Storioni, anguille, carpe… racconti dal Po di una volta

Da Pietroinvernizzi

Illustrazione “Racconti di Pesca” Giorgio Bersan

Immaginate di avventurarvi sulle sponde del grande fiume in ogni mese dell’anno con tecniche assai diverse tra loro, sono gli anni cinquanta e tra nebbie fitte e mulinelli di correnti vorticose (che sono pericolose quanto certe ragazze bionde con la gonna al ginocchio), pescherete carpe, cavedani, lasche, anguille e… il “grande bestione”, pesci da decine di chili… no, non sono neri e bavosi, quelli non esistono ancora, piuttosto sono splendidi storioni! 

In questo libro Giorgio Bersan ci riporta indietro nel tempo e ci restituisce la pesca ricreativa com’era prima di essere un “business in larga scala” ma soprattutto preziose descrizioni del fiume di un tempo, dei suoi pesci e del modo di vivere l’acqua, nel bene e nel male, di oltre sessant’anni fa. Nonostante l’italiano usato dall’autore ci risulti desueto, antiquato e un po’ faticoso, la lettura del libro ci farà sognare come pochi altri racconti di pesca, portandoci in atmosfere lontane. Davvero un fantastico libro da leggere per tutti gli appassionati di pesca italiani!

Copertina “Racconti di Pesca” Giorgio Bersan

Racconto liberamente tratto da “Racconti di Pesca

di Giorgio Bersan

Ed. “Il Quadrato” – 1962

Primo Racconto: “NONNO FILIPPO 
- Mese 
di Gennaio”

Il sole lentamente andava tramontando fra una massa di nuvole bianche. Già con la sera, prossima a giungere, si respirava l’aria di levante e l’odore della boscaglia scura
 e fitta.

Nonno Filippo ed io osservammo attenti il posto scelto per una pescata da effettuarsi laggiù al fiume il mattino successivo.

Le cose intorno cominciavano a prendere un colore 
avorio scuro, alcune cimbe di pescatori intenti a sciorinare le reti nell’acqua facevano spicco immediato, la notte vicina era apportatrice di inganni misteriosi per i pesci.

- Vedi Giorgio – cominciò il nonno — quel genere di pesca mi offende e mi rende nervoso. 
Pur comprendendo l’allusione del vecchio finsi di non 
capire.

- E perché mai – dissi – dovrebbe essere cosi 
difficile sopportare certe cose quando a tutti è consentito 
di scegliere il lavoro che più gli aggrada? – 
Il nonno mi squadrò di soppiatto, bisciò le labbra 
secche e tacque. Quel tacito gesto inconsueto, mi permise di notare sempre più chiaramente la sua ira. Al nonno certi metodi di pesca non andavano giù. Tuttavia tenni la mia idea per non creare inutili dissidi. Evidentemente 
era che, se quei pescatori uscivano di notte sul fiume, la 
legge li autorizzava. Purtuttavia quella notte dormii poco 
bene: l’umore agitato del nonno aveva sterilizzato il mio 
senso sportivo.

Il primo mattino si presentò ai miei occhi diverso da 
quello presagito la sera prima: era un mattino freddo 
con un cielo plumbeo e un’aria pesante. Alle sei nonno 
Filippo stava puntuale, ritto sulla soglia di casa ad attendermi.

Illustrazione “Racconti di Pesca” Giorgio Bersan

Qualche istante dopo lo udii gridare: 
- Ehi, figlio del sonno, vuoi uscire da sotto le 
coltri? Dai… la giornata mi pare propizia…, eppoi oggi 
mi sento davvero in gran forma!

- Un attimo e sarò subito giù, nonno Filippo. – 
dissi tutto insonnoIito.

In fretta balzai dal letto, mi vestii e presi ogni accessorio: canna, astuccio, ami, lombrichi di terra. (…)

Dieci minuti dopo: – Olà, finalmente ti si vede pronto – disse con un 
risolino sulle labbra. 
- Si! – esclamai felice di vederlo sorridere. Ma poiché quando soleva fare queste scappatelle di pesca, sua moglie si lamentava continuamente con le vicine comari
del paese, io, a bruciapelo gli chiesi: 
- Nonno, che vi ha detto stavolta la signora 
Luisa?

- Ah! dirai la vecchia… donne! …donne!…; le 
donne non dovrebbero mai invecchiare e quando lo 
diventano… Ma lasciamo perdere questi discorsi inutili e 
andiamo. – Senza indugiare a lungo, saltai coi miei arnesi dentro la sua auto e partimmo alta volta del gran 
fiume, verso il luogo visto la sera prima.

Anzitempo dirò 
che la qui presente escursione di pesca è stata effettuata 
vari anni fa. In quell’epoca lo sport dell’ittica cominciava 
appena a rifulgere e già s’andava assaporando il gusto 
genuino del primo incremento su larga scala nazionale.

Nonno Filippo, considerato da molti la figura più caratteristica della zona, piaceva, poiché mai si vantava delle sue prodezze coi pesci di ragguardevole mole. Tecnicamente s’era perfezionato nei movimenti, seguendo sempre 
e ovunque, con la pratica, l’evoluzione delle abitudini dei 
pesci. Forse, per questo, era il pescatore più invidiato della zona.

Lasciammo la macchina giù dall’argine maestro del fiume e raggiungemmo a piedi la posizione fissata. 
II nonno, dal punto dov’era, scorgeva solchi fondi come carreggiate che la corrente aveva scavato nel letto del fiume. Dov’egli stava il fiume era pieno di ciottoli e girava intorno alle radici d’una vecchia quercia. Il suo letto era melmoso, tra i solchi scavati nel fondo si diluivano, con la corrente, larghe falde di neve. Era stupendamente piacevole osservare tutto ciò, anche se l’intenso freddo non ci dava tregua, giacché pareva volesse agghiacciarci.

Piano piano fissammo gli ami alle lenze, facendo un nodo molto stretto ad esse e innestammo poi le rispettive esche. 
Questa operazione era una delle più difficili poiché l’aria tagliente e rigida c’impediva di manovrare agevolmente le dita. E in quella valle lussureggiante di vivido bianco 
nevoso, silenziosa, rotta soltanto dal fruscio della corrente, gettammo gli ami lontano nell’acqua e attendemmo impazienti. Adesso il nonno s’era fatto taciturno e scrutava con malizia il suo galleggiante scosso dal lieve tremolio della corrente, in quel punto, assai forte. Ad ogni 
movimento del suo galleggiante, lo vedevo passare da una 
posizione all’altra. Ora ricurvo, ora dritto, ora su di una gamba, ora sull’altra, ora col capo chino ora con lo sguardo verso il cielo. Forse è il freddo o l’eccitazione che lo rendono cosi inquieto, pensai. Improvvisamente il vecchio 
agitò la canna e tirò su con un colpo secco.

II filo aveva 
sibilato nell’aria. Sarà, ma quegli alternati scatti secchi, 
prima del normale tatto armonioso non mi persuadevano 
troppo. Guardavo adesso il mio galleggiante che non si 
muoveva, poi i miei occhi correvano a sbirciare il suo. 
Quest’ultimo, di quando in quando, spariva sotto la superficie dell’acqua per riaffiorarvi quasi subito, con il tic tac di un orologio a pendolo. Possibile, pensavo… Eppure 
la la distanza fra me e il nonno era assai ridotta; poco più di 
quattro metri. Neanche a farlo apposta, da circa un’ora tenevo la canna nella mano destra tremante, senza aver percepito il minimo strattone. Il nonno aveva ora la lenza a una ventina di metri. Diavolo, proprio in quel momento, lo udii gridare fortemente:

- Oplà… piaaano… piaaaano… se ci sei ci rimarrai cosi… ti tengo, chiunque tu sia! Su, dai bello, vieni su, 
vieeeni!… – Lo vedevo adesso girare tempestivamente 
il rocchetto, poi mollare dell’altro filo, come si fa ad un 
bambino viziato il gioco del mirallegro con i dolciumi. 
Ne rimasi così entusiasmato che:

- Perdiana, nonno, che vi succede? – Egli tacque. Ovviamente la sua azione richiedeva un’accurata attenzione. Posai la canna sul ciglio nevoso e mi avvicinai 
a lui per scrutare meglio.

Con un forte strattone, il vecchio tirò su nuovamente. Attaccata all’amo, una grossa 
e lunga anguilla, si torceva viscida con forza sulla neve. A 
colpo d’occhio poteva pesare attorno ai due chilogrammi.

- Embé! – mormorò il nonno tra il serio e il faceto, – ti è piaciuto il metodo con cui l’ho catturata?

- Penso di si – dissi colmo di stupore, – è stato 
veramente un colpo da maestro. – Mi sentivo estremamente felice pel fatto che fosse stato proprio lui il fortunato, giacché è sempre invidiabile quel primo colpo decisivo. Nel ritorno, il vento aveva ripreso a sibilare fortemente ma la nostra gioia era ormai colmata dalla unica 
cattura invernale. 
Placida la neve cadeva ora tutt’intorno, ballonzolandosi nell’aria in miriadi di bianchi coriandoli.