Studiare, studiare e fare “bee, bee” come le pecore

Creato il 18 ottobre 2012 da Abattoir

giovedì 18 ottobre 2012 di Gas Giaramita

C’era una volta la scuola.

Dopo la leggerezza e l’aria di continua festa dell’asilo, in cui non eri obbligato a comperare un libro, ti ritrovavi tra i banchi di una classe.
Lì c’erano le carte geografiche appese al muro a comunicarti dove fosse l’Italia e che forma bizzarra avesse.

L’Italia delle scuole e dei suoi studenti col grembiule: una divisa che dispiaceva o piaceva. Che sicuramente ti omologava.

Un mondo nuovo fatto di nuovi bambinetti si faceva reale ai tuoi occhi. Dopo aver superato i pianti per non voler sottostare alle regole della scuola dell’obbligo, arrivò il maestro con il bacchettone.

Immediatamente diventammo agnellini da pascolo quieti quieti.

Vedevamo con terrore i nostri compagni ricevere quelle leggere torture sulle manine per non aver fatto i compiti o aver molestato il silenzio severo delle lezioni.
Nel frattempo si imparava a scrivere e a distogliere l’attenzione dal siciliano, l’unica vera lingua che conoscevamo naturalmente.
Si riempivano i quadernetti di frasi semplici ripetute tante volte per imparare a non fare errori e ad essere leggibile. Lo scarabocchio era all’ordine del giorno, ma le penne cancellabili tentavano di ripristinare il biancore della pagina.
Dopo l’alfabeto venivano le tabelline e la matematica divenne una poesia da sapere a memoria per tutta la vita. Almeno fino a che non si diffusero le calcolatrici, e i numeri diventarono privi di senso per uno studente di Lettere, cadendo nell’oblio.

Con gli esami di quinta elementare si superava la primissima fase da studentello e si passava alle medie: sparivano le bacchette e le maestre ed arrivavano i professori, il preside e le espulsioni.
L’aria diventava apparentemente più rigida e lo studio ancor più duro.
I rapporti umani si svincolavano dall’amore platonico per diventare qualcosa di più concreto e si facevano avanti anche i veri scontri tra compagni, i primi raggruppamenti di sfigati e di bellimbusti.

Il liceo fa da coronamento a queste evoluzioni, portando alla definitiva involuzione di alcuni alunni e alla maturazione di altri.

I compagni di classe si dividono inesorabilmente in gruppi di amici e nemici, i professori sono complici dell’adolescente in crisi o mostri da abbattere nei consigli di classe.
Le condizioni dell’aula sono nel frattempo peggiorate, i tetti cadono, le finestre non si aprono bene e gli spifferi d’inverno sono rumorosi.
Le pareti sono scritte e scorticate, ma almeno si possono trovare dei cartelloni con le foto dei compagni ad abbellire il blu e il bianco circostante.
Si bestemmia e si fuma, si beve e si scopa.
Naturali prosecuzioni della specie studentesca.

Ancora una volta le strade si dividono e quelli che anni prima erano dei bimbi in grembiule, adesso sono degli uomini e delle donne che cercano di farsi largo nella società.

L’università non è obbligatoria, si fa per dire.
Ci hanno detto che fosse indispensabile per poter lavorare.
Prima devi scegliere il corso di laurea che fa per te, o che i tuoi decideranno in mancanza di una tua autonomia cerebrale, se non vuoi ritrovarti nei panni dello studente errante, indeciso se fare il medico, l’agronomo o il letterato.

L’universo ti sembrerà sempre meno modificabile rispetto ai tempi del liceo, quando ti affascinavano le correnti rivoltose e i pazzi contro il sistema, e ben presto l’ottimismo e la voglia di svegliarsi la mattina diventeranno degli optional dei quali non potrai usufruire.

Dopo le prime lezioni e i primi simpatici gruppetti di colleghi ci si divincolerà dalla struttura fisica della Facoltà e si sceglierà di studiare a casa, di non seguire le lezioni perché all’unanimità si riterranno inutili.
Lo studente ha il potere, finalmente dopo anni di sbattimento, di decidere cosa fare della propria condizione, almeno finché i suoi lo manterranno.
Può alzarsi dal letto alle 13 e 30, non studiare per mesi, fregarsene di tutto e lamentarsene altrettanto liberamente,  senza conoscere a fondo nulla.
Poi, se è fortunato, può rendersi conto di aver perso del tempo prezioso, di avere addosso i panni della pecorella, parte del gregge numeroso del conformismo, e che deve ricominciare d’accapo.
Se va bene si ricorderà cosa volesse dire “andare a scuola” e a cosa servisse ricevere degli insegnamenti aldilà di un futuro lavorativo (che difficilmente sfrutterà a breve) e della presunta perdita di tempo causata da professori vecchi e insolventi (cosa in larga parte vera, ma sempre meglio di dover studiar da soli per mesi e mesi). Dopo la prima Laurea capisci che lo studio fa parte di un percorso estremamente personale e che nessuno può osteggiare.
Dentro di te cercherai soltanto le motivazioni che ti porteranno a continuare a farlo con piacere e volontà. D’altro canto ci sarà sempre un gregge di pecore ad aspettarti dietro l’angolo o seduto su qualche divano, che troverà ottime motivazioni per affrontare la vita convinto delle sue convinzioni e del suo perenne “bee, bee”.

La scuola sarà pure ridotta all’osso, avrà pure un aspetto più scadente rispetto alle istituzioni estere, avrà meno servizi e professori incompetenti. Ma è giusto, per chi ha deciso di studiare ancora, varcare le soglie del cancello, conoscere a fondo ciò che ha causato tutto ciò e quali sono le dinamiche migliori che si possono salvare,  piuttosto che restare a guardare o a commentare con le altre voci lamentose di corridoio.


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