Damián Szifron proviene dalla televisione, è autore e regista di fortunate serie tv intitolate Los simuladores (2002-2003) e Hermanos & Detectives (2006), titoli ed episodi che denunciano facilmente quale sia la palestra in cui si è allenato per scrivere Storie pazzesche. Sei episodi, di durata via via maggiore, si susseguono con inesorabile cinismo in un crescente gioco al massacro in cui ci scappa sempre il morto. C’è colui che vuole vendicarsi con tutti coloro che lo hanno trattato male in gioventù, l’assassino avvelenato dalla figlia di una delle sue vittime, un diverbio tra automobilisti che finisce in sanguinolenta e abbrustolita tragedia, un ingegnere che reagisce in modo esplosivo alle continue multe ricevute, un giro di iene intorno ad un incidente stradale da insabbiare, una festa di nozze a base di tradimento da vendicare senza perdere tempo.
Storie pazzesche è una vera e propria reunion di mostri da commedia all’italiana ripassati in salsa argentina, un’empanadas di carne che lascia in bocca un forte sapore di sangue. Storia dopo storia, l’una più pazzesca dell’altra, scorre sullo schermo una cattiveria godereccia e ridanciana, talvolta così eccessiva da risultare paradossalmente possibile (per non dire reale).
Di fronte a Storie pazzesche si ride, e un po’ si soffre, sin dai primi minuti. La sceneggiatura non perde un colpo, carica com’è di irriverente sagacia e lucida nitidezza di sguardo. Szifron dirige il tutto con grande sapienza e varietas di inquadrature, concedendosi anche un paio di trovate registiche davvero notevoli. E non solo sa osservare i suoi personaggi, ma anche, di riflesso, noi e le nostre divertite reazioni alle storie pazzesche e selvatiche raccontate.
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