Storytelling – Scheggia impazzita

Creato il 30 aprile 2014 da Abattoir

di Pigi Arisco

Cos’è la velocità?

Ragioniamoci insieme. La velocità in sé non ha alcun significato. Pensate ad una minuscola particella di materia. Immersa nel vuoto. Nel nulla. Un piccolo puntino bianco nel buio più assoluto. Se adesso vi dicessi che quel punto è velocissimo, voi mi credereste? Forse sì, se siete propensi a sposare le opinioni di chi afferma di saperla più lunga di voi. Se invece siete anche solo un po’ scettici e diffidate dei profeti, direste che sono un bugiardo, perché voi quel puntino bianco lo vedete sempre lì. Fermo. Ma io non vi sto mentendo, quel puntino è velocissimo.

Per voi però questa cosa non ha completamente senso, perché sarà pure veloce, ma rispetto a cosa? Non ci sono strade, case, altri puntini con cui confrontare la velocità del nostro puntino. È immerso nel nulla, quindi, se va veloce, lento o sta fermo, non ha alcuna importanza. La velocità acquista significato e valore solo se è in relazione a qualcos’altro, un oggetto è veloce solo se immerso in un contesto.
Ma attenzione… E se il contesto viaggia alla stessa velocità del puntino? Immaginate di avere il nostro puntino, un altro puntino e poi il nulla, il buio sullo sfondo. Se i puntini viaggiano alla stessa velocità, li vedremmo fermi, immobili. Ecco che allora possiamo dire che un oggetto veloce acquista valore solo se immerso in un contesto che viaggia ad una velocità diversa dalla sua.
Quindi se vuoi essere veloce devi arrivare prima di qualcun altro. Arrivare? Dove devi arrivare? Ecco un altro elemento importante nel nostro discorso: il traguardo. Ovvero un altro elemento del contesto di cui parlavamo, però fermo. Come una riga rossa lungo il cammino. Avete visto? Con pochi ragionamenti siamo arrivati a stabilire che gli elementi essenziali per definire qualcosa come “veloce” sono l’avversario ed il traguardo. In una parola: Competizione.
Vi ho confuso le idee? Ma no, sono concetti semplici, dovete solo immaginare. Un puntino, il vuoto, lo sfondo e poi l’altro puntino, il traguardo fisso. A me veniva abbastanza naturale pensare a tutto ciò dentro l’utero della mia mamma, quando sei dentro una pancia immaginare il buio ed il nulla è abbastanza semplice, e poi non c’è molto da fare lì dentro. E così ho cominciato a pensare alla velocità, ed il concetto si è trasformato, è cresciuto, fino a diventare competizione. Se esiste un avversario ed un traguardo, lì si può esprimere la velocità! Durante un’ecografia quel bradipo di un ginecologo, lento nel parlare e nell’agire, ha spiegato che i bambini impiegano nove mesi per nascere e che poi sono pronti per uscire dall’utero e cominciare a vivere. Fuori dall’utero c’era un mondo, un contesto con il quale confrontarmi. Sembrava interessante e poi avevo già inquadrato gli elementi della competizione. Gli avversari: tutti gli altri bambini. Il traguardo: l’uscita dell’utero. Potevo esprimere la velocità.
Al sesto mese cominciai ad agitarmi sempre di più, a spingere sulle pareti fino a rompere tutto. Mi fecero nascere, sentivo la mamma correre, il papà parlare velocemente, il ginecologo bradipo che finalmente si dava una mossa, gridava di far presto, e tutto intorno a me accelerava, andava veloce. Che meraviglia, avevo innescato la competizione, avevo cominciato a correre e tutti correvano insieme a me. Una volta nato mi hanno messo in una scatola di vetro, mi hanno riempito di tubi, ero parecchio debole. Rischiai di morire. Imparai subito una lezione molto importante. Ad una competizione devi arrivare fisicamente preparato, ti devi allenare, e dopo la gara, ti devi riposare. Così dopo un bel periodo di riposo dentro la scatola trasparente, cominciai a guardarmi intorno, un sacco di bambini come me e dei genitori ansiosi di vederli crescere per poi portarli a casa. I bambini che uscivano erano spaventati, ma i genitori che li portavano avevano un’aria soddisfatta, vincente, e i genitori di chi restava sorridevano ma si vedeva nei loro occhi un lampo di invidia.
E così, di nuovo, capii. Gli antagonisti, gli altri nelle scatole trasparenti. Il traguardo, uscire dall’ospedale. Mi impegnai a mangiare e dormire per crescere più in fretta degli altri – velocità, che meraviglia – e così dopo una settimana toccò a me, regalai il piacere della vittoria anche ai miei genitori ai quali sentivo di volere molto bene, anche se erano irrimediabilmente lenti.

L’infanzia fu meravigliosa. Quando sei un bambino, soprattutto se sei maschio, la competizione viene da te, senza neanche doverla cercare! Corri sempre, a piedi, in bicicletta, con i sacchi. Poi devi essere veloce a tirare pugni, calci, devi essere più veloce del cane che ti insegue, delle macchine quando attraversi la strada, del controllore dell’autobus quando non hai il biglietto. Una meraviglia. Diventai forte e veloce, lo diventai prima e più in fretta degli altri.
L’adolescenza, quella fu meno bella, i muscoli crescono e gli ormoni spingono i coetanei a sfidarti sempre in modi diversi, e questa era sicuramente la parte divertente. Il problema era che bisognava studiare. Per chi ha una fretta endemica, come me, stare sui libri, imparare e memorizzare stando seduti ad una scrivania è una vera tortura. Infatti studiavo poco e male, con tutti i problemi annessi. Punizioni, riduzione della paghetta, niente bicicletta etc.
Inoltre c’era il problema delle ragazze, non si capiva mai cosa volevano, ed il corteggiamento è oggettivamente una perdita di tempo, al quale però nessuna ragazza era disposta a rinunciare. Non potevo farcela, quella lentezza mi distruggeva, e così decisi di lasciar perdere le ragazze, troppo lente, se ce ne fosse stata una abbastanza veloce da stare al mio passo, beh mi avrebbe raggiunto e conquistato da sola. Come potrete immaginare non ho avuto molte ragazze.
Nell’età adulta ho frequentato le palestre, circoli sportivi e stadi comunali di tutta la regione. Sono diventato atletico, muscoloso, pieno di energie, insomma un individuo attraente per le donne che frequentano questi posti. Una volta una tipa è anche riuscita a tollerare la mia totale avversione per il corteggiamento e mi ha praticamente portato di peso nel suo letto. Come avrete già immaginato l’ossessione per la velocità non mi abbandona neanche nei momenti più intimi. Eravamo due atleti impegnati in attività fisica, poco importa se orizzontale e sopra il letto, e soprattutto c’era un traguardo, e che traguardo, di quelli con premio e standing ovation! Col cavolo che lasciavo arrivare prima lei! Sì, è esattamente come pensate. Dopo quella volta non la rividi più.

L’ossessione per la competizione, come qualsiasi altra ossessione, è una droga, non ti molla mai, e ne vuoi sempre di più. La mia specialità è la corsa, non su pista, quella in montagna. Adoro correre tra i boschi, evitando le buche, in discesa, in salita, respirando i profumi della montagna. Il problema è trovare gli avversari. Nessuno è disposto a perdere tutte le volte. Così sono venuto qui, alla manifestazione. Non che mi freghi molto della politica, non l’ho mai sopportata, non ha niente a che fare con la velocità, c’è competizione sì, ma è più simile al moto circolare delle onde del mare, un lento ondeggiare di personaggi, sempre gli stessi, che vanno giù e poi risalgono la china e poi tornano di nuovo giù, un ciclo lento ed infinito.
La manifestazione dove sono adesso è particolare, non è in città, ma in montagna, il mio ambiente preferito. La fazione delle forze ribelli si chiama NO TAV, sono contro i treni ad alta velocità. Ironia della sorte io sto dalla loro parte, ma solo perchè mi hanno detto che oggi ci saranno degli scontri con la polizia, ed io adoro gli scontri. Quando parte la carica è tutta una gara di velocità. Si corre, c’è adrenalina, competizione, il traguardo della salvezza. E poi adoro vedere quei tizi in divisa bardati come astronauti correre goffamente per raggiungermi. A volte rallento, mi lascio quasi toccare, poi riparto, li stacco di una decina di metri e rallento di nuovo. È divertente. Ecco la carica, corrono verso di noi. Si parte! Sono organizzati, lungo il sentiero ce ne sono alcuni, vestiti come noi, gli infiltrati li chiamano, fanno la staffetta per raggiungermi, ma non c’è storia, sono io il più veloce. L’ultimo della staffetta corre veloce, si impegna, ha proprio voglia di prendermi, di vincere. Poi però si ferma, mette le mani sulle ginocchia, è pallido, ansima e gli occhi sembrano uscire dalle orbite, torno indietro, faccio una corsetta intorno a lui che intanto si è accasciato al suolo, si è afferrato il petto, nei suoi occhi c’è tanta paura. Mi fermo. Lui mi guarda e dice: «Il mio cuore, un infarto! Cazzo, volevo proprio ammazzarti ma mi sa che all’appuntamento con la morte ci vado prima io». …NO! Siamo due avversari e c’è un traguardo: la morte. In pochi minuti questo qui vincerà la competizione. Non posso permetterlo, che faccio? CHE FACCIO? Devo morire prima di lui, ma come? HO TROVATO! Trattengo il respiro…


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