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Ma questa è la serie B, prendere o lasciare, convulsa e imbottita di nomi che a volte fanno solo il verso a qualcuno di più famoso,comunque vitale per capire cosa accada dietro le quinte e cosa bolle nel sottoscala, che idee ed entusiasmo circolano a fianco del mainstream. Tra la primavera e l'estate di questo 2014, mi è capitato di imbattermi in diversi album che hanno superato la prova del 3 ascolti filati e poi via tra gli scaffali a morire di polvere. Album magari ancora acerbi ed imperfetti ma in qualche modo portavoce di un fare rocksincero e fresco, dischi almeno interessanti ed in grado di scaldare quel tanto che basta i lunghi pomeriggi di questo autunno chiamato estate. Da primi sono arrivati iLake Street Dive che con il loro Bad Self Portraits hanno portato una ventata di aria fresca ad una stagione che non ne aveva bisogno. Quattro nerds, due ragazze e due ragazzi, incontratisi al New England Conservatory di Boston poi convertitesi al jazz grazie alle virtù canore e strumentali della cantante e contrabbassista Bridget Kearney, versione da buona borghesia bostoniana di Amy Winehouse con un pizzico della nostra brava Alessandra Cecala, infine finiti a suonare dalle parti di Brooklyn una sorta di free-country con innesti di soul, pop, jazz, gospel, old-time music. Fossimo negli anni ottanta i LSD sarebbero stati arruolati in quella corrente di absolute beginners inglesi che movimentarono la scena pop col loro intellettualismo jazzy e i loro modi cool, ma siamo nelle blue highwayamericane e allora la loro musica si impolvera di radici e blues, fa venire in mente i bravi Alabama Shakes ma strizza l'occhio anche ai Mama's and Papa's e ai Beatles per via delle armonie vocali. La strumentazione è quella di un combo tra jazz e grass, più acustico che elettrico, le canzoni sono ammalianti ed hanno uno spumeggiante pop-appeal, i testi spaziano dal sesso frustrato alle confusioni affettive, le armonizzazioni vocali arrivano a lambire il doo-wop ed un antico fascino da combo folk-rock si stempera in una esecuzione sbarazzina ma non banale. I LSD,pur avendo alle spalle un altro disco ed un video, posseggono lo stile per poter diventare un prodotto di moda caro al pubblico urbano degli happy hours, sesupportati adeguatamente dalle stazioni radio, prima che ciò avvenga procuratevi Bad Self Portraits, sentitelo un paio di volte e poi stappatevi un Prosecco D.O.C. E' la musica giusta per una euforia light.
Più muscolari e maschili, i Reigning Sound attingono al bacino musicale di Memphis per crearsi un garage soul-rock che pur moderno e aggiornato ha il cuore delle vecchie incisioni dei Box Tops, dei dischi di Alex Chilton e dei Big Star, degli Ardent Studios. Attitudine garage per canzoni che hanno la melodia del pop inglese dei sixties ed il suono del R&B memphisiano, mica male per un'estate piovosa. Canzoni da tre minuti tre, una voce calda e armoniosa, quella di Greg Cartwright, cantante e chitarrista, un collettivo che gioca d'assieme senza gerarchie pur essendo Cartwright e l'organista/pianista Dave Amels, un piccolo Booker T., le due punte della squadra. Sono un quintetto con agganci newyorchesi (quattro facevano parte del gruppo soul di Brooklyn The Jay Vons) e alle spalle un paio di incisioni, il nuovo Shattered focalizza meglio di tutte la loro fisionomia musicale. Pop, country- soul, rock, spruzzate acide, tastiere psycho-beat alla Doors, omaggi a oscure garage band di Memphis come Shadden and The King Lovers, i Reigning Sound non tralasciano nulla per cantare la loro ode alla città di Elvis passando per la Stax e gli Ardent Studios. Candidi a volte, sporchi altre, certo ancora acerbi in qualche traccia ma frizzanti nella loro moderna visione del r&b, i Reigning Sound cantano con voce arrendevole di cuori infranti, perdite, rimpianti, senza piagnucolare. Sono visi pallidi con il soul nelle vene, quel soul garagista che unisce Memphis con la Belfast dei Them di Van Morrison.
Legati invece ad un contesto rurale sono la Ben Miller Band, trio balzatoall'onore delle cronache per aver supportato gli ZZ Top nel recente tour. Per produrre il loro nuovo album si è mosso Vance Powell, uno che ha lavorato con Jack White, Kings of Leon, Wanda Jackson, il quale negli studi Sputnik di Nashville ha messo a punto Any Way, Sharp or Form, titolo che fa riferimento alla loro predisposizione nell'utilizzare qualsiasi mezzo necessario per suonare e comunicare con una canzone. Sono in tre, barba, baffi e aspetto da montanari, vengono dalle lande di quel desolato e appartato Missouri che ha fatto da sfondo alla pellicola Un Gelido Inverno (Winter's Bone) ma non sono bruschi, rozzi e cattivi come i personaggi di quel film, sono dotati di ironia e piglio ribaldo e con una filosofia "fai da te" ricompongono l'intera gamma delle musiche povere del sud attraversando folk, country, hillbilly e mountain music con un approccio originale e senza pretese, di basso profilo visto che si avvalgono di strumenti inventati e costruiti da loro stessi. Uniscono lo spirito del rock n'roll da bettole all'energia frenetica del bluegrass, l'anima down-home blues del Delta allo spirito stregato della musica degli Appalachi coniando una personale ricetta che hanno soprannominato Ozark Stomp, in virtù del fatto che la loro origine è nella regione delle Ozark Mountains.
Pur essendo solo in tre, Ben Miller, Scott Leaper e Doug Dicharry assemblano un sound arrembante lavorando con gli arnesi della tradizionale american music, il loro contagioso stomp possiede la ruvidezza dei primi 16 Horsepower, la follia iconoclasta di Slim Cessna'Auto Club e l'energia delle band del nuovo bluegrass tipo gli Old Crow Medicine Show. Nel loro carnet c'è spazio anche per ballate e malinconia ma danno il meglio di sé nei brani tesi e scalpitanti, Ben Miller è un dinamico chitarrista acustico, Scott Leaper suona un contrabbasso ad una sola corda ottenuto infilando un manico di scopa in un secchio di metallo (one string washtube bass), Doug Dicharry si occupa di un universo dove compaiono cucchiai, assi da lavare, rullante, tromboni, trombe, tamburi e mandolini, il loro eclettismo risalta in 23 Skidoo, esempio di come la band sappia condensare in unica traccia la old time music di Leon Redbone, il dixieland jazz delle marching bands e la musica havaiana.
Small Town Heroes è un disco denso di folk di strada dove c'è una interazione tra la musica di Gillian Welch, quella di John Prine e di Furry Lewis (una delle più caratteristiche tracce dell'album è la rivisitazione di San Francisco Bay Blues) ed il lascito di una letteratura al femminile (Jeanette Winterson, Sampat Pal, Audre Lord) che regala alla Segarra un marcato punto di vista critico e politico. Una delle canzoni meglio riuscite dell'album, The Body Electric, intensa e perfetta nel crescendo emotivo degli arrangiamenti, trae spunto da alcune notizie di cronaca come il crescente numero di ragazze vittime di abusi sessuali, in particolare il fattaccio successo su un autobus a Nuova Delhi dove una donna è stata violentata e uccisa. A differenza degli album precedenti di Hurray For The Riff Raff dove c'era un sacco di sperimentazione nella scrittura delle canzoni e nella registrazione, Small Town Heroes è un album diretto, asciutto, schietto, con le canzoni correlate da un unico filo conduttore, un album intenso di una giovane cantante/autrice/musicista avviata su quelle strade americane che sono di Lucinda Williams e Mary Gauthier.