Il mio paese, fino a una cinquantina d'anni fa, era un paese rurale, dedito prevalentemente all'agricoltura e alla pastorizia.
Così recitavano i sussidiari di una volta, quando si accedeva alla sezione dedicata all'economia dei paesi.
Oltre alla terra e agli animali, qualche piccola impresa edile diretta da un capo-mastro, qualche mezzadro, manovali a giornata, qualche commerciante che vendeva di tutto nel suo emporio e uno stuolo di piccoli artigiani: calzolai, barbieri, stagnini, elettricisti, fabbri, pittori edili, che col loro lavoro, apparentemente misero, riuscivano a campare le loro famiglie numerose e anche a far studiare i figli.
Miracoli di una volta.
Ma a quei tempi pareva che le famiglie si crescessero da sole e che lo studio davvero fosse per tutti, una possibilità offerta a tutti.
Verso la fine degli anni '50 qualcuno venuto dal vicino, e ancora più povero Abruzzo, in cerca di fortuna scoprì che una pietra nobile, con cui si facevano solo cippi stradali e cigli per marciapiedi, era suscettibile di essere lavorata e raffinata meglio: se ne potevano ricavare rivestimenti anche per interni, oltre che per esterni.
Naquerò così le prime vere cave di marmo Perlato Royal di Coreno.
Un nome che per qualche anno è riuscito a valicare i confini della regione e della stessa nazione, per rimbalzare fino ai quattro angoli del mondo che si andava già globalizzando.
Fatturato miliardario, occupazione di qualche migliaio di operai, anche di fuori, e indotto massiccio e fiorentissimo.
Da Coreno non emigrava più nessuno, anzi.
E' andata avanti così per circa un ventennio: pare le cose in Italia durino tutte vent'anni, come è successo per Mussolini o per Berlusconi, ad esempio.
Negli ultimi anni, purtroppo, molte cave e segherie sono entrate in crisi.
Gli operatori del settore, i politici e gli amministratori locali, la gente, tutti si stanno interrogando su cosa sia andato storto e non ha funzionato.Qualcuno già si prepara ad intonare il "de profundis".
Ci si chiede cosa il marmo di Coreno potesse diventare e non è diventato; cosa il marmo potesse far diventare Coreno e chi come dove quando e, soprattutto, perchè ha fallito l'ambizioso obiettivo.
Oggi, "in extremis", stiamo assistendo ad una diversificazione dello sfruttamento dei giacimenti e ad una modificazione degli stessi sistemi di lavorazione della pietra.
Molte cave hanno chiuso e sono comparsi i primi frantoi di pietrisco, spesso all'interno della stessa cava dismessa.
In essi la pietra calcarea informe, non suscettibile di altro sfruttamento economico, viene schiacciata, maciullata, triturata, a volte perfino polverizzata, per essere utilizzata, sotto questa nuova forma, nell'industria delle costruzioni e nell'industria cosmetica.
La nuova attività "potrebbe" contribuire al rilancio del bacino marmifero agonizzante e potrebbe anche riverberare risvolti positivi sul ripristino dei luoghi soggetti all'escavazione.
Inducendo gli imprenditori a cercare materiale da sfruttare, non dalla escavazione "tout court", ma dal recupero dei cosiddetti "sfridi".
Gli "sfidi" che, per lungo tempo, erano stati "depositati" e "dimenticati" e "tumulati" nelle discariche a cielo aperto, accessori necessari e irrinunciabili delle miniere, ma ai margini di esse, erano vere e proprie valvole di sfogo, ma avevano l'unico grande difetto di non essere invisibili.
Contribuivano, anzi, a deturpare come ferite inguaribili il bel paesaggio collinare visto dal mare.
Ora quei massi informi, creduti inservibili e scartati, vengono riscoperti e recuperati: scavati dal terreno, estratti per la seconda volta dalla terra hanno avuto la loro vendetta; sono la nemesi dei più nobili blocchi squadrati, portatori di prosperita e ricchezza effimere.
Il problema, come succede spesso, è che la nuova frontiera del marmo, la nuova corsa all'arricchimento col Perlato Royal di cinquant'anni fa ha fatto in modo che si trascurassero tutte le altre attività economiche, quelle già esistenti e quelle potenziali, ma mai avviate.
E chi lo dice, infatti, che il mio paese, invece di puntare tutto sulle cave di marmo, non potesse e dovesse sfruttare meglio la sua invidiabile posizione geografica e paesaggistica?
E chi lo dice che il mio paese non avesse una vocazione turistica che avrebbe potuto regalare più reddito, più benessere, più ricchezza della pietra e che fosse anche più duratura e diffusa?
Come amava dire, fino a pochi giorni dalla morte, il compianto amico Tonino, il primo e unico che aveva scommesso tutto sulla vocazione turistica del mio paese: "...ma, forse, non tutto è perduto!"
Forse....
smr