Qui incatenavo la prima vittima urlante all'ovetto stando ben attenta che il mio busto non si mettesse troppo in orizzontale per non perdere il nano ancora avvinghiato a me, anche lui urlante, ovviamente. Altro giro altra corsa: seconda vittima anche lei al posto di combattimento, con difficoltà, ma incatenata correttamente. Al capolinea l'operazione era inversa. E con l'incedere elegante e leggiadro di un elefante 20 kg in sovrappeso raggiungevo il varco felice di liberarmi dei fardelli per dirigermi spensieratamente al lavoro, agognando il primo caffè della giornata, finalmente.
E invece la strada in discesa non è. Perché per lavarli e vestirli è una lotta: bisogna inseguirli e cercarli, mentre scappano e si nascondono in tutti gli angoli della casa seminando vittime e disastri. Succede che vestita a metà, mi tocca gattonare sotto i tavoli e gridare i loro nomi correndo lungo il corridoio nella speranza che qualcuno sbuchi da sotto il letto o dalla lavatrice, inclusa mutanda sporca in testa. Che se non avessi fretta sarebbe anche divertente, in fondo. In ascensore ci si arriva con i nostri piedi, per fortuna, adesso. E anche alla macchina, che tanto è sempre parcheggiata nel cortile interno e i pericoli sono limitati. Il guaio è quando si arriva a destinazione, cioè a scuola. Stamattina l'ho pianificata per bene, la strategia per l'atterraggio. Tommaso lato guidatore e Lorenzo alla sua destra. Parcheggio davanti al giardino della scuola, sul marciapiede. Apertura della sola portiera di destra. Distesa lungo tutto il sedile sgancio e libero Tommaso che goffamente inizia a divincolarsi per raggiungere me e Lorenzo. Nel frattempo sgancio e libero Lorenzo e lo poggio sul marciapiede, aspettando che Tommaso lentamente si avvicini a noi lungo il sedile e aiutandolo a scavalcare il seggiolino del fratello. Il problema è che lo scavalca maldestramente e gli vola una scarpa. A quel punto mi ritrovo con due nani in una mano, allungata dentro la macchina nel tentativo di recuperare la scarpa perduta sotto il sedile e Lorenzo che vuole lanciarsi verso le macchine, strillando bruuum bruuum. Per fortuna a quel punto, da lontano, accorre una signora, credo tedesca dall'accento, sorridente e dall'aria distinta, e mi chiede: "sono gemelli?". Io vorrei fulminarla, ma mi mordo la lingua tenendo a freno una delle mie solite battute simpatiche sulle domande retoriche. Capisco che posso, che devo approfittarne. "Signora, non è che gentilmente me lo tiene?". E le allungo la manina di Lorenzo. Lei lo prende in braccio e lui urla, piange, scalcia, si inarca e si dimena. Forse le rompe qualche costola, ma io, nel frattempo, riesco a recuperare la scarpa e a infilarla al piede del mio Cenerentolo. Recupero anche Rambo, ringrazio la signora e saluto gentilmente. Dimenticando di offrirmi di pagare il conto della clinica.
Il caffè, la mattina, arriva sempre troppo tardi.