Nel 2010 la prestigiosa Oxford University Press ha così pubblicato lo studio di Elaine Howard Ecklund, sociologa della Università americana, nel quale si dimostra che il 50% degli scienziati è oggi religioso/credente, e la maggioranza dei restanti sono “imprenditori spirituale”, cioè lavorano per diminuire le tensioni tra scienza e fede (cfr. Ultimissima 2/7/10). Nel giugno del 2011 invece, un secondo studio pubblicato sulla rivista “Sociology of Religion”, si è voluto nuovamente studiare un campione di scienziati di alto livello, arrivando comunque in qualche modo a confermare il precedente studio. Dei 1.700 scienziati intervistati, il 72% si è definito “spirituale” (anche se non sempre legati ad una religione), e tra i non credenti, il 22% di questi si è dichiarato “ateo spirituale” (cfr. Ultimissima 15/6/11).
In questi giorni è stato invece ultimato un terzo studio nel quale i ricercatori hanno voluto prendere in considerazione soltanto un campione di scienziati non credenti, scoprendo che il 17% di essi ha partecipato ad una funzione religiosa più di una volta all’anno e desidera educare i propri figli secondo un principio religioso. «La nostra ricerca mostra quanto strettamente siano legate la religione e la famiglia nella società americana, tanto che anche alcune delle persone meno religiose della società trovano che la religione sia importante nella loro vita privata», ha detto la sociologa Howard Ecklund, co-autrice dello studio.
In particolare, si è scoperto che i partecipanti allo studio desiderano esporre i loro figli a tutte le fonti di conoscenza (compresa la religione) e permettere loro di fare le proprie scelte sull’identità religiosa. Inoltre, molto spesso i partecipanti allo studio sono stati coinvolti nella chiesa dal loro coniuge o partner. Infine, è emerso che i partecipanti allo studio apprezzano il senso di concezione morale e di comportamento che emerge dagli ambiti religiosi, anche se non sono d’accordo con essi. La sociologa ha detto che una delle scoperte più interessanti è stato scoprire non tanto che alcuni scienziati atei vogliono esporre i loro figli alle istituzioni religiose, ma lo fanno proprio grazie alla loro identità scientifica.
La ricerca è stata pubblicata in peer-review sul “Journal for the Scientific Study of Religion” e co-scritta assieme al sociologo dell’University di Buffalo SUNY, Kristen Schultz Lee.