Con estrema cura e destrezza Danny Boyle nel 2010 porta sullo schermo un ritratto biografico dedicato ad un uomo realmente esistito, Aron Ralston, che nel 2003 rimane intrappolato nelle montagne dello Utah. Il regista di Trainspotting e The Millionaire, ci regala l’ennesima perla.
Con grande dinamismo riesce a catturare la continua corsa quale è la vita di Aron, interpretato da un talentuoso James Franco, nominato all’Oscar per la sua interpretazione, insieme alle altre 6 nomination che il film ha ricevuto, fra cui quella come miglior film. Se da un certo punto di vista viene illustrata la vita di questo “avventuriero”, da un altro punto Boyle scruta il confine della solitudine, della ricerca di sé stessi, nella continua insoddisfazione, ma quando ci si ritrova a dover lottare per la propria vita ogni cosa in passato non apprezzata, ogni superficiale capriccio ed ogni momento non apprezzato, viene considerato estremamente futile rispetto a tutto ciò; il rimpianto poi è tutto ciò che resta ad Aron.
L’alternanza di una fotografia a volte sterile, a volte sgargiante e colorata, e spesso sfuggente come l’animo di Ralston, aiuta il coinvolgimento nella sua vicenda; straordinario il modo in cui viene espressa la fantasia del protagonista, mettendo una pausa ai momenti di vera tensione, con l’irresistibile comicità, a volte cinica, che contraddistingue il Cinema di Boyle; ed è con cinismo e riflessione che Franco e Boyle ci raccontano questo personaggio, che in qualche modo rappresenta tutti noi; lui pensa come penserebbe una persona qualsiasi e agisce allo stesso modo. Ma dove sta la novità il un film “survivor” del genere? La differenza cade nella grande raffinatezza e nella toccante riflessione del dramma di Ralston. Con 127 ore non vedete la storia di un uomo con un braccio bloccato sotto una roccia, ma un esame di un uomo, sull’individualità, sulla voglia di vivere e di amare, e quindi sul cuore di uomo; e quest’ultimo elemento è sempre presente nel Cinema, che senza di esso non sarebbe più così significativo.
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