Il risultato finale può forse apparire un po’ scomposto, ma lascia comunque il segno, vuoi per la beffarda ironia di cui il film è soffuso, vuoi per la bravura degli interpreti: Nino Manfredi, piuttosto misurato, la graziosa Pamela Tiffin, ingenuità e malizia, un Ugo Tognazzi d’antologia, senza dimenticare la capacità di dare risalto anche a brevi ma efficaci caratterizzazioni, offerte, per esempio, da attori del calibro di Gigi Ballista.
Diretto da Risi assecondando, apparentemente, una linea ingenuamente pop già dal titolo (un verso della canzone Creola,’26, Riff, alias Luigi Miaglia), evidente anche nella fotografia e nel commento musicale di Armando Trovajoli (intervallato da Io ti sento, cantata da Marisa Sannia), Straziami ma di baci saziami irride con sinuosa cattiveria la letteratura popolare, dal classico feuilleton ottocentesco per arrivare al cinema di Matarazzo, che si ciba proprio del citato genere, passando per le vie del melodramma, del fumetto e del fotoromanzo, modello evidente nella visualizzazione dei singoli avvenimenti, veri e proprio capitoli con tanto di didascalia.
Colpisce, poi, l’ inveterato cinismo, apprezzabile o meno, nel rappresentare le classi sociali che a tali fonti si abbeverano e ne improntano il proprio modus vivendi, descrivendo un’Italia in fase post boom economico, ma ancora sospesa tra tradizione contadina, presente nei piccoli centri, e modernità urbana, con già qualche traccia d’alienazione o comunque difficoltà d’integrazione. Difficile resistere, ridendo amaro, alla scena in cui i due innamorati declinano i versi de L’immensità di Don Backy come fossero quelli dell’ Infinito leopardiano, disquisendo su tutti i possibili rivoli esistenziali, o alla visualizzazione della forzata separazione immedesimandosi in una scena de Il dottor Zivago.
Ecco quindi un esempio di film “medio” (i capolavori di Risi sono altri), colorato, vivace, piuttosto folk se vogliamo, con qualche evidente lungaggine prima di arrivare ad un prevedibile finale, che riesce però a rendere ancora oggi impietoso il confronto a danno delle attuali commedie nostrane che, lungi da inventiva, se non registica almeno di scrittura, cavalcano uno stanco “ahò facce ridere”, tentando di volare alto per poi restare confinate nel solito tinello televisivo o riproponendo vecchi cliché, cercando d’ attualizzarli in un maldestro tentativo di satira sociale.