Facciamo un quiz: vi mostro due foto e voi mi dite quale potrebbe essere la città illustrata. Eccole qui:
Almeno uno avrà pensato Verona (dite la verità). NO, non è la città scaligera. Rendiamola più semplice: in che nazione si trova?
Ok, molti ci avranno piazzato il nostro tricolore sopra, ne sono abbastanza sicuro. E anche qui, ahimè, ci siamo sbagliati.
Quella raffigurata nelle due immagini è Pola, attualmente in Croazia, città capoluogo dell’Istria.
E perché iniziare un post sul IX Canto dell’Inferno dantesco con due foto di Pola? Beh, semplicemente perché quel canto contiene questa (splendida) terzina, che fra poco cercheremo di contestualizzare:
“Sì come ad Arli, ove il Rodano stagna,
Sì come a Pola presso del Quarnaro
Che Italia chiude e i suoi termini bagna.”
In estrema sintesi: Dante voleva descrivere l’aspetto della città di Dite là dove è disseminata di sepolcri infuocati. Chiediamo ancora una volta aiuto a Dorè per chiarire ulteriormente:
Come spesso capita al genio dell’Alighieri, per rendere più efficace la descrizione fioccano riferimenti alla sua contemporaneità: così, la disposizione delle tombe richiama alla mente del Poeta le necropoli romane di Arli (Arles) e Pola.
Ora, mentre il cimitero di Arles era piuttosto celebre nel Trecento (anche per via di una leggenda che narrava che fosse sorto miracolosamente in una notte per dare sepoltura ai soldati di Carlo Magno), della necropoli di Pola non viene raccontato in nessun testo precedente alla Commedia.
Quindi, bello!, c’è almeno una corrente storiografica che ritiene che nel corso del suo esilio e del suo peregrinare, Dante abbia soggiornato nella penisola istriana, identificando nel Quarnaro uno dei naturali confini dell’Italia “di dolore ostello”.
All’analisi storico-letteraria va poi aggiunta la tradizione locale: chiunque abbia frequentato quelle (bellissime) terre sa che da sempre si narra del soggiorno di Dante presso l’abbazia benedettina di San Michele in Monte. E dove sorgeva l’abbazia? Sopra Prato Grande, il terreno che ospitava la necropoli oggi scomparsa (gli abitanti della zona, con gran fare pratico, la saccheggiarono nel Quattrocento per utilizzarne pietre e marmi).
A me questo Dante itinerante che prende mentalmente appunti dei luoghi in cui, dolorosamente, è costretto a muoversi in esilio forzato dalla sua città per poi riproporli nel capolavoro di una vita piace davvero un sacco. L’ho detto.