Su Fernando Pessoa e Benito Mussolini
Creato il 07 ottobre 2012 da Sulromanzo
L’intervista (im)possibile
Che Fernando Pessoa avesse incarnato tanti eteronimi era cosa nota, ma che abbia indossato anche i panni dell’antifascista italiano è una novità assoluta che sorprenderà molti, specie coloro che in questi anni hanno pensato di poter rilevare, sia per compiacersene che per rimproverargliela (già Tabucchi aveva messo in guardia dall’inattesa coincidenza degli opposti negli studi pessoani), una sua ipotetica vicinanza ideologica alle dittature dell’epoca.
L’attribuzione a Pessoa di un testo, che sarebbe costato la chiusura del giornale che l’aveva ospitato e fece un po’ di maretta nel Portogallo da poco sottomesso a una giunta militare golpista, capovolge persino l’immagine di un poeta semplicemente freddo e distaccato, ed è stata recentemente proposta dallo studioso José Barreto in un articolo sulla rivista Pessoa Plural, edito dall’Università di Utrecht, Brown University e Universidad de los Andes. Qui ne riassumeremo i passaggi salienti, ma chi vuole può andare a leggersi l’originale qui, con un approfondimento ancor più sfizioso su questo blog portoghese.
Siamo nel novembre del 1926. Da maggio i militari sono al potere in Portogallo e l’Italia invia il gerarca Ezio Maria Gray (più tardi presidente dell’EIAR e dell’Istituto Luce) a fondare il Fascio di Lisbona. Il 20 di quel mese il quotidiano Sol (che misteriosamente interromperà le pubblicazioni pochi giorni dopo, senza alcun preavviso né spiegazioni postume) pubblica un’intervista a un fantomatico intellettuale italiano che risponde al nome di Giovanni B. Angioletti. Lo definiscono un rappresentante della parte “non ufficiale” della colonia italiana in Portogallo e, più tardi, in una lettera di risposta alle reazioni del Consolato italiano di Lisbona, come un vero e proprio esule. Ma cosa ha detto Angioletti in questa intervista non proprio pacifica, quando il resto della stampa lusitana aveva deciso di ignorare il viaggio di Gray o di buttarla sul fatuo, informando che una certa sera l’avevano visto in un teatro di varietà, dove girls seminude ballavano il can-can? Senza mezzi termini afferma che il Duce è un primitivo cerebrale, il fascismo una forma di contagiosa follia danzante e che dopo l’unità d’Italia gli italiani, privi di senso del ridicolo, non hanno fatto altro che tradire la propria missione civilizzatrice. Parole pesanti, difficilmente attribuibili all’unico G. B. Angioletti noto e attivo in quell’epoca: l’amico di Curzio Malaparte che dirigerà La Fiera Letteraria e lascerà l’Italia solo nel ’32, per andare a dirigere l’Istituto di Cultura di Praga (dunque una carriera discreta, ma ben agganciata alle strutture istituzionali dell’italica “follia danzante”).
E qui subentra l’interpretazione dello studioso, che con la collaborazione di Jerónimo Pizarro, profondo conoscitore del caotico materiale ancora inedito dell’archivio pessoano, decripta, legge e mette insieme altri pezzi del puzzle per restituire il possibile ritratto dell’autore di questa intervista. Gli indizi più forti sono senz’altro lo stile, l’abitudine alle identità fittizie e alle autointerviste, ma certamente anche i contenuti. Pessoa aveva già esposto, ricorda Barreto, idee simili in quello stesso periodo. Per esempio quando definiva “Impero”, nel senso più alto del termine, come centro di espansione della civiltà, da opporsi alla nazione e ai nazionalismi visti come barbari e primitivi. Va detto che lo stesso nome di Angioletti (secondo Barreto, Pessoa potrebbe averlo pescato fra i collaboratori della rivista The Criterion, diretta da T. S. Eliot) è inserito a matita in una scheda bibliografica di opere pessoane, e inoltre, secondo un altro appunto, l’intervista fittizia del 20 novembre sarebbe dovuta uscire in una collettanea di suoi testi dal titolo Episodios, mai realizzata.
Tutto ciò andrebbe poi inquadrato in una cornice di scritti, più o meno occasionali e per gran parte ancora inediti, che Pessoa dedicò in particolare al fascismo italiano e che Barreto annuncia e parzialmente anticipa sul blog citato. Questi testi rivelerebbero una posizione ancor più chiara di un intellettuale che politicamente, anche come lettore regolare della stampa inglese, si sentiva un conservatore di tipo anglosassone, profondamente avverso al crescendo autoritario cui dovette assistere in vita, e non solo da lontano. Si veda ad esempio il foglio in cui il poeta ironizza sulla sbandierata precisione dei treni italiani, che si riassume in un caustico: se i fascisti vi uccidono il padre a Roma, da Milano potrete sempre arrivare puntuali al funerale.
Personalmente, aggiungerei anche l’articolo Profezia italiana, non del tutto ignoto agli addetti ai lavori. Scritto nel suo ultimo anno di vita, il 1935, per un quotidiano di Lisbona, ma bocciato irrimediabilmente dalla censura, il pezzo vedrà la luce in Portogallo in un volume del 2000 e sarà tradotto in italiano da Luciana Stegagno Picchio per il suo Nel segno di Orfeo (Il Melangolo, 2004). Vi traspare un Pessoa informatissimo (probabilmente via stampa inglese) e agguerrito, pronto a firmare di suo pugno una soave presa per i fondelli del Duce con dettagliatissime citazioni da un editoriale dell’Avanti! del 21 gennaio 1913, quando un Mussolini ancora socialista dirigeva la testata e lamentava, in prosa tagliente, il provincialismo, clericalismo e militarismo di un’Italia prebellica, ma forse già fascista.
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