In questo articolo Simona Tovaglieri ti spiega come sia possibile rendere più forte il tuo Brand, rendendolo visibile all’interno di mercati ormai saturi di comunicazione e di informazioni commerciali. Tutto questo grazie allo “Brand storytelling”, ossia alla narrazione, ad una storia che deve trascendere dal marketing tradizionale e non limitarsi più solamente alle caratteristiche intrinseche dei suoi prodotti.
Pronto? Si comincia!
La domanda nasce spontanea: perché proprio lo storytelling per narrare i brand?
Perché le storie sono innate nell’uomo: dalla notte dei tempi gli uomini si tramandano i racconti, le memorie, le esperienze passate, prima attraverso le storie orali, poi anche figurative, fino a giungere ai video in tempi recenti.
L’autoanalisi
La liquidità dell’identità
Recuperata ed individuata la propria identità, occorre scendere a patti con il “diavolo”, ossia con il mercato in continua evoluzione, sempre più competitivo e fortemente frammentato, caratterizzato da un lato da un consumo bulimico, esasperato e sovrapposto dei media, dall’altro da persone che da “target” (a cui mirare per colpire) si trasformano in community, in “prosumer”, promotori-consumatori, che richiedono una comunicazione bidirezionale con le aziende e che, se soddisfatti, si trasformano in evangelizzatori, portavoce del prodotto o del brand presso i propri amici e conoscenti. Se insoddisfatti, invece, si possono trasformare in micidiali killer anche dei brand preferiti, in quanto detentori della potente “arma della viralità”.
In questo contesto frammentato, l’azienda deve sapersi rivolgere in modo appropriato a ciascun pubblico, utilizzando narrazioni e canali diversi in base all’audience a cui si rivolge: deve pertanto imparare a dare alla propria identità una forma liquida, nel senso che deve essere in grado di mantenere invariata la propria storia, narrandola però in forme diverse, mirate, che si adattano alle diverse comunità a cui si rivolgono. Le aziende devono pertanto imparare a creare tante narrazioni all’interno della loro narrazione principale. Una continuità nel racconto della marca, coerente, lineare, che non crei confusione.
Il veicolo transmediale
L’arte di coinvolgere le emozioni
Un’attenzione particolare poi deve essere riposta nel linguaggio, che deve prediligere una terminologia semplice, di tutti i giorni, diretto e familiare, in grado di veicolare meglio il senso di condivisione delle emozioni proposte. E’ così che il Brand entra in relazione con la sfera emotiva del suo pubblico, creando un forte legame “di pancia” tra il consumatore e un prodotto, o un’azienda.
Storytelling: u n case history
Analizziamo ora un brand che è stato in grado di narrare la sua identità: “Dove. Questa marca ha saputo ascoltare il suo pubblico (tendenzialmente femminile), evidenziando un malessere latente, generato dal divario tra la bellezza femminile vera e quella proposta dai media, orientata verso canoni estetici basati sulla eccessiva magrezza, sul fotoritocco per eliminare qualsiasi forma di inestetismo o di piccolo difetto, diffondendo così l’ideale di una donna perfetta. Trattandosi esclusivamente di un canone aspirazionale inesistente realmente in natura (anche le donne più belle qualche piccolo difetto lo hanno), si rileva nel genere femminile da un lato una sorta di frustrazione dovuta all’impossibilità di raggiungere questi canoni e dall’altro, un’insicurezza diffusa, una ridotta capacità ad accettarsi così come sì è.
E Dove è stato in grado di rilevare questa percezione distorta della realtà, egregiamente espressa in un video intitolato “Evoluzione”, dove accompagna il suo pubblico su un set fotografico, svelando la trasformazione di una bella donna, che, opportunamente truccata e foto-ritoccata, diventa di una bellezza strepitosa. Si viene così catturati da una storia creata solo attraverso l’uso di immagini e priva di narrazioni orali, ci si immerge in questo processo di trasformazione e se ne esce consapevoli che non sempre la bellezza a cui si assiste è reale.
Le sequenze sono in grado di evidenziare il gap esistente tra la percezione di noi stessi e come invece ci vedono gli altri. La prova “scientifica” avviene grazie di un ritrattista che disegnava due volte il volto di alcune donne senza averle precedentemente viste, prima basandosi sulla descrizione della donna stessa, poi basandosi sulla descrizione fatta da una terza persona. Ne risultavano due volti ben diversi tra loro: dal primo, esteticamente meno piacevole, traspariva una maggior criticità delle modelle verso se stesse, la capacità di individuare solo ed esclusivamente aspetti negativi dei propri lineamenti e la tendenza anche a descriversi anche più negativamente; il secondo ritratto, invece, era rappresentativo di una bellezza più piacevole e, soprattutto, maggiormente corrispondente alla realtà.
E in questa opera di evangelizzazione della vera bellezza autentica, la cui consapevolezza manca alla maggior parte dell’universo femminile, dove sono i prodotti di Dove? Spariti completamente dal video: resta solo il Brand a ricordare la narrazione di una marca che presta attenzione alla bellezza femminile, quella autentica.