneo sentimento del sacro, secondo l’interesse della classe sacerdotale.