Due anni dopo la sua bella esecuzione del Secondo Concerto di Chopin, da me recensita su questo sito, Ivo Pogorelich è tornato a esibirsi insieme agli Stuttgarter Philharmoniker per il quarto appuntamento con la serie inaugurale di concerti diretta da Dan Ettinger. Nella mia cronaca del concerto tenuto nel novembre 2013 avevo parlato dettagliatamente delle tormentate vicende personali in seguito a cui il pianista belgradese aveva interrotto la carriera e del suo ritorno sulla scena concertistica. Negli ultimi anni Ivo Pogorelich ha ripreso in pieno la sua attività, la DG ha pubblicato un box di CD racchiudente tutte le sue celebri incisioni che in Francia è stato premiato con il prestigioso Diapason d’ Or e recentemente l’ artista ha annunciato che dalla prossima estate ritornerà in sala di incisione per una nuova serie di registrazioni. Avevo scritto due anni fa che Pogorelich aveva ancora molto da dire in campo concertistico e questa esibizione alla Liederhalle, per la quale il pianista serbo-croato ha scelto il Concerto in la minore di Schumann, ha definitivamente confermato le mie impressioni. Siamo ancora di fronte a un musicista di alta classe, tuttora dotato di quella personalità interpretativa spiccata e mai banale che lo ha reso popolarissimo presso il pubblico degli appassionati.
Pogorelich è sempre stato un pianista che ha fatto discutere per lo stile audace e innovativo delle sue esecuzioni, spesso bollato da molti critici con l’ accusa di manierismo e superflua eccentricità, e anche adesso che il dandy affascinante e glamourous degli anni Ottanta si è tramutato in un signore ultracinquantenne, dal fisico appesantito e dal volto segnato, con i capelli rasati stile Full Metal Jacket e che suona con lo spartito in seguito a problemi di memoria, la carica dirompente del suo modo di far musica è rimasta intatta. Il taglio interpretativo che il pianista belgradese ha conferito al Concerto di Schumann era assolutamente originale e personalissimo. Un’ esecuzione dura, tesa, drammatica, a tratti lacerante per violenza espressiva. Nella prima entrata del pianoforte, Pogorelich ha letteralmente gettato tutto il peso del corpo sulla tastiera facendo quasi gridare lo strumento. Da qui in poi l’ interpretazione del primo tempo ha assunto i toni di una vera e propria epopea tragica. Pogorelich dilata all’ estremo l’ agogica di certe frasi, carica le sonorità fino a ottenere timbri volutamente aspri ed estremizza i contrasti dinamici fino all’ estremo. Dal punto di vista tecnico, l’ artista sembra aver ritrovato quasi per intero la padronanza strumentale e a tratti si sono ascoltati lampi della sua antica classe. La cadenza, tutta giocata su sonorità liquide e di una trasparenza a tratti quasi spettrale nei piani, era davvero degna del Pogorelich degli anni d’ oro. Anche nell’ Intermezzo, tenuto a un tempo molto più mosso di quello che siamo abituati ad ascoltare, l’ atmosfera cupa e ossessiva evocata dal pianoforte e perfettamente assecondata da Ettinger con tinte orchestrali scure, gelide e quasi minacciose, conferiva alla musica prospettive e angolazioni di estrema originalità concettuale. Nel Finale, l’ atmosfera drammatica si intensificava progressivamente fino ad arrivare a una Coda tesa nei tempi e quasi brutale negli strappi di certi accordi del solista. Un’ interpretazione estremamente coraggiosa e di concezione insolita, di quelle che si possono accettare o rifiutare in blocco ma senz’ altro di notevole interesse e certamente destinata a rimanere nella memoria molto, ma molto più di quelle di certi dattilografi della tastiera che oggi vanno per la maggiore, festeggiatissima dal pubblico che riempiva al completo la Liederhalle e ha tributato un vero e proprio trionfo a un artista che ha dimostrato di avere ancora molto da offrire.
Di alto livello anche la seconda parte del Concerto, nella quale Dan Ettinger ha eseguito la Grande Sinfonia in do maggiore di Schubert, un brano che da sempre io ritengo tra i test più probanti per valutare in pieno le qualità di un direttore e di un’ orchestra. Una partitura enigmatica e sfuggente, terribilmente ostica dal punto di vista tecnico e difficilissima da inquadrare a livello interpretativo. Ettinger e gli Stuttgarter Philharmoniker hanno superato la prova in maniera davvero onorevole. Dopo due mesi di lavoro con il complesso, il quarantaquattrenne direttore israeliano sta riuscendo ad ottenere dagli strumentisti un suono levigato, morbido e pastoso, ricco di sfumature e notevolissimo per omogeneità. Soprattutto la sezione archi sembra aver tratto giovamento dal lavoro svolto da Ettinger e nella partitura schubertiana ha suonato con una compattezza e una precisione di cavata che raramente si erano ascoltate negli anni passati. Dan Ettinger ha dimostrato un perfetto dominio delle complesse architetture formali di questa partitura che, dal punto di vista delle soluzioni compositiva, è in molti punti quasi anticipatrice di certe monumentalità dello stile sinfonico bruckneriano. Eccellente la resa del grandioso primo tempo, bellissime le sonorità orchestrali luminose e il potente crescendo drammatico della sezione centrale nell’ Andante con moto, molto ben resi anche i vorticosi disegni degli archi nei due movimenti conclusivi. Un’ interpretazione complessivamente di notevole livello per coerenza e lucidità di concezione oltre che per il tono narrativo grandioso e quasi epico in certi momenti. Dopo aver ascoltato questa esecuzione, mi sono convinto in maniera definitiva delle notevoli qualità di interprete che Dan Ettinger dimostra di possedere e che fanno della sua nomina a Chefdirigent dei Philharmoniker un acquisto preziosissimo per la vita musicale di Stuttgart. Successo intensissimo per un concerto davvero interessantissimo e coinvolgente.