Non che voglia tornare su un tema peraltro neppure affrontato a tempo debito. Soltanto, a distanza di qualche giorno, è mia intenzione notare un paio di cosette che francamente non mi sono piaciute granché. Diciamo subito che non entro nel merito della questione, che c’è chi l’ha argomentata molto meglio di quanto avrei potuto fare io. Entro però in tackle deciso nei riguardi degli illustri colleghi (a lei in qualche modo vicini) che non hanno preso posizione. Il giornalista o dice o non dice. E se deve dire qualcosa che di fatto non è, meglio che non dice. Se deve tutelare l’anonimato della fonte – che ci sta, è risaputo – d’accordo, però allora dovrebbe raccontarla per filo e per segno. Altrimenti non è. La rivelazione fuffa di Concita De Gregorio – che tale resterà fintanto che non se ne saprà qualcosa in più – ha creato un po’ di casino che ha avuto, sì qualche timida ripercussione politica, ma zero (quasi zero, vabbè) reazioni nel mondo dell’informazione. Mi viene da pensare – pratica che in verità detesto – a cosa sarebbe accaduto se al posto della De Gregorio, e dunque a squadre invertite, ci fosse stato un Sallusti o un Belpietro. O anche un Ferrara, volendo. Se io me ne uscissi come i cavoli a merenda – e hai voglia se capita – avrei piacere a subire il rimbrotto di un collega. Salvo sentirmi dalla parte della ragione al punto da controbattere e polemizzare, ma almeno per una volta con una giusta dose di buon senso. No, sulle frasi di Concita, invece, il silenzio più assordante (tranne qualche raro caso, l’ho già scritto). Qui non si sta dubitando della sua professionalità, della sua competenza, della sua bravura. Mi dispiace soltanto che le discussioni tra colleghi avvengano alla bisogna, quando è facile il sostegno di una parte. Quando quest’ultimo è poco evidente, o c’è il rischio di spaccarlo in diverse fazioni, meglio lasciar perdere in segno di rispetto e di amicizia, anche se magari non se ne è ravvisata l’opportunità di un’uscita siffatta. Peccato.
Non che voglia tornare su un tema peraltro neppure affrontato a tempo debito. Soltanto, a distanza di qualche giorno, è mia intenzione notare un paio di cosette che francamente non mi sono piaciute granché. Diciamo subito che non entro nel merito della questione, che c’è chi l’ha argomentata molto meglio di quanto avrei potuto fare io. Entro però in tackle deciso nei riguardi degli illustri colleghi (a lei in qualche modo vicini) che non hanno preso posizione. Il giornalista o dice o non dice. E se deve dire qualcosa che di fatto non è, meglio che non dice. Se deve tutelare l’anonimato della fonte – che ci sta, è risaputo – d’accordo, però allora dovrebbe raccontarla per filo e per segno. Altrimenti non è. La rivelazione fuffa di Concita De Gregorio – che tale resterà fintanto che non se ne saprà qualcosa in più – ha creato un po’ di casino che ha avuto, sì qualche timida ripercussione politica, ma zero (quasi zero, vabbè) reazioni nel mondo dell’informazione. Mi viene da pensare – pratica che in verità detesto – a cosa sarebbe accaduto se al posto della De Gregorio, e dunque a squadre invertite, ci fosse stato un Sallusti o un Belpietro. O anche un Ferrara, volendo. Se io me ne uscissi come i cavoli a merenda – e hai voglia se capita – avrei piacere a subire il rimbrotto di un collega. Salvo sentirmi dalla parte della ragione al punto da controbattere e polemizzare, ma almeno per una volta con una giusta dose di buon senso. No, sulle frasi di Concita, invece, il silenzio più assordante (tranne qualche raro caso, l’ho già scritto). Qui non si sta dubitando della sua professionalità, della sua competenza, della sua bravura. Mi dispiace soltanto che le discussioni tra colleghi avvengano alla bisogna, quando è facile il sostegno di una parte. Quando quest’ultimo è poco evidente, o c’è il rischio di spaccarlo in diverse fazioni, meglio lasciar perdere in segno di rispetto e di amicizia, anche se magari non se ne è ravvisata l’opportunità di un’uscita siffatta. Peccato.
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