Dopo nove ore di lavoro, mi ritrovo con la mia macchina grigia sulla rampa della tangenziale, in salita, sopra di me un cielo di nuvole spesse alternate a pezzi di cielo libero, improvvisamente uno stormo di uccelli che danzano in un ritmo dolce come un'onda, come un singulto leggero.
Mi incanto a guardarli con il naso all'insù, stringo le mani sul volante, gli altri mi sorpassano, il traffico cerca di inghiottirmi, seminarmi, gli uccelli densi come un fluido scuro continuano l'elastico movimento coordinato come la migliore delle sintonie, la più armonica delle sinfonie.
Resto a bocca aperta, nel frattempo mi attraversano la mente come piccoli flash, le immagini ed i suoni della mia famiglia, della mia vita, di un sorriso fatto durante la giornata, di un panino masticato in fretta, di un parcheggio non trovato, di un amore fatto più lentamente del solito, dei miei figli che mi dormono accanto, del problema di matematica non risolto con quel bambino che non riesce a risolvere i problemi matematici.
Gli uccelli, si allungano come una macchia e poi vengono risucchiati come acqua dal sifone, sembrano avanzare e poi tornano indietro come onda di mare sulla battigia, gli uccelli danzano, non si perdono, si amalgamano, non si stracciano, i miei pensieri sono ricordi, attimi, sensazioni impresse nella mia pelle che nessuno potrà mai leggere, accudire, disvelare.
La mia memoria attaccata al lembo di una maglietta, un tempo dilatato e microscopico, un balzo, lo scorrere di qualche minuto nella fretta di questa vita di fretta, e chissà dove stiamo andando ma l'importante è andare andare.
In un attimo gli uccelli non ci sono più, hanno lasciato il cielo sgombro dei loro corpi vibranti e leggeri come aria o rami vuoti, il cielo è rimasto sporco solo di nuvole, imbrattato di un inverno freddo e testardo come la più testarda delle donne.
Se morissi adesso, mi dispiacerebbe un bel pò.