Per questi giorni che dovrebbero essere di 48 ore. Mentre cerco di non far traboccare tutte le cose dal vaso, tenendole in bilico e lisce.
Studio, Lavoro, Guardo la tv, Vado al cinema, non faccio sport. E continuamente di corsa avanti e indietro. “Vuole provarlo?” “C’è solo questa taglia”, più “La preoccupazione fenomenologica (essere condannati al significato) e la condizione esistenziale (essere condannati a vivere) forniscono le coordinate di un’antinomia (l’opposizione tra un soggetto tormentato e un oggetto dinamico) che viene trasposta nelle opere stesse”.
La perenne ansia di dover e voler fare bene, il perenne diktat di non pensare a quest’ansia.
Le giornate brevi che trascorrono scandite dalla luce che diminuisce e dal freddo che aumenta. Il bucato steso in casa ché fuori piove.
Cucinare per me in 10 minuti e senza trasporto ma rubare il tempo, senza rammarico, per mettere in pratica per la sera le ricette vegetariane lette su qualche giornale.
Imporsi, combattendo la stanchezza delle troppe poche ore di sonno e delle troppe ore in piedi, di stare in giro comunque a sentire il vociare e le urla del sabato sera in locali viola e fumosi, nelle piazze delle università chiuse, nei vicoli dai nomi cattolici con i “pali” che si accertano delle tue intenzioni.
Perché tanto la sera torniamo nel nostro letto e per dormire c’è sempre tempo, preferisco sentire un’altra canzone e fantasticare su posti da vedere che hanno nomi che ci fanno ridere.
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