Storytelling – La voce nel buio

Creato il 04 febbraio 2015 da Abattoir

di Marco Giglio

Ore 22.32, postazione 23883, Karmacall Palermo

«Signore, le ripeto che la fattura prevede il costo dei film per adulti acquistati nel mese di ottobre per un totale di 836 euro e che il contratto è sospeso per il mancato pagamento di questo importo…»
Il cliente, al caldo della sua casa anonima, continuò a sbraitare per una decina di minuti. I colleghi avevano già tolto le cuffie da un pezzo e con un bruciore di stomaco più forte del solito, tra i pannelli verdi e le cuffie di quel che restava dell’operatore empatico, mi accorsi di essere rimasto solo.
Con le mani sulla tastiera continuai a ripetere come un giradischi rotto quel che vedevo sul monitor nero: «Deve effettuare il pagamento, altrimenti non possiamo riattivarle il servizio».
L’azzurro del monitor rifletté sui miei occhiali come un fulmine che anticipava un forte temporale illuminando le strade buie di Palermo che, da una piccola finestra, si intravedevano tra le tende del grande call center.
«Vada al diavolo, siete solo una grande associazione criminale a scopo di lucro».
Furono le ultime parole del cliente.

La conclusione, uguale a quella di altre migliaia di chiamate, mi lasciò con un senso di impotenza e frustrazione misto alla tremenda voglia di richiamarlo per augurargli una notte fatta di film porno interrotti nelle scene migliori dalle meno piacevoli tribune politiche, spot di televendite assurde e voci, simili a quella di Bruno Vespa, che gli ricordavano quanto fosse triste e moroso.
Guardai l’orologio di sistema, segnava le 22.45. Non avevo mai fatto così tardi in undici anni di lavoro. Pensai all’assurdità di quel silenzio interrotto solo dall’urlo delle ventole piene di polvere che si accendevano e spegnevano in continuazione tra i vari pc sparsi per il settore.

«Peppe?» Cercai il mio TL, un ragazzo simpatico, che ricordava nelle sembianze Fabio Concato. Come me, lavorava da almeno dodici anni in Karmacall, dentro un mondo fatto di numeri, cifre e parole chiave. «Peppe, ci sei?»
Pensai fosse andato via, quindi mi diressi velocemente verso le scale e iniziai a scendere attraversando i pianerottoli delle altre commesse. Quando giunsi al primo piano mi accorsi che la sala mensa era stranamente buia, illuminata solo dai distributori automatici che lasciavano intravedere i manifesti che gridavano NO ALLA DELOCALIZZAZIONE, NO ALLE GARE AL MASSIMO RIBASSO.
Proseguii la mia corsa verso l’uscita, ma con grande sgomento mi accorsi che l’androne del piano terra era illuminato solo dalle luci di emergenza e che le porte antipanico erano state bloccate.
Cominciai a battere forte sui vetri con i pugni, urlando parole che chiedevano una spiegazione o semplicemente un aiuto. Sentii il sudore evaporare dal giaccone mentre mi riecheggiavano nella mente le ultime parole del cliente. Vada al diavolo.
“Maledetto pornista” pensai ad alta voce, ridendo nervosamente.

Cercai frettolosamente il cellulare nel marsupio senza esito. Lo visualizzai insieme alla cuffia sulla postazione all’angolo vicino alla porta antincendio del quinto piano. Era là dove lo avevo lasciato, insieme a quello che restava della mia salute mentale.

Chiamai l’ascensore che lentamente scendeva di piano. Entrai e le porte si chiusero dietro di me. Guardai in basso e poi fissai lo specchio. Riflesso nella grande specchiera, tra l’acciaio della cabina, c’era un vecchio con una cuffia al collo che mi fissava imitando i miei gesti. Restai immobile, chiusi gli occhi quasi a svenire e riaprendoli rividi il mio viso.
Quando l’ascensore si fermò, varcai la soglia del settore e un forte odore di umidità e fognatura invase con prepotenza le mie narici, sollecitandomi un conato di vomito.  Le scrivanie, i monitor, le sedie ed ogni fottuto angolo erano ricoperti da ragnatele.
Cercai di tornare indietro, ma la porta tagliafuoco mi si chiuse davanti il viso. Mentre provavo a forzarla, il callmaster iniziò a squillare. A quest’ora? Senza pensarci su cominciai a correre ad occhi chiusi verso la postazione sulla quale avevo lasciato il cellulare, strappando le ragnatele che via via avvolgevano come cotone idrofilo la mia faccia.
Il callmaster continuava a squillare nel buio della stanza illuminato dal led in attesa di risposta. Indossai le cuffie e risposi.
«Pronto!»
Dall’altro capo del telefono una voce calda rispose: «Che succede? Abbiamo già dimenticato le buone maniere? Non si saluta un cliente? La frase di apertura? Non mi dica che è uno di quelli che viene a scaldare la sedia, carissimo…?»
«…Marco» interruppi.
«Bene Marco, perdoni il disturbo in questa notte così tarda, ma ho bisogno di lei, anzi, penso che in questo momento sia lei ad aver bisogno di me…» concluse ironico.
«Ma chi sei? Cos’è questo? Uno scherzo di cattivo gusto?»
Mi rispose con una sonora e odiosa risata, in cui aggiunse: «Non perda le staffe amico mio, si calmi, sono l’unico che stasera può aiutarla. Deve sapere che il mondo dei call center è un grande, immenso, girone infernale in cui anime come la sua sono solo numeri insignificanti e che lei adesso è l’ultimo…»
«L’ultimo di cosa?» deglutii.
«L’ultimo operatore italiano, l’ultima speranza di un lavoro o come scriveva nel suo immenso best-seller, perdoni l’ironia, l’ultimo miracolo… I suoi colleghi sono stati, come dire? Delocalizzati…? Lei è l’unico che non sono riuscito a convincere, è sempre stato ottimista, tra i pochi che faceva questo lavoro con entusiasmo. Stasera le do la possibilità di svegliarsi una volta e per tutte. Lei è solo. Non c’è più nessuno che risponda alle chiamate, non abbiamo più la voglia di sfamare questo Paese, costate troppo, vi arrogate di troppi diritti. Forza, si rassegni e raggiunga i suoi colleghi. Vada anche lei in mobilità, chissà che magari con tutto il tempo libero non scriva veramente un buon libro…»
«Lei è solo un povero pazzo» dissi.
«La pazzia è come il paradiso. Quando arrivi al punto in cui non te ne frega più niente di quello che gli altri possono dire… sei vicino al cielo.  Le piace? Jimi Hendrix…» concluse in una risata crudele.
Chiusi la chiamata e corsi verso la scala antincendio, continuando a pensare di essere vittima di una sorta di grande allucinazione.
Peppe era proprio sotto di me, con i suoi capelli color argento ed il pizzo imbiancato dal tempo.
«Marco, sbrigati, sono dieci minuti che ti aspetto, ho dimenticato le chiavi della porta e visto che è guasta ci siamo chiusi dentro. Non mi hai sentito mentre parlavi con il cliente?»
«Parli troppo piano, non ti avrò sentito» risposi.
Vidi la Punto grigia che mi aspettava giusto dietro l’angolo.
Salutai Peppe e salii in macchina, buttai la cuffia sul cruscotto, sopra quello che mi era sembrato un volantino blu. Era una copia del mio libro, ne sollevai la copertina e lessi una dedica scritta con inchiostro nero: La pazzia è come il paradiso. Quando arrivi al punto in cui non te ne frega più niente di quello che gli altri possono dire… sei vicino al cielo. – Jimi Hendrix

Gettai la copia del libro fuori dal finestrino e accelerai nella notte più buia che avessi mai vissuto.


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