Strage di Brescia, Pier Paolo Pasolini: dalla cultura all’iper-ignoranza di massa

Creato il 03 dicembre 2010 da Sulromanzo

[…] Bisogna avere il coraggio intellettuale di dire che anche Berlinguer e il Partito comunista italiano hanno dimostrato di non aver capito bene cos’è successo nel nostro paese negli ultimi dieci anni”– chi scrive è Pier Paolo Pasolini. Un trentennio fa nascevano gli Scritti corsari, la raccolta di tutti i suoi interventi pubblicati sul Corriere della Sera: nel 10 giugno del 1974, vedevano la luce gli Studi sulla rivoluzione antropologica italiana, tra vecchie e nuove istanze, che soccombevano, e soccombono, dinanzi a una imprescindibile parola d’ordine: “cultura di massa”. Una parola che conduce a una analisi attenta e mai approssimativa degli ultimi decenni del XX secolo, quando anche la strage di Brescia, ora archiviata dalla politica e mai dalle coscienze, appariva un esito neofascista e non più fascista. 

Pasolini è abile nell’individuare, assieme al massacro, un altro punto a favore della sua protesta contro l’Unità che, il 2 giugno, esaltava l’antifascismo della nuova repubblica: il 12 maggio, giorno in cui venne definitivamente sancita la fine di quella “guerra di religione” che opponeva i sostenitori e gli oppositori della legge sul divorzio. Fu un grande trionfo per i primi, una vittoria oscurata sedici giorni dopo dalla morte di otto civili, uccisi con una bomba durante una manifestazione antifascista. L’esplosione non è cessata, continua in silenzio, è sotto gli occhi di tutti, ma nessuno le presta attenzione, pur essendo tutti, chi più chi meno, sue vittime: non contano le differenze, semplicemente perché non vi sono più differenze sostanziali, siamo tutti figli di una cultura di massa, siamo tutti fascisti e antifascisti allo stesso tempo.

La matrice che genera tutti gli italiani è ormai la stessa. Non c’è più una differenza apprezzabile – al di fuori di una scelta politica – tra un qualsiasi cittadino italiano fascista e un qualsiasi cittadino italiano antifascista”.

Pasolini fece centro già decenni e decenni fa. Un diciassettenne lo tolse di mezzo, le sue condanne al falso mito del progresso che tutti omologa e tutti uccide, non erano gradite, soprattutto dopo Salò o Le 120 giornate di Sodoma, il suo ultimo film.

La questione è centrale: non è importante che siano spariti i veri fascisti, è stata la storia a cancellarli, sono stati gli eventi a farli fuori; è importante, invece, che stiano scomparendo gli antifascisti che la stessa storia ha forgiato, quegli antifascisti che scrissero la Carta Costituzionale, la cui XII disposizione transitoria e finale non avrebbe potuto essere più chiara a riguardo: “È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”.

Quello che Pasolini ha percepito – una percezione che lo spinse a non definire trionfo la schiacciante vittoria del 12 maggio – è palese oggi e sarà sempre più cristallino negli anni a venire. Poco importa, quindi, se il nuovo fascismo è “nominale e artificiale”; importa, invece, che da questa ignoranza di massa, di certo non attribuibile esclusivamente ai mass media, non emerga un nuovo mostro; è indispensabile che non si creino i presupposti di un nuovo Ventennio: l’assenza di una forte opposizione non politica ma civile, in primis. Una opposizione di coscienza, insomma.

L’iper-ignoranza di massa continua a sfornare dei bambocci fascisti e comunisti. C’è ancora qualcuno che è in grado di capire perché la strage di Brescia non è un caso da archiviare con una assoluzione? C’è qualcuno che, a fronte di tutto ciò, ha compreso perché il caso, invece, è stato archiviato in questo modo?


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