Storytelling – L’altro Omero

Creato il 13 settembre 2014 da Abattoir

di Giorgia Casesi

“Scriverai ciò che ti dico? Lo farai?”
“Si, certo, lo farò”.
Si sedette sul bordo del letto, lieve come una piuma. Anna si sollevò appena, giusto per sedersi contro la testiera, e prese il blocco e la penna che l’uomo le porse.
“Non devi temermi”.
“Non la temo, non si preoccupi”.
Voleva parlare, iniziare a raccontare la sua storia, eppure non sapeva da dove cominciare.
Era stato un giovane studente dai risultati buoni, non brillanti certo, ma buoni. Poi un ragioniere dalla scrivania ordinata, un buon amico, leale, sincero, ma questo non era degno di essere raccontato. Si era poi sposato con una ex compagna del liceo, Camilla. Si erano rincontrati per caso al supermercato alcuni anni dopo il diploma. L’aveva ritrovata carina, carina sì. In alcuni giorni. In altri, quando non si truccava, sembrava eternamente assonnata, eppure una ragazza così per bene!
E allora? Chissà quanti mariti hanno una moglie carina a giorni alterni! Del resto una donna se è sempre bella, beh, è allora che bisogna farsi qualche domanda… ma Camilla era così, naturale.
Non aveva bisogno di niente lei, per essere carina, nei giorni in cui era carina. E i due figli avevano evidentemente preso da lei… specie la bimba: due occhi marroni grandi, i capelli castani. Un naso a patatina e qualche lentiggine pallida, visibile solo d’estate. Il bimbo, beh, anche lui castano e tondetto. Carino, sì sì. Se avessero preso dal padre avrebbero avuto quell’aria così beige! E allora forse poteva iniziare a raccontare dai bambini, Marco e Serena, due allegri bimbi che vanno a scuola e sognano di diventare astronauta e ballerina. Un po’ come tutti i bambini.
Possibile che nulla, proprio nulla della sua vita gli sembrasse uno spunto da cui far partire il racconto? Cosa si era presentato a fare ad Anna, se poi non le consentiva di scrivere nulla su di sé?
Nella penombra Anna disegnava fiorellini ai margini del foglio, dissimulando qualche sbadiglio: se se ne fosse accorto, forse non sarebbe mai più tornato.
Improvvisamente si girò “Forse semplicemente non ho nulla, nulla da dire. Sono nel mucchio, sono mediocre, non sono degno del suo sonno”.
“Signor Rossi, ma che dice? E allora perché mai sarebbe venuto? La prego, sieda di nuovo. Abbiamo bisogno l’uno dell’altra, lei lo sa. Non si arrenda, proviamo da… ad esempio, il suo nome ha una storia?”
“Mi chiamo Rossi Mario. Voto ogni anno per tutti i leader politici, il dott. Verde, il signor Bianchi, l’avvocato Viola. Firmo l’8xmille alla chiesa cattolica e il 5xmille a svariate associazioni di volontariato. Compro il panettone della solidarietà a Natale, l’azalea per la ricerca l’8 marzo, l’uovo per la fame nel mondo a Pasqua, adotto una pigotta. Firmo, firmo tutto. Sono cauto nel guidare e donerò i miei organi una volta morto. E chiunque lo sa. Sono chiunque, in questo paese, sono beige. Sono comune. Cosa c’è da dire?”
Anna lo guardò un po’ più da vicino, cercando un segno, una cicatrice sul suo viso. Ma vedeva solo disappunto. O forse la stanza era troppo buia, e non vedeva altro per questo.
Provò a posargli una mano sulla spalla, ma impercettibilmente l’uomo si era alzato e stava guadagnando l’uscita.
“Ci sono uomini con nomi da re che non sono re, ma viscidi miserabili. Ci sono uomini con cognomi orientali che in realtà non hanno fatto nulla affinché si parlasse di loro, si sono solo accompagnati ad una bella fidanzata. Ci sono uomini mediocri con nomi mediocri, è vero. Ma lei è qui, perché vuole dirmi qualcosa, e mi dice soltanto di essere troppo comune perché io la racconti. Ma mi creda, chi lo è davvero non sa di esserlo.”
Mario allora si fermò, e leggero come quando s’era alzato si risedette.
“Mia madre non voleva neanche chiamarmi così, sa? Voleva chiamarmi Ennio, come l’autore latino, l’altro Omero. Nacqui dopo molte ore di travaglio, mio padre spossato come e più di lei corse, la mattina appresso, a registrarmi… e dall’altra parte del vetro un uomo con gli occhiali ed una sola mano recava al petto la sua tessera; si chiamava Mario. E mio padre, sa…”
Il buio diventava penombra. Anna cominciò a scrivere di un uomo qualsiasi che diventava qualcuno con la luce dell’alba.


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