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Struttura sociale ed economica dei regni barbareschi

Creato il 13 ottobre 2010 da Cultura Salentina

Bagni penali, schiavi e riscatti

di Vincenzo Scarpello

 

Il mercato degli schiavi di Jean-Léon Gérôme

 

Di certo la struttura degli Stati rispondeva ad un esigenza di proiezione economica sul mare, tradizionalmente dipendendo gli stati dell’Africa del nord dalla pesca e dai commerci delle rotte carovaniere dei deserti, che fornivano agli stati rivieraschi stoffe e spezie. Agricoltura ed allevamento erano appena sufficienti a garantire il sostentamento delle popolazioni, nonostante quelle terre fossero state nei secoli passati i granai che mantenevano tutta l’Italia romana. 

I moriscos cacciati dalla Spagna costituirono, oltre che l’iniziale nucleo dei corsari, anche la casta di commercianti ed artigiani, a dimostrazione di un’occidentalizzazione profonda tanto nella perizia tecnica, quanto nelle capacità commerciali.

Lo scambio commerciale, in realtà, con gli stati cristiani non venne mai meno, e non solo con “l’alleata” Francia. Certo nei periodi di maggiore scontro il flusso commerciale subì provvisorie interruzioni, ma subito dopo riprese il suo corso.

L’attività corsara costituiva un plus qualificante, fonte di introiti di cui poi godeva tutta la popolazione. Si può azzardare a sostenere che l’economia di buona parte delle reggenze dipendesse proprio dalla Corsa. Innanzitutto le prede alimentari, che nel peggiore dei casi venivano comunque portate nei porti e delle quali fruiva tutta la popolazione, che festeggiava l’arrivo vittorioso delle navi corsare.

Poi le prede di materiale prezioso, come stoffe, mobili, monete d’oro, gioielli, che venivano ripartite tra Pascià, cui spettava tra l’ottavo (ad Algeri) o il decimo (a Tunisi o Tripoli) del totale, un quinto era devoluto alle spese relative a custodia e vendita del bottino, un centesimo alla manutenzione del porto ed un altro centesimo all’Imam del luogo; il resto veniva ripartito tra Raìs e ciurme.

Un’altra e non minore forma di introito dalle scorrerie derivava dal commercio degli schiavi che venivano distinti a seconda che fossero personaggi di rango ragguardevole o particolarmente facoltosi, o semplici villici o soldati.

Nel primo caso il commercio dei riscatti consentiva di fornire un introito sempre regolare, cercando abboccamenti coi familiari delle vittime (e spesso ciò avveniva grazie alla complicità di mediatori “cristiani” che ottenevano una parte del riscatto), e di richiedere una somma rapportata tanto al rango quanto alla ricchezza dimostrata o conoscibile (spesso i catturati simulavano miseria, affinché il riscatto fosse diminuito).

Nel secondo caso tanto gli schiavi fornivano una manodopera gratuita, tanto sulla terra quanto sulle navi come rematori, ma venivano venduti come manovalanza in veri e propri mercati, che avvenivano nelle vicinanze dei bagni penali.

Le donne più belle erano destinate alla concupiscenza dei raìs e le più fortunate potevano aspirare a far parte degli harem dei Pascià.

I bambini venivano educati nella religione islamica alle arti della guerra e della corsa, e molto spesso rinfoltivano i ranghi di giannizzeri e corsari.

Per il riscatto degli schiavi furono istituite delle confraternite caritatevoli, primi fra tutti i trinitari, con il compito di raccogliere elemosine presso gli stati cristiani, e riscattare singoli o gruppi di schiavi. Ovviamente in Barberia costoro godevano di un particolare salvacondotto, ed erano ben visti dai corsari, dato che intavolavano con essi vere e proprie trattative commerciali, volte alla liberazione degli schiavi.

Contrariamente a quanto si pensa, gli schiavi godevano anche di una certa libertà religiosa, tanto che nei bagni penali era consentita anche la presenza di cappellani cristiani, e si manifestava soventissimo una certa diffidenza riguardo alle conversioni degli schiavi.

 


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