Angela tentennò un istante guardando il vuoto, poi mosse il capo e rispose.
«Niente».
La replica non convinse Luca, che insistette.
«Non è vero. È da due giorni che ti vedo… strana», disse il ragazzo accennando una smorfia mentre pronunciava l’aggettivo. «Qualunque cosa sia, dimmelo, per piacere, perché ci sto male».
«Ci stai male? Sapessi quanto ci sto male io! Lo vuoi sapere cos’ho? Te lo dico, te lo dico! Non ti sei nemmeno accorto che ho cambiato la foto sul profilo! Da ieri!».
Luca scrollò le spalle incredulo.
«Ma che stai dicendo?», chiese alla fidanzata, «ho messo anche il like!», aggiunse.
Angela tirò fuori l’iPhone, aprì facebook e controllò.
«Dov’è? Dov’è? Fammelo vedere, stronzo! Non mi hai nemmeno taggata nella foto con Andrea e Giulio. E l’altro ieri, ti credi che non me l’hanno detto, hai messo il like al link di Stefania della 5^ F. Quella stronza è ancora tra i tuoi amici! Ho controllato!».
Luca non credeva ai suoi occhi. Il “mi piace” sulla foto di Angela era certo di averlo messo, più che altro perché lo metteva a qualunque cosa Angela scrivesse. L’aveva messo sul suo status di qualche ora prima, “Oggi piove”, su quello successivo, “Chi abbandona i cani è una merda” e su quello delle 14.32, “Spero che Giordano il tronista alla fine sceglie Denise che Roberta è una strega e se la tira!”.
«Il tag nella foto con Andrea e Giulio? Ma se non c’eri nemmeno nella foto, che ti taggo a fare?».
«E perché tu c’eri nella foto dove sto io con Marina? Io però ti ci metto sempre perché io ti amo e con te condivido tutto! Tu invece che fai? Metti il like sulle foto di quella là e mi nascondi le amicizie, mi fai schifo Luca!». La situazione stava degenerando. Luca non sapeva più che pesci pigliare, mentre Angela proseguiva incalzandolo su ogni sua mancanza. Sciorinò un elenco di 36 “assenze” di cui 21 tag e 15 like; 118 amiche presenti tra quelle di Luca che richiedevano spiegazioni dettagliate e ben 64 link che Luca, non conoscendo bene le impostazioni della privacy di facebook, aveva commentato pensando di non essere letto da Angela. Di questi 64, 52 rappresentavano immagini sexy di Belén Rodríguez, Michelle Hunziker, Elisabetta Canalis e, goccia che fece traboccare il vaso, ben 4 video porno amatoriali.
«Ma sono tutti del profilo di Antonio! Quello se non commenti ti mena, perché gli piace stare al centro dell’attenzione e se non commenti quello che pubblica lui ti mette le mani addosso».
«Sei uno stronzo. Con me hai chiuso e ti elimino subito dagli amici, anzi ti blocco! Non ti permettere di chiedere l’amicizia ai miei amici perché ti faccio passare i guai! E non ti permettere di fare il mio nome in nessun commento! Hai capito? Vaffanculo!».
Fiction? Immaginazione? Iper-realtà? Nulla di tutto questo. Solo la banale, normale, semplice realtà. I social network hanno cambiato il mondo e, come ormai noto, hanno cambiato il nostro modo di comunicare. Twitter ha avuto un ruolo determinante nel conflitto Tunisino. Una rivoluzione 2.0, verrebbe da dire. Per restare ai giorni nostri, l’hashtag del momento è, purtroppo, #Genova.
Ma è altrettanto noto come soprattutto i più giovani vivano così intensamente il virtuale da confonderlo, sovrapporlo e, in alcuni casi – sempre più frequenti –, sostituirlo al reale. Qualche anno fa uscì Second Life il cui fine era chiaro sin dal nome: crearsi una vita parallela. Un fallimento annunciato, perché nessuno volle sputtanarsi così. Iscriversi a Second Life significava ammettere che la propria first life faceva schifo e che la si voleva diversa, pardon, migliore. E questa, oggi, è una sconfitta. La tv ha imposto modelli secondo i quali se la tua vita fa schifo conviene non dirlo a nessuno, se non nei reality per acchiappare tele-voti. Del resto, basta osservare un po’ gli esseri umani. Ci si incontra tra conoscenti e ci si chiede reciprocamente “Come stai?”. E si risponde, reciprocamente, “Bene, grazie”. Poi ci si saluta con un “Ci vediamo” sapendo che non ci si rivedrà, se non per caso, e che a nessuno dei due fregherà nulla della cosa.
I social network odierni sono un successo, invece, perché sul social network io non sono un avatar. Io sono io e posso dimostrare a tutti i miei amici (anche mentendo, soprattutto a quelli che non conosco, che sono la maggioranza) che la mia vita è fikissima.
Su facebook, io sono Alessandro Greco, come lo sono nella realtà. Se leggete “Ad Alessandro Greco piace David Foster Wallace” magari è un qualcosa che vorrei accadesse in un’altra vita migliore di quella che vivo. Oppure è reale. Nel mio caso è reale: io adoro David Foster Wallace. Anche “Ad Alessandro Greco piace Sul Romanzo” è assolutamente vero. Quel che resta virtuale, direi per un buon 80%, sono “gli amici” e, conseguentemente, le “interazioni”. Io, per esempio, ho circa mille amici e il numero di Dunbar mi fa un baffo. Certo, sono un caso a parte. Uso facebook solo per la letteratura, perché mi permette di stare in contatto con scrittori, editori, creativi, giornalisti, presentatori, blogger etc. I miei amici, quelli veri, preferisco vederli il sabato sera, perché “Ad Alessandro Greco piace andare a cena con gli amici”.
Ma tornando ai più giovani (ma anche a quelli un po’ meno giovani), dicevo che, a mio avviso, i ragazzi hanno con-fuso totalmente virtuale e reale.
A titolo esemplificativo porto questo articolo apparso su diversi notiziari. In breve: due amiche discutono sulla chat di facebook in merito ad argomenti futili. Una delle due, alterata, cancella l’amica dagli amici. Per tutta risposta, l’altra esce, si reca a casa della traditrice e… e…? E mette fuoco all’abitazione della ragazza colpevole di averla eliminata.
Sì, perché il virtuale e il reale sono la stessa cosa; il virtuale È il reale e cancellare qualcuno dagli amici – anzi eliminare perché così c’è scritto sull’apposito pulsante, elimina –, corrisponde alla soppressione fisica. Pertanto, chi ha addirittura meno sale in zucca della protagonista di questa vicenda, arriva all’omicidio. Chi, invece, come la tipa dell’articolo, non ce la fa proprio ad uccidere, allora si vendica in altro modo.
I ragazzi, oggi, sono confusi.
I ragazzi oggi fanno clic, scaricano un app, lasciano un tweet o mettono un tag. Provate ad entrare in qualche gruppo facebook di giovani (per esempio le trasmissioni di Maria De Filippi) e scorrete un minimo le discussioni. I litigi, gli screzi sono così frequenti e così accorati che la sovrapposizione tra reale e virtuale cui accennavo prima è palese. Si litiga “de core” come dicono a Roma, ci si manda a quel paese “co le mani arzate” e “li mortacci tua” è l’insulto minimo richiesto per accedere al gruppo.
Quando avevo quattordici anni, alle sei del pomeriggio ci si vedeva su un muretto posto a recinzione di un distributore di benzina. L’appuntamento era lì, alle sei, sei e un quarto. Non c’era modo per sapere che “Paolo si trova qui con Andrea, Luca e Gianni”.
Non c’erano whatsapp, messenger, facebook, twitter, google+ e chi più ne ha più è fiko. Oggi l’appuntamento è un “evento” al quale sei invitato a partecipare e se non rispondi (anzi, se non rispondi sì) ti arriva un poke dritto in faccia, se ti va bene; se ti va male, l’organizzatore dell’evento apre una pagina in cui c’è la tua foto ubriaco mentre slinguazzi con un coker e dopo 20 minuti hai 13.000 like (che, grazie ai sei gradi di separazione, significa che sei sputtanato su tutto il pianeta terra).
Però la tecnologia salverà il mondo! Come scrivevo più su, twitter ha dato il là alla rivoluzione tunisina.
Sarà, ma io penso che è vero, twitter è stato fondamentale in quel caso. Il punto è che lì twitter è “uno strumento”, un “valore aggiunto”, un “qualcosa in più”. Qui, almeno per ciò che vedo io, i social network sono ormai diventati la vita.
A volte immagino di chiedere ad un ragazzo di 20, 22 anni “Che lavoro fai?” e sentirmi dire “Gestisco sei account”.
Ma l’ultimo e, a mio avviso, più grave danno che i social network compiono sulle nuove (e future) generazioni, è quello che Paolo Barnard definisce “attivismo da tastiera”.
Non c’è nulla di male, apparentemente, nel condividere un qualcosa che si trova “squallido”, “deplorevole”. Il punto, però, è un altro. Il punto è che i giovani di oggi sono “indignatos con il cuore in piazza ma il culo al caldos” e non riescono a capire che, se davvero c’è qualcosa che va segnalato, denunciato affinché sia cambiato, non basta il pulsante sharing e nemmeno quello segnala. Ma l’utente attivo, l’utente a cui “piace”, si sente di levatura morale superiore. Si sente sollevato. Lui con il suo “mi piace” sta dicendo al mondo “non è colpa mia se siamo ridotti così; vedete: io clicco e dico apertamente che questo non mi sta bene”. Già, ma per cambiarlo cosa sono disposto a fare? Nulla. Nulla più di un clic. Ci vuole… ci vuole ben altro. Ci vuole una movimentazione. Ci vuole la piazza. Tutti in piazza a farsi sentire.
E io so anche come fare a portarne in piazza almeno 25.000. Gli dico che apre TRONY. Domani lo metto come status.