Storie di Vita Vera: L'intervento

Da Lazitellaacida
E' giunta l'ora amiche.

Vedo che state tornando, tutte. Anzi, ci sono delle nuove. Non potete capire il piacere che mi fa ricevere i vostri commenti nella casella di posta.  Alla faccia di quelli che credono che questo blog sia un ammasso di cazzate. Siete dolcissime. Dalla Barbara che non si manifesta quasi mai, alla Sofia che proprio non si manifesta più (ma spero che stia bene), alla luce dei miei occhi Simone, alla Michela, alla Sara, Babette, Iaia, Sascha, ValeF, Alessandra, Martacci, Virgola... Insomma, fare l'appello sarebbe difficile però ricevere i vostri commenti di bentornata è come avere qualcuno a casa che mi ha aspettata dopo un lungo viaggio: sentirsi due braccia che si gettano al collo scalda il cuore. Vi ho promesso un racconto dettagliato della mia operazione agli occhi visto che avete vissuto l'attesa dell'intervento con me. Ormai è inutile che aspetti di tornare in possesso del Blackberry e del pezzo che avevo già scritto in proposito, cerco di recuperare quei brandelli di memoria a breve che mi è rimasta dalle ultime canne fumate e ricomincio. Quando ho lasciato Milano il 25 febbraio godevo ancora del beneficio dell'incoscienza: l'ansia da 'mastaveramentepersuccedere' ancora non mi aveva assalita. Il week end prima dell'intervento l'ho trascorso chiusa in casa a subire il nervosismo pre-partenza dei miei genitori che non si sono mai allontanati molto dal Paesello e sopratutto quasi mai in treno. Mio padre durante il viaggio mi ha ricordato che l'ultima volta che aveva preso il treno era stata quando siamo andati a Venezia. Io avevo 6 anni, mio fratello 10 e c'erano ancora le lire. Mia madre già dopo 40 km cominciava a lamentarsi degli spifferi. Insomma, per lei l'ansia del pre-partenza era terminata non appena aveva messo piede sul treno quando per me è cominciata l'ansia del pre-intervento. Poco dopo cena li ho spediti in hotel mentre mi sono dedicata alla visione della super fiction sulle Sorelle Fontana che per altro devo ancora finire di vedere. Il giorno dell'intervento mi sono svegliata prestissimo perchè dovevo essere a Rozzano alle 8.00 ma non sono scesa in strada prima di aver dato un ultimo sguardo alle foto sugli Oscar e aver osservato che Michelle ha indossato l'abito che avevo indicato io. Una volta arrivata a Rozzano la mia ansia funesta ha cominciato a scagliarsi a caso contro mia madre, la receptionist, inservienti vari. Nessuno sapeva dirmi dove cazzo dovevo andare. Dopo aver firmato qualche altro foglio di autorizzazione e un paio di assegni finalmente cominciano la preparazione medica: Valium, antidolorifico e collirio. Eravamo io e un'altra tipa che mi precedeva. La dottoressa che sbrigava la fase preparatoria era una figa pazzesca, con accento spagnolo. Bionda. Chiamalo scemo eh, il Superoculista. Quello è arrivato e non ha nemmeno salutato. Lui probabilmente saluta con un sorriso solo gli assegni che portano il suo nome. Mi fanno entrare in uno stanzino che comunica con la sala operatoria e la Dottoressa Figa mi mette dell'altro collirio dopo avermi disinfettato e sterilizzato la zona perioculare. Il Superoculista nel frattempo stava operando la tipa prima di me, era questione di poco ormai. Ogni paio di minuti la Dottoressa Figa usciva per mettermi dell'altro collirio: 'non sentirai nulla con tutto questo collirio, stai tranquilla'. Certo. Finalmente la tipa prima di me esce, sulle sue gambe. Un po' disorientata, ma sorride. La Figa le dice: 'Glielo dica che è una passeggiata, che non ha sentito niente', lei cerca di farfugliare qualcosa e quando sto per farle una domanda mi fanno entrare in sala operatoria. Ho ancora i miei occhiali in mano quando mi sta facendo entrare: 'E questi?' chiedo. Non mi sono resa conto che li stavo togliendo per l'ultima volta quando la Figa li ha appoggiati sulla mensola. Mi fanno sdraiare sul lettino e scivolare con la testa sotto un macchinario. Mi sarei aspettata anche delle cinghie per tenermi ferma. Non sentivo nulla agli occhi ma di fatto non potevo toccarmeli, ma ci vedevo. [L'anestetico serve per non percepire il tocco o il calore del laser, ma il nervo ottico continua a funzionare.] Vi avevo raccontato che la cosa che mi faceva più paura non era l'intervento in sé, visto che sapevo essere indolore, quanto lo strumento che tiene l'occhio spalancato come quello visto in Arancia Meccanica (io lo sapevo, LO SAPEVO che quel film non lo dovevo vedere!). Non c'era nessun strumento del genere ma un foglio adesivo che il Superoculista mi ha incollato su mezza faccia con un oblò sull'occhio destro facendomi capire che quando ti dicono che ti operano entrambi gli occhi non intendono contemporaneamente, ma sequenzialmente nella stessa seduta. Le dita dei miei piedi hanno cominciato ad aggrovigliarsi insieme allo stomaco mentre un forte desiderio di vomitare ha cominciato ad impossessarsi di me. Il Superoculista ha cominciato ad inondare di liquidi vari il mio occhio, forse ancora anestetico, forse dell'alcool. Io non sentivo nulla. Fino a quando lui con una spatolina (o comunque con uno strumento, non chiedetemi cosa) non mi ha toccato l'occhio. No, non la palpebra. L'occhio. 'Sente o le faccio male?' La colazione stava correndo la sua personale maratona tra lo stomaco e l'esofago mentre io cercavo di scollegare il pensiero del vedere qualcosa che mi toccava e il sentire qualcosa che mi toccava. 'Non fa male' – 'Bene'. Bene un cazzo. Lui prende uno strumentino simile ad una minilucidatrice per occhi, sento il rumore del motorino. Sento che vibra mentre me la passa su tutta la superficie dell'occhio. Dopo la spazzola rotante (non la vedevo, era troppo vicina ma io me la sono immaginata come una via di mezzo tra gli Oral B rotanti e una spazzola lavavetri) passa anche una spatolina, a mano. Sù e giù. Non ho studiato medicina oculistica, ma ad occhio e croce direi che quelli che mi aveva appena grattato via era l'epitelio. Mentre il mio cervello elaborava quello che stava succedendo il laser era già partito e da lì in poi ho dovuto solo guardare la lucetta. Non chiedetemi quanto sarà durato l'intervento all'occhio num. 1 perchè il mio cervello era diviso a metà: una metà pensava 'guarda-la-lucetta-guarda-la-lucetta-GUARDA-LA-LUCETTA-CAZZO-guarda-la-lucetta-non-ti-distrarre-guarda-la-lucetta-la-lucetta-che-si-muove' e l'altra metà, forse più di metà, pensava a quanto era stato terribile farsi spatolare l'occhio e quanto era terribile sapere che ce ne sarebbe stato un altro da fare. Continuavo a sopprimere il forte desiderio di vomitare che avevo mentre le dita dei piedi si stavano avvolgendo come rampicanti lungo la gamba. Finisce il primo occhio, mi mette la lentina a contatto trasparente e mi strappa via mezza faccia togliendomi il foglio adesivo. Faccio per toccarmi il viso per controllare se ce l'ho ancora ma la Dottoressa Figa mi blocca le mani ricordandomi che sono sterilizzata e non posso inquinarmi. Nemmeno il tempo di pensare, di capire e di vedere cosa vedevo che il Superoculista mi stava già incollando il lato sinistro della faccia ad un altro foglio. Ok, non ci pensare che sta per spatolarti l'occhio. Non ci pensare. Pensa a qualcos'altro. Spazzole rotanti. Spazzole lavavetri. Il mio occhio come la superficie di un grattacielo ricoperto di vetri. Lui è un lavavetri. Spatola. Spatola il mio occhio. Ho l'occhio forzatamente aperto quando torno in me. Lui mi sta annacquando ancora di alcool, collirio e qualcos'altro. Mi tocca l'occhio. Di nuovo. 'Sente o le faccio male?' Questa volta rispondo 'Sento'. Ma non lo so se sentivo, in realtà io mi aspettavo quella domanda, mi aspettavo quell'azione. Non era come prima che non sapevo a cosa stavo andando incontro, sapevo che la spazzola rotante stava per arrivare. Lui abbonda di anestetico, o così almeno ho creduto, e dopo aver testato ulteriormente la mia sensibilità all'occhio, passa la lucidatrice. Stringo. Stringo tutto quello che il mio corpo mi offre. Trattengo il respiro, contraggo gli addominali, i glutei, stendo le gambe come travi di legno, attorciglio in un doppio nodo scorsoio le dita dei piedi. Finisce con la lucidatrice, guardo la lucetta. Ormai è fatta. Il peggio è passato. Non può esserci nulla di peggio al mondo di qualcuno che ti spatola l'occhio. Sì, ero anestetizzata. Non sentivo, state tranquille. Ma vedevo. E la differenza tra vedere e sentire quando non senti, è quasi nulla. Se vedi, il cervello ti anticipa. Ti immagini la sensazione. Se il nostro cervello è in grado di farci sentire il nostro cellulare suonare anche quando questo non sta suonando (solo a me capita?) non è difficile pensare che riesca a sentire un dolore (o ad immaginare un fastidio) anche quando questo non è, medicalmente, percepibile. Mi sono rilassata a tal punto che credo di aver distolto lo sguardo dalla lucetta per un secondo. Forse un microbo di secondo. Perchè il Superoculista stava parlando con la dottoressa Figa lamentandosi dell'assenza delle infermiere. E vista la mia innata tendenza al gossip la conversazione aveva attirato la mia attenzione. Finisco, mi alzo e mi siedo per qualche secondo sul lettino per ripigliarmi. Mi guardo intorno e vedo. Ma ancora non mi rendo conto che sto vedendo. Stavo ancora litigando con il mio stomaco che a sua volta litigava con la colazione. Esco sulle mie gambe tremolanti. La Figa mi rimette in mano gli occhiali da vista e vado verso i miei genitori nella sala d'aspetto.  Non posso fare a meno di sorridere. Vedevo, annacquato, ma ci vedevo. Come quando si hanno gli occhi pieni di lacrime. Dopo aver fatto fare colazione ai miei genitori al bar, prendiamo il taxi da Rozzano. Io avevo un paio di occhiali da sole scuri, la luce non mi dava ancora molto fastidio e poi il desiderio di guardarmi intorno era forte. Rozzano-Milano non è molto lunga, quindi capirete la mia frustrazione quando, non appena arrivata a casa, comincio a sentire l'effetto dell'anestetico svanire. Nei mesi di preparazione mi avevano avvisata che la PRK è la tecnica con il decorso post operatorio più lungo e doloroso. Non sono stata io ovviamente a preferire la PRK piuttosto che la LASIK o la LASEK, altrimenti avrei fatto l'oculista. E' qualcosa che il medico determina sulla base di alcuni parametri, come lo spessore oculare. La cosa non mi ha mai spaventata più di tanto, sapevo che era -l'altro- prezzo da pagare per stare bene e per vedere bene. Nessuno andava mai nello specifico quando dicevano 'doloroso', dicevano 'sentirai un po' di sabbia negli occhi'. Sabbia negli occhi un par di coglioni. Non so per quante ore, direi fino al giorno seguente, la sensazione che ho provato erano due dita negli occhi. Due dita infilate negli occhi. Un sensazione di pressione costante, continua. Non lacrimavo molto e quando mi scendevano le lacrime erano calde e inconsapevoli. Ho trascorso il pomeriggio nella camera d'albergo dei miei genitori, nella penombra più scura possibile. I faretti alogeni del bagno erano saette mortali. La luce bluastra della televisione mi accecava. Camminavo sù e giù come una disperata, tra il vano tentativo di svenire sul letto e il vanotentativo di vomitare in bagno, con le mani a cucchiaio sugli occhi. Non sentivo sabbia negli occhi, non avevo alcun desiderio di toccarli. C'erano già queste due dita virtuali che sentivo trapassarmi. Non avevo prurito. A circa sei ore dall'intervento ho preso un altro antidolorifico, ma se avessi preso una tic tac l'effetto sarebbe stato lo stesso con un piacevole alito alla menta. Non so verso che ora del pomeriggio, stremata dalla sensazione di nausea che mi stava accompagnando da tutto il giorno, ho cominciato a premere sulla bocca dello stomaco come se fossi Sbrodolina, per indurmi a vomitare. Cosa che mi è riuscita per altro, procurandomi qualche minuto di sollievo. Mia madre a cena ha combattuto con la mia inappetenza e l'oggettiva impotenza nel farmi sentire meglio. 'Mangia, almeno un po' di carne. Tre bocconi. Solo tre. ' - 'Tre?' - 'Sì, solo tre'. Inutile dirvi che non sono arrivata al terzo. E nemmeno in bagno. Non sono riuscita quindi a vedere quella sera nemmeno la seconda parte della superfiction sulle Sorelle Fontana. Che nervi. Mia madre è rimasta a dormire da me anziché andare in albergo perchè era preoccupata che continuassi a vomitare e svenissi, cosa di cui è stata testimone anni fa, e per mettermi il collirio. Per me è stato impossibile dormire. Sia per il dolore che per il rumore. No, non il tram. Mia madre. Al confronto lo sferragliare dell'Uno sotto la mia finestra era un sussurro. Ma considerando che anche volendo non sarei riuscita a dormire la cosa non mi ha turbata più di tanto. Il mattino seguente non mi sentivo molto meglio ma dovevo andare dal medico a farmi fare il certificato per l'assenza dal lavoro. Non riuscivo nemmeno ad alzare lo sguardo e a guardare il medico negli occhi. Testa bassa e stomaco in bocca, ancora. Dopo che erano passati non più di 20 minuti dalla mia ultima visita al bagno del medico nel quale ho lasciato la colazione, ero davanti agli uffici della Caserma per consegnare il certificato. Non prima di aver battezzato anche il marciapiede con l'arancia che mia madre mi aveva appena costretto a mangiare. Giuro, da qui in poi non parlo più di vomito. Se avete voglia di farvi l'intervento non demordete solo perchè leggete che sono stata male: quando ho detto al medico che antidolorifico mi avevano dato (Contramal, per la cronaca) per lui sapere che mi stavo vomitando l'anima era come la scoperta dell'acqua calda. Un gastroprotettore mi avrebbe aiutata, ma ormai non contavo di prendere più altre pastiglie. Di fatto a partire da quella sera ho cominciato a stare meglio. Non sentivo più le dita infilate negli occhi, sentivo solo un fastidio che io credevo dovuto alle lentine che il Superoculista mi aveva messo subito dopo l'intervento. Il primo controllo è stato dopo due giorni, verso sera. Dal taxi non sopportavo nemmeno le luci delle insegne e dei lampioni che mi scorrevano affianco. In 3 giorni abbiamo preso 5 taxi e mia madre ha attaccato bottone con T U T T I.  

Io in 5 anni a Milano non credo di aver mai rivolto volontariamente la parola ai tassisti se non per specificare l'indirizzo di destinazione e lei in 3 giorni a Milano era già venuta a conoscenza di quanti taxi esistono in tutta la città (5.000), di quali e quanti percorsi alternativi ci siano per andare da casa mia all'ambulatorio del Superoculista e di quali siano i periodi dell'anno più intensi. Incredibilmente, mia madre ha trovato da ridire non solo sulla mia signora delle pulizie, sul contenuto del mio armadio e sulla lavatrice. Ma anche sui tassisti: 'Bravo come quello che da Rozzano ci ha riportati a casa non ce ne sono. Si vedeva che era un tipo sprint'. Nei giorni tra un controllo e l'altro avrei voluto portare in giro i miei ma non credevo che sarei stata una creatura del buio con un incredibile desiderio di dormire. Tuttavia, in quei giorni di arresti domiciliari mia madre ci ha provato. Ci ha provato a mettere le mani su quella parte di contenuto del mio armadio che è sfuggito al suo controllo. Ma alla prima osservazione su un vestito di Zara che non aveva visto l'ho implorata di aspettare che tornassi in possesso di tutte le mie facoltà e per difendermi punto per punto, camicia per camicia, abito per abito. Lì per lì credevo che avesse lasciato perdere ma una volta a casa poi non ha mancato di farmi notare di aver visto quel VERSATILISSIMO abito bianco con le frange tipo Charleston di H&M che ho preso l'anno scorso: 'Che c'è? Chi non ha almeno un abito con le frange nell'armadio?' Finalmente il Superoculista al secondo controllo mi dice che è tutto a posto e con la grazia di un elefante mi toglie le lentine che stavo indossando da quattro giorni e quattro notti. La sensazione di sollievo immediato mi ha fatto dimenticare di chiedergli quanto tempo ci avrei messo per recuperare la vista al 100% e dopo aver prenotato il controllo successivo (la prossima settimana, tra l'altro) sono corsa via. Al quinto giorno dopo l'intervento ero fresca come una rosa (se non fosse stato per il colorito verdastro) e allegra come un fringuello. Non sentivo più dolore, né il fastidio delle lenti. Vedevo. Vedevo da lontano e da vicino con un po' di forzosa messa a fuoco. Guardare la televisione, leggere una rivista o stare davanti ad un pc era ancora fantascienza, ma uscire in strada e sapere quando era il momento di attraversarla non era più un impresa impossibile. L'ultimo giorno a Milano prima del ritorno a casa è cominciato con mia madre che mi chiedeva 'Alore uè nìn in plase?' (=Allora oggi andiamo in piazza?) che mi ha fatto scapottare a terra dal ridere. Non so da voi, ma al Paesello da me quando si dice 'in piazza' si intende il centro e sentire un espressione così fortemente legata alla dimensione piccola del Paese in una città grande come Milano mi ha fatto un incredibile tenerezza. L'unica gita che sono riuscita a far loro fare è stata al negozio di Hermès (povero papà, chissà quanto si è rotto le palle) per cambiare il foulard che ho regalato a Febbraio. Mentre i miei erano da Hermes io sono corsa da Mango a cambiare un abito e la cosa che mi ha fatto nuovamente ridere è che erano passati solo cinque giorni dall'intervento e in effetti da lontano già vedevo molto bene. Vedevo le macchine, riconoscevo le strade. Se prima mi avessero lasciata senza occhiali in un dedalo di strade come il quadrilatero della moda avrei fatto la fine di Heather Parisi nel film 'Grandi Magazzini'. Naaaaah. In effetti anche se mi avessero fatto scendere bendata da un auto in corsa in una via a caso tra Via Gesù, Via Sant'Andrea, Via della Spiga e tutte quelle viuzze lì sarei riuscita ad orientarmi più facilmente che nel mio quartiere. Garantito. Le successive settimane a casa poi sono passate come un lento stillicidio. Dopo 5 giorni con i miei genitori a Milano non li sopportavo più ma non per colpa loro, perchè non potevo fare a meno di preoccuparmi di dove fossero o di cosa far loro fare per non annoiarli. E poi la loro presenza in città faceva tremare notevolmente le mie abitudini milanesi. Più o meno almeno quanto io ho minato le loro abitudini a casa. Un mese a casa. Non accadeva dai tempi dell'università se non prima. Quando me ne sono andata erano quasi felici. In un mese a stento mi hanno fatto mettere becco sulla temperatura dei termosifoni. Si pranza a mezzogiorno e mezzo e si cena alle sette. La Prova del Cuoco e l'Eredità. Il Grande Fratello, l'Isola dei Famosi e Chi l'ha Visto. Le Iene, Ballando con le Stelle e Domenica In. Se non avessi avuto il Blackberry a distanza di circa un palmo dal naso per quei venti giorni sarei morta. Non potevo guidare (solo nell'ultima settimana) perchè non vedevo ancora bene, non potevo uscire perchè poteva venire l'Inps (ma credo che la chiazza di vomito davanti all'ingresso della caserma li abbia convinti sufficientemente che non stavo molto bene), non potevo leggere né guardare la tv e non dormivo oltre le 8.30. Ho trascorso molti pomeriggi in compagnia dell'unico uomo che mi chiama Principessa ogni volta che mi vede e che al termine del mio periodo di malattia mi ha regalato un braccialetto a forma di anello di fidanzamento che si vede al buio. Un po' alla volta la vista si sta ricomponendo, i contorni sono sempre meno frastagliati. Ecco magari non in questo momento, visto che dopo una giornata di lavoro al computer avrei potrei evitare di scrivere un post di sei pagine fino alle undici di notte. L'oculista che mi ha visitata a casa mi ha detto che ho quasi 10/10 nel sinistro e 7/10 nel destro. Non so perchè ma da quando ho fatto l'intervento non si è più parlato di diottrie. Devo sforzarmi di mettere a fuoco, sopratutto nella media distanza, perchè prima lo faceva la lente per me a quanto pare. Alla fine dei conti quindi non è stato terribile, certo è doloroso ma non è nulla di insuperabile. Probabilmente non avrei dovuto descrivere nel dettaglio le mie sensazioni ma ricordatevi che ogni persona è diversa e che la PRK non è molto comune come tecnica, quasi tutti fanno la LASIK (che è molto meno dolorosa).  Dire che provo soddisfazione nel non portare nulla sul naso ora è riduttivo. Non è soddisfazione quella che provo. Io non ho fatto nulla, al massimo è il Superoculista che sarà soddisfatto. E' oggettivo sollievo, gioia, felicità. E' qualcosa che ho sperato per 20 anni e che finalmente si è realizzato. E' come indossare un abito nuovo ogni giorno, ogni volta che apro gli occhi. Ogni volta che vado incontro ad un alito di vento e non mi preoccupo più della polvere negli occhi, ogni volta che faccio attenzione a quanto sbatto le palpebre e non mi preoccupo più della lente che si sposta con un movimento brusco, ogni volta che mi lavo i capelli e non mi preoccupo più di togliermi le lenti. I capelli! Ecco cosa dovevo fare stasera!

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