Stravolgere il finale. Perché niente è intoccabile

Da Marcofre

Al lavoro per la terza raccolta di racconti!

Ma certo che lo sai. Perché lo sai, vero? Insomma: sto riscrivendo alcuni racconti che andranno a far parte della terza raccolta (e conclusiva) della Trilogia delle Erbacce. Alcuni però non avranno l’onore di farne parte; li ho già fatti fuori. Non mi piacciono, non aggiungono nulla di nuovo a quanto detto dagli altri racconti. Vero è che alla fine si scrive sempre delle stesse cose: ma c’è modo e modo!

Hai fretta? E chi credi di essere?

Come si può immaginare, un mucchio di roba finisce per essere cancellata. A volte interi paragrafi. Sono costati impegno? Pazienza. Un taglio e via. Niente deve essere risparmiato. E così succede anche per il finale.
In almeno un’occasione, mi sono reso conto che non era abbastanza convincente. Anzi, era debole. Poteva interessare qualcuno? Ma certo! Troverai sempre qualcuno che apprezzerà una storia orrenda. Lo sappiamo, basta guardare le classifiche.
Se però lasci che le scorie si depositino sul fondo… Se quindi permetti al tempo di scordarti che cosa hai scritto, e la tua storia pare quella di un altro: allora ci siamo. Ecco perché non devi avere fretta. Nessuno ha bisogno delle tue storie. Le persone semmai hanno bisogno di denaro, un altro lavoro, un’altra macchina. È un brutto pensare?
Macché, è bellissimo. Ti fa scendere dalle nuvole: perché è proprio così. Si può vivere senza i miei racconti, e le tue storie: e farlo persino bene.
Tu ed io dobbiamo farlo sempre e comunque al meglio. Lo dobbiamo alla storia. Il lettore? Eh!
Ormai la stagione d’oro della narrativa l’abbiamo alle spalle.

Due cose mi hanno fregato. Ma la seconda non me la ricordo più

Il Novecento mi ha fregato, sul serio. Se fossi nato nel 1866, io starei a casa di Zola a dirgli:

Ma mio caro Émile. Tutta questa produzione. Questo ciclo dei Rougon-Macquart, è troppa roba. Dammi retta. Less is better.”

Avrei da dire qualcosa anche a Dostoevskij, e pure a Tolstoj.
A quei tempi non c’era che il libro. Basta. Niente radio o cinema. Né televisione o Web. Non c’era concorrenza. La gente? La gente passava la vita andando ai ricevimenti. Non lo dico io, lo dice Tolstoj e pure Dostoevskij. Mai uno che lavori, nelle storie dei russi. Al massimo fanno l’impiegato, e nella Russia di quei tempi voleva dire spostare faldoni da un ufficio all’altro, inchinarsi, chiamarsi con chilometrici nomi… Chiacchierare. Con un pubblico di quel genere, vinci facile. Scrivi una raccolta di racconti, e te la leggono. Tanto non hanno da fare niente.
Ma al giorno d’oggi… La gente che conta è troppo impegnata.

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La televisione. 

Hai visto l’ultimo di Di Caprio? 

La Ferrari non è più come quella di una volta, quando c’era lui, il “Drake”!

Avevi un pubblico pronto. Bastava essere introdotti, presentarsi. Ed era fatta.
Adesso sei uno dei tanti.

Hai scritto un libro? Sagomaccia che sei. Ah, lo sai che dicono di Renzi? Se trovi un toscano buono fumatelo subito. Se questa non è satira. Satira dei tempi migliori!”.

Concludendo