Dice il saggio, mal che si vuole non duole: quando dei Santi - pur di nome e non certo di fatto - portano la sfida nella tana delle Tigri sul piano del chi graffia di più, facile ci scappi che siano i panteroni a godere.
Forse contavano su una protezione più efficace da parte del solitamente affidabile arbitro Barnes, o forse coach Mallinder aveva pianificato di "buttarla sulla provocazione" a bella posta per tentare di spostare i bilanciatissimi equilibri in campo, sbilanciati per l'appunto solo dal fattore campo, o forse coi caratterini che si ritrovano 'sti Santi, non poteva che riuscire così; non è dato sapere.
Sta di fatto che le Tigri accettano di buon grado la sfida sul piano più scrappy che si può e la vincono: la prima semifinale dell'Aviva Premiership vede al Welford Road Leicester passare Northampton per 11-3 in una gara che con un eufemismo si può definire "intensa" più ancora di quanto normalmente si confà a una partita di playoff inglese e nella quale l'unica meta, peraltro tardiva (a dieci minuti dalla fine) del metaman della Premiership Alesana Tuilagi, più che la chiave della gara ne segnava l'epilogo.
Due gran squadroni completi e competenti in tutti i reparti (sette sono i membri dell'Aviva Dream Team in campo), molto inglesi nell'approccio al rugby ("la battaglia dei topi di trincea" la definisce Vittorio Munari) si sono sfidati sul piano dell'irruenza veemente sui punti di contatto, su quello delle competenze nelle fasi cosiddette statiche (mischie e rimesse), a "battezzare" buchi sulla linea difensiva avversaria dopo averla impegnata, grazie alle capacità delle forze speciali. Ci riferiamo primariamente a Foden e Ashton da una parte, Flood e i due fratelli Tuilagi dall'altra. Il resto dei trequarti svolgono un lavorìo preparatorio da genieri che sminano e aprono ponti e strade sotto il fuoco nemico: i centri Downey e Clarke dei Saints col mediano Dickson, Allen, Scott Hamilton in fondo e l'ala Smith per i Tigers, mentre il mediano Ben Youngs da una parte e l'anziano Bruce Reihana all'ala dall'altra, rimangono un po' defilati, meno incisivi.
La battaglia vera di trincea è ovviamente davanti: i Santi devono rinunciare al Player of the Year Tom Wood ma lo stesso la terza linea Clark-Dowson-Wilson s'ingaggia in furiosi abbordaggi con le Tigri Croft-Newby-Crane, la seconda linea un filo più "tecnica" Lawes-Day s'impegna e viene impegnata sul piano della parità dal duo Mafi-Skivington.
Il confronto in prima linea in una gara così intensa e con tanti errori provocati è subito al calor bianco: Hartley non può fare a meno di provocare, Chuter si ritrova la fronte sanguinante già dai primi minuti mentre coda-di-paglia Castrogiovanni ci casca immediatamente, dando al tallonatore avverso i buffetti sulla guancia o le pacche sulle spalle a ogni insuccesso; dovrebbe badare di più a Tonga'uiha suo avversario diretto, che zitto e determinato gli arrotola la canotta in mischia due volte su tre, mentre Ayerza ha il suo bel daffare a reggere gli attacchi di Mujati. E tanto per riposarsi quando non si fronteggiano in mischia ordinata, son tutti impegnati a fare i ball carrier.
Le prime rudezze arrivano come al solito da Hartley, o perlomeno è il più visibile e ai Tigers non par vero di reagire e buttarla sul ruvido; Barnes in pessima forma lascia troppo correre - dopotutto ambo le squadre sono sulla stessa lunghezza d'onda - e il climax arriva alla mezz'ora, quando Manu Tuilagi placca Chris Ashton senza palla e questi esprime il suo disappunto dandogli uno spintone alle spalle mentre si rialza. Non l'avesse mai fatto: il giovanissimo (ex) samoano, fresco Young Player of the Year, rivela un talento alla Sonny Bill Williams con le mani ma non solo negli offload: lo aggredisce rifilandogli tre poderosi e ben indirizzati cartoni sul muso in sequenza, incurante del fatto che molti auspichino diventi a breve collega in nazionale del povero Ashton. Barnes non ha visto bene, chiede lumi all'assistant Robin Goodliffe ma anche costui s'è perso il meglio e gli consiglia il duplice giallo. Provvedimento esagerato per Ashton, colpito durissimo (dai pugni) e colpevole solo di una spinta; leggerissimo per Manu Tuilagi, ma ci penserà sicuramente il giudice sportivo a togliergli la finale, il mondiale possibile e diverse giornate del prossimo campionato, nonostante il suo coach Cockerill minimizzi dichiarando che stava seguendo il gioco, non ha visto nulla e sono i giornalisti ad esagerare (avran mandato dieci reply sui giga-screen in campo). Della serie, come rovinare un anno da incorniciare in un istante di follia adrenalinica.
Ripetiamo a scanso di equivoci e vittimismi (signorile ma vivo quello di Mallinder nel fine partita): mal che si vuole non duole. Spiace quasi di più per il ventenne, la lezione gli servirà, ma i Saints non sono certo entrati in campo con un atteggiamento remissivo e alla fine han raccolto ciò che han contribuito a seminare.
Abbiamo dedicato molto spazio all'analisi generale e a un episodio di "non rugby" perchè la partita è stata povera di rugby pur essendo di altissima intensità. Nota bene, per rifarci a, e confermare quanto detto in un recente post: quando c'è poco rugby in campo, non è solo colpa delle due squadre ma anche dell'arbitro.
L'unico episodio decisivo, come detto per chiudere la partita più che determinarla, è quando Ashton a dieci dalla fine tenta fallendo di intercettare un ovale mosso in attacco dai Tigers, Thomas Waldrom subentrato a Crane mette in azione con belle mani George Chuter poi Ayerza, che lancia Alesana Tuilagi al largo verso la meta, nonostante il tentativo di recupero di Bruce Reihana e Ashton stesso.
A sottolineare il tipo di gara, in precedenza era stato 3-0 a fine del primo tempo - uno su due i piazzati di Flood nel tempo, a punire un placcaggio alto (tanto per cambiare) su Croft; Myler pareggiava al 46' per un tackle aereo in rimessa laterale. Leicester recuperava il vantaggio all'ora di gioco sempre su penalty di Flood, poi la meta.
Nel mezzo molto poco, coi Tigers a farsi preferire per la pressione ma i Saints a respingere e ripartire, e a volte a sbeffeggiare gli avversari come quando per due volte in tempi diversi, il pack respinge quello di casa con perdite da una mischia a favore dell'attacco nei 5 metri difensivi.
Tant'è, forse s'è trattato della vera finale della Aviva Premiership di quest'anno; Leicester è lanciatissima per il back-to-back, Northampton giocoforza va a focalizzarsi - come ci si poteva già attendere - sulla finale di Heineken Cup di settimana prossima, sperando che Harley si sia sfogato (non ci conterei) e Ashton non sia ancora scosso per i colpi subiti ... sul ring più che sul pitch.