Finisce sempre così, che quel film che ho lasciato passare senza troppi problemi, consapevole che non mi sarebbe piaciuto, che non era nelle mie corde, l'Academy mi costringe a vedere.
Che poi sia la mia propensione verso la completezza a mettermi in questa costrizione, è un altro punto di vista sulla faccenda.
Sta di fatto che quando uscì in sala estasiando i fan della prima e dell'ultim'ora, Straight Outta Compton mi portò ad avere parecchi dubbi a riguardo: io che del mondo del rap conosco e apprezzo poco o niente, cosa potevo trovarci? Io che di Ice Cube pensavo di conoscere solo la hit Gangsta Paradise tranne poi scoprire che era di Coolio, che gli N.W.A. non li avevo mai sentiti nominare, così come Eazy-E, come potevo approcciarmi al film che era la biografia di questo gruppo, di questi personaggi, compreso l'unico conosciuto, quel Dr. Dre per me solo produttore di Eminem?
E così, nonostante i pareri entusiasti che spuntavano qua e là, ho passato la mano, almeno fino ad oggi, dopo che l'Academy ha -quasi a sorpresa- deciso di nominare la sceneggiatura originale di Straight Outta Compton al fianco di Inside Out e di Spotlight, tanto per dire.
Ora, a voler essere sinceri, se proprio si voleva nominare Straight Outta Compton per qualcosa, questo qualcosa doveva essere la colonna sonora, composta però da brani storici e quindi contro il regolamento, perchè la trama del film -per quanto corrispondente più o meno ai fatti- è fatta di quei cliché che ritroviamo spesso e volentieri nei videoclip di questi rapper.
Una partenza dal nulla, in un sobborgo di Los Angeles in cui dilagano droga e violenza, in cui la polizia si aggira fermando chiunque sia anche solo sospetto, e quindi nero.
Una partenza con un brano, autoprodotto, registrato a fatica con il rap di Eazy-E che non se ne vuole uscire giusto, e poi da quel piccolo, da quel sobborgo, da quei genitori e dalle quelle fidanzate che non capiscono e non approvano il perdersi dietro e dentro la musica, il successo.
Palazzetti gremiti, concerti sold out, canzoni che si fanno protesta, che esprimono il disagio di una minoranza ghettizzata. Fuck the Police che mette in allerta le forze dell'ordine locale, l'FBI stessa.
Ma alle luci abbaglianti del successo, corrispondono altrettante ombre, che soldi e contratti dalla dubbia fiducia alimentano, risentimenti, invidie, vendette.
E il gruppo si scioglie.
Ice Cube da un lato, gli altri dall'altro, a sfidarsi per la gioia dei produttori a suon di rime, e poi un'ulteriore divisione, l'alcool che ne annebbia, le ville, le donne, le feste, quel produttore viscido sempre pronto a far firmare carte su carte.
E sì che basterebbe poco, basterebbe una chiamata, in ricordo dei vecchi tempi, della foga, della passione di una volta, dell'amicizia. Vuoi gli anni che passano, vuoi i dubbi su una salute che si fa cagionevole.
E tutto torna come prima, o tornerebbe come prima, se quella salute non peggiorasse, rivelando una verità amara e definitiva.
Una storia di riscatto, perdita e redenzione, una storia come tante se ne sono viste al cinema, con un'arte -vuoi il ballo, vuoi la musica- a fare da ulteriore protagonista.
A fare la differenza, qui, che questa storia è vera, e quindi quella costruzione un po' confusa che va avanti veloce nel tempo, negli inizi, quei dialoghi spacconi, quei clichè dei party a bordo piscina, dei festini post concerto, al vero corrispondono.
Nella polemica degli #OscarSoWhite, Straight Outta Compton si distingue non solo per un cast di sconosciuti pronti ad esplodere (Paul Giamatti a parte, sempre ottimo nei panni del viscido), ma proprio per la storia che racconta, per quel sogno americano che si realizza anche in un sobborgo, dove a quasi 30 anni di distanza, lì come altrove, poco sembra essere cambiato: poliziotti che picchiano i neri, che li uccidono, che alimentano così l'odio.
A cambiare è stata invece la scena del rap, più attratta dal luccichio dei soldi che dalla verità da sputare in faccia alla gente, nei concerti.
Come da copione, però, proprio perchè questo mondo, questa musica, è distante dalle mie corde, il film l'ho saputo apprezzare solo fino ad un certo punto, sentendone e soccombendo alla sua lunghezza (147 minuti), uscendone arricchita più a livello culturale (rappistico) che non emozionale.
Regia F. Gary GraySceneggiatura Jonathan Herman, Andrea BerloffMusiche Joseph TrapaneseCast O'Shea Jackson Jr., Corey Hawkins, Jason Mitchell, Paul GiamattiIl TrailerSe ti è piaciuto guarda anche 8 mile, la serie Empire