Nella mia famiglia si è sempre incoraggiato uno strano culto della felicità.
Da quando era piccolo mio padre continuava a ripetermi che nella vita avrei dovuto tenere bene a mente due cose: trovare una passione e curare al meglio il rapporto con essa. Queste sue regole, a rigor di logica, si potevano applicare a qualsiasi ambito della vita quotidiana.
Capii ben presto che curare i rapporti, di qualsiasi tipo essi fossero, era molto più semplice del trovare quell’unica passione a cui dedicarsi anima e corpo. Crescendo compresi che nella nel corso della vita i sogni potevano cambiare e assumere forme che non ci si sarebbe mai aspettati. Perciò mai dire mai.
Mio padre aveva sempre saputo di voler fare l’architetto e per tutta la vita si era dedicato al rapporto con quel suo amore con una cura meticolosa. Dopo anni di successi, però, sentiva di non essere più felice. Si rese conto di come gli venisse naturale, ogni mattina a colazione, incidere dei buffi sorrisi sulla frutta per me e mia sorella. Quasi sessantenne capì decise di cambiare vita: studiò molto, fece pratica e divenne uno chef specializzato in intaglio e decorazioni.
Ovvio, dopo anni di un lavoro parecchio redditizio il cambio fu abbastanza facile… ma credo che il concetto di base non cambi.
Io negli anni fui molto indeciso su quale sarebbe dovuta essere la mia strada. Studiai per diventare un artista, volevo diventare il pittore erede di Dalì.
Per strane circostanze della vita finii per diventare un meccanico, frequentai dei corsi per imparare ad usare l’aerografo e iniziai a decorare auto e motociclette, poi divenni tatuatore, disoccupato e di nuovo il meccanico. Questa non era la mia aspirazione, ma mi diede modo di capire cosa avrei voluto fare e di guadagnarmi abbastanza denaro per realizzarlo.
Io volevo viaggiare. Conoscere e vedere erano le uniche cose che sentivo veramente il bisogno di fare.
Fin da piccolo mio padre aveva appeso nella stanza mia e di mia sorella una grandissima carta geografica con rappresentato il mondo intero. Per gioco tiravamo dei dadi e coi risultati ottenuti, dopo qualche strana addizione, sceglievamo una destinazione da visitare assieme. All’epoca era solo un gioco.
Quando crebbi e i miei decisero di cambiare l’arredamento della mia stanza, quella cartina finì arrotolata in uno scatolone e piazzata in soffitta assieme a vestiti smessi e vecchi giocattoli.
Qualche anno fa capitai lì per recuperare dei vecchi maglioni da far usare a mio figlio e la ritrovai assieme ai vecchi dadi di legno chiaro.Fu come un fulmine. Capii cosa poteva rendermi di nuovo felice.
Ora, ogni anno ad aprile, lancio quei dadi e programmo un viaggio basato sulle coordinate estratte dalla sorte.
Quella è la mia passione. La tratto col massimo rispetto.